Cass. civ., SS.UU., sentenza 19/09/2005, n. 18451
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In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, alle Sezioni Unite della S.C. non è consentito sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte medesima limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. (Sulla base del principio di cui in massima, le S.U. hanno confermato, in quanto immune dai predetti vizi, la sentenza della Sezione disciplinare del CSM, la quale aveva irrogato la sanzione disciplinare dell'ammonimento ad un magistrato, presidente di sezione del tribunale, il quale, tra l'altro, aveva fatto apparire come esercitati dal collegio provvedimenti, in materia di misure di prevenzione patrimoniale, che invece erano stati adottati dal medesimo individualmente).
I rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare a carico di magistrati sono regolati in via esclusiva dall'art. 29 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, secondo cui nel procedimento disciplinare fa sempre stato l'accertamento dei fatti che formarono oggetto del giudizio penale, risultanti da sentenza passata in giudicato. Tale regola non contrasta con il disposto dell'art. 653 cod. proc. pen., che disciplina l'efficacia nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, poiché il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, così come compiuto dal giudice penale, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica, indubbiamente più rigorosa, dell'illecito disciplinare.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. P G - Presidente di sezione -
Dott. S S - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. L P M - rel. Consigliere -
Dott. E S - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1 presso lo studio dell'avvocato NME2, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato NME3, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 109/03 del Consiglio superiore magistratura di ROMA, depositata il 19/02/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/06/05 dal Consigliere Dott. Michele LO PIAN;
udito l'Avvocato NME4, per delega dell'avvocato NME2;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P R che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza del 17 ottobre 2003, depositata il 19 febbraio 2004, ha dichiarato il Dott. NME1 (all'epoca dei fatti presidente della prima sezione penale e misure di prevenzione del Tribunale di LOCALITA2) responsabile dell'illecito previsto dall'art. 18. del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, per avere violato gravemente i doveri di
correttezza e imparzialità del magistrato, compromettendoli suo prestigio e quello dell'ordine giudiziario, avendo "depositato quarantotto provvedimenti apparentemente collegiali, datati 8 maggio 1997, nei quali, contrariamente al vero, si facevano risultare presenti e partecipi alle deliberazioni di sostituzione dei giudici delegati in procedure di prevenzione patrimoniale i giudici NME5 e NME6" e gli ha inflitto la sanzione disciplinare
dell'ammonimento.
In relazione ai fatti di cui al capo di incolpazione, contro il Dott. NME1 era stato iniziato un procedimento penale per il reato di falso continuato.
In primo grado il Dott. NME1 era stato dichiarato colpevole del reato ascrittogli.
In appello, ferma restando la materialità dei fatti, il Dott. NME1 era stato assolto con la formula "perché il fatto non costituisce reato";
a tale decisione la Corte d'appello era pervenuta sulla base della considerazione che, nella condotta del Dott. NME1, non risultava ravvisabile alcuna intentio decipendi ai danni dei colleghi ne' la componente soggettiva del reato contestato trattandosi di provvedimenti ordinatori, peraltro di esclusiva competenza presidenziale e non collegiale, in quanto finalizzati al fisiologico riassorbimento, nell'ambito dei giudici della sezione, del carico lavorativo corrispondente ai ruoli rimasti scoperti. Successivamente la Corte di Cassazione aveva respinto il ricorso del procuratore generale, diretto a fare dichiarare la responsabilità del Dott. NME1, e dichiarato inammissibile il ricorso di quest'ultimo, diretto ad ottenere una sentenza che dichiarasse la insussistenza dei fatti contestati. Nella motivazione della sentenza la Corte di Cassazione aveva osservato che, fermi restando i fatti come accertati dal giudice d'appello, formula assolutoria più consona sarebbe stata quella "perché il fatto non sussiste". Sulla scorta degli accertamenti di fatto compiuti nel giudizio penale - ritenuto che gli stessi facevano stato nel procedimento disciplinare - il C.S.M. ha ritenuto il Dott. NME1 responsabile dell'incolpazione a lui ascritta per il rilievo che i fatti accertati integravano gli estremi dell'illecito disciplinare. Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso il Dott. NME1. Poiché il ricorso è stato notificato ritualmente solo al Ministro della giustizia, all'udienza del 21 ottobre 2004 è stata disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte. Il ricorrente ha provveduto all'adempimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell'art. 29 del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511. Premesso che l'art. 29 citato, dispone che "nel procedimento disciplinare fa sempre stato l'accertamento dei fatti che formarono oggetto del giudizio penale, risultanti dalla sentenza passata in giudicato", si deduce:
- che con sentenza dell'1 marzo 2001, la Corte d'appello di LOCALITA3 aveva pronunciato, nei confronti del Dott. NME1, sentenza di assoluzione, con la formula "perché il fatto non costituisce reato", in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv., 476, 479 C.P. "perché, con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso poste in essere in tempi diversi, nella qualità di Presidente della Prima Sezione e Misure di Prevenzione del Tribunale di LOCALITA2, falsamente attestava che i quarantotto provvedimenti collegiali emessi in quella sede in data 8 maggio 1997, riguardanti la sostituzione del giudice delegato alla trattazione del procedimento di prevenzione, conseguente al trasferimento ad altro Ufficio dei magistrati precedentemente titolari della misura, nel collegio presieduto dallo stesso NME1, dalla dottoressa NME5 e dal Dott. NME6, in servizio presso la medesima Sezione ma stabilmente impegnati nella composizione di un collegio penale autonomo e funzionalmente distinto, erano stati deliberati con l'effettiva partecipazione alla decisione collegiale dei due predetti