Cass. pen., sez. VI, sentenza 27/04/2023, n. 17565
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: S F, nato a Roma il 16/12/1962 avverso la sentenza dei 22/06/2022 del Corte d'appello di Roma visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere O D G;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale R G, il quale conclude chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l'avvocato N N, in difesa della parte civile T B, il quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il Tribunale di Velletri aveva condannato F S alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione nonché di euro 800 di multa per i oYi reati truffa (art. 640 cod. pen.), tentata truffa (art. 56 cod. pen.;
640 cod. pen.) e infedele patrocinio (art. 380 cod. pen.). In particolare, quanto alla truffa (capo a, n. 1) e al patrocinio infedele (capo b), a S è stato ascritto di aver dichiarato falsamente alla persona offesa T B, suo assistito, che il giudice aveva indicato in sentenza, oltre all'importo del risarcimento del danno, 120,000 euro anziché 20,000 euro a titolo di onorario, sicché l'imputato, giustificando presso il suo assistito l'eccessivo importo affermando che avrebbe a breve ricevuto ulteriori 500.000 euro a titolo di risarcimento, lo induceva in errore facendosi consegnare 100.000 euro, somma così ridotta rispetto all'originario importo, nelle seguenti modalità: 20.000 euro in contanti e otto assegni da 10.000 euro. Quanto alla tentata truffa (capo a, n. 2), a S è stato ascritto di aver cercato di farsi consegnare altre somme di denaro, formando due atti pubblici falsi, in particolare la comunicazione della sentenza alle parti da parte del Presidente di sezione della Corte di appello civile di Roma, sentenza in realtà mai pronunciata, e la ricevuta della comunicazione di cancelleria inoltrata all'indirizzo PEC del suo studio, comunicazione in realtà mai effettuata, dissuadendo il suo assistito dall'assumere personalmente informazioni presso la Corte di appello, ovvero riferiva al suo assistito che per ritirare la sentenza gli avrebbe dovuto consegnare i 20.000 euro residui a titolo di onorario ed ulteriori 70.000 euro per il secondo grado di giudizio, senza tuttavia riuscire nell'intento a causa del rifiuto opposto da B, il quale nel frattempo era venuto a conoscenza della truffa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso F S che, per il tramite del suo difensore, avvocato Germano Paolini, deduce i seguenti motivi di ricorso.
1. Violazione del divieto di bis in idem in relazione alla condanna per tentata truffa (capo a, n. 2), essendo stato F S già condannato per i delitti di falso per gli stessi fatti, realizzati nel medesimo arco temporale e fra gli stessi soggetti, a seguito di un procedimento nel quale B si costituiva parte civile chiedendo il risarcimento dei danni che il giudice disponeva dovesse avvenire in separata sede.
2. Errata applicazione della legge penale in relazione all'ipotesi di tentata truffa e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, gli atti posti in essere dall'imputato non erano idonei a realizzare il delitto, dal momento che B avrebbe potuto in qualunque momento recarsi presso la cancelleria della Corte di appello civile di Roma e chiedere
udita la relazione del consigliere O D G;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale R G, il quale conclude chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l'avvocato N N, in difesa della parte civile T B, il quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il Tribunale di Velletri aveva condannato F S alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione nonché di euro 800 di multa per i oYi reati truffa (art. 640 cod. pen.), tentata truffa (art. 56 cod. pen.;
640 cod. pen.) e infedele patrocinio (art. 380 cod. pen.). In particolare, quanto alla truffa (capo a, n. 1) e al patrocinio infedele (capo b), a S è stato ascritto di aver dichiarato falsamente alla persona offesa T B, suo assistito, che il giudice aveva indicato in sentenza, oltre all'importo del risarcimento del danno, 120,000 euro anziché 20,000 euro a titolo di onorario, sicché l'imputato, giustificando presso il suo assistito l'eccessivo importo affermando che avrebbe a breve ricevuto ulteriori 500.000 euro a titolo di risarcimento, lo induceva in errore facendosi consegnare 100.000 euro, somma così ridotta rispetto all'originario importo, nelle seguenti modalità: 20.000 euro in contanti e otto assegni da 10.000 euro. Quanto alla tentata truffa (capo a, n. 2), a S è stato ascritto di aver cercato di farsi consegnare altre somme di denaro, formando due atti pubblici falsi, in particolare la comunicazione della sentenza alle parti da parte del Presidente di sezione della Corte di appello civile di Roma, sentenza in realtà mai pronunciata, e la ricevuta della comunicazione di cancelleria inoltrata all'indirizzo PEC del suo studio, comunicazione in realtà mai effettuata, dissuadendo il suo assistito dall'assumere personalmente informazioni presso la Corte di appello, ovvero riferiva al suo assistito che per ritirare la sentenza gli avrebbe dovuto consegnare i 20.000 euro residui a titolo di onorario ed ulteriori 70.000 euro per il secondo grado di giudizio, senza tuttavia riuscire nell'intento a causa del rifiuto opposto da B, il quale nel frattempo era venuto a conoscenza della truffa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso F S che, per il tramite del suo difensore, avvocato Germano Paolini, deduce i seguenti motivi di ricorso.
1. Violazione del divieto di bis in idem in relazione alla condanna per tentata truffa (capo a, n. 2), essendo stato F S già condannato per i delitti di falso per gli stessi fatti, realizzati nel medesimo arco temporale e fra gli stessi soggetti, a seguito di un procedimento nel quale B si costituiva parte civile chiedendo il risarcimento dei danni che il giudice disponeva dovesse avvenire in separata sede.
2. Errata applicazione della legge penale in relazione all'ipotesi di tentata truffa e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, gli atti posti in essere dall'imputato non erano idonei a realizzare il delitto, dal momento che B avrebbe potuto in qualunque momento recarsi presso la cancelleria della Corte di appello civile di Roma e chiedere
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi