Cass. civ., sez. III, sentenza 17/07/2003, n. 11200

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Massime8

La nuova disciplina delle clausole vessatorie, di cui agli artt. 1469 - bis cod. civ., introdotta dall'art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, non si applica ai contratti di fideiussione bancaria anteriormente stipulati, stante il generale principio di irretroattività della legge.

Il processo di cassazione, caratterizzato dall'impulso d'ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., poiché tali norme si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità. (Nella specie la società, parte in causa, nel corso del giudizio di cassazione si era fusa mediante incorporazione in altra società).

Il potere del direttore di filiale di un istituto di credito di stare in giudizio nella qualità di rappresentante dell'ente, a lui conferito dallo statuto, ne implica la legittimazione a stare in giudizio in nome e per conto dello stesso senza bisogno di speciale procura.

Il vicedirettore di filiale di banca ha funzione vicaria del direttore, per cui legittimamente esercita dette funzioni in caso di assenza o impedimento del direttore, a nulla rilevando la mancata indicazione, nella procura, delle ragioni di assenza o impedimento del direttore, dovendosi presumere, in assenza di prova contraria, gravante sulla controparte, che la sostituzione sia avvenuta legittimamente.

Qualora sia stata prestata una fideiussione a garanzia di una apertura di credito bancaria in conto corrente ed il debitore principale, non avendo contestato tempestivamente gli estratti conto inviatigli dalla banca, sia decaduto, ai sensi dell'art. 1832 cod. civ., dal diritto di impugnarli, le risultanze degli estratti conto sono vincolanti anche per il fideiussore, il quale non può pertanto contestare l'ammontare del credito della banca.

Il debitore di somma determinata in valuta estera, se inadempiente, nel caso di sopravvenuta svalutazione della moneta italiana rispetto a quella estera, deve la differenza tra il cambio della data di scadenza e quello della data di pagamento, giacché, diversamente, trarrebbe ingiusta locupletazione dalla sua mora, ove pagasse in moneta legale al corso del cambio del giorno della scadenza, secondo la facoltà accordatagli dall'art. 1278 cod. civ..

L'alea normale di un contratto, che, a norma del secondo comma dell'art. 1467 cod. civ., non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari e normali fluttuazioni del mercato. (Principio espresso in fattispecie di contratto di finanziamento in valuta estera, per il quale la S.C. ha ricondotto l'oscillazione del cambio nell'alea normale).

Costituisce effetto naturale dell'esistenza di una garanzia personale il fatto che il fideiussore sia tenuto al pagamento dell'intero debito garantito, anche quando dal debitore principale, sottoposto a concordato preventivo (o a concordato fallimentare), il creditore possa pretendere soltanto una percentuale inferiore. Nè ciò determina dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dell'art. 184 (o dell'art. 135) legge fall., giacché il fideiussore da un lato paga quanto si era assunto l'obbligo di pagare, e dall'altro subisce, in sede di rivalsa, gli effetti del concordato come qualunque altro creditore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 17/07/2003, n. 11200
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11200
Data del deposito : 17 luglio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L E - Presidente -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B A, domiciliato in ROMA presso LA CORTE DI CASSAZIONE, difeso dall'avvocato A B con studio 35131

PADOVA CORSO DEL POPOLO

8, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
B DI N SPA, FILIALE DI BOLOGNA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore Dott. V B e Dott. P C per sè e quale mandataria e procuratrice della Società per la Gestione di Attività SGA spa, corrente in Napoli, in persona del presidente del C.d.A. Dott. M Z, cessionaria del credito, elettivamente domiciliata in

ROMA PIAZZA CAVOUR

10, presso lo studio dell'avvocato B F, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato C A, giusta delega in atti;



- controricorrente -


nonché

contro

METALPLASTICA ALLUMINIO SPA IN CONCORDATO PREVENTIVO;

- intimata -
avverso la sentenza n. 2067/97 della Corte d'Appello di VENEZIA, Sezione Prima Civile, emessa il 23/10/97 e depositata il 13/12/97 (R.G. 220/97);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/03 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;

udito l'Avvocato Massimo ANGELINI (per delega Avv. Ferdiando BARUCCO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso ed istanza di interruzione del processo presentato dal Banco di Napoli.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 26.10.1995 Alessandro B proponeva opposizione a decreto ingiuntivo emesso per L.

1.431.934.759 nei suoi confronti dal presidente del tribunale di Venezia, su richiesta del Banco di Napoli;
nel relativo ricorso il Banco assumeva di essere creditore di tale somma in quanto il B aveva a suo tempo garantito con fideiussione (e successiva ipoteca) debiti che verso il banco aveva la s.p.a. Metalplastica alluminio, ammessa il 2.12.1993 a concordato preventivo.
Resisteva all'opposizione il Banco. Il tribunale di Venezia, con sentenza depositata l'8.9.1996, rigettava l'opposizione. Proponeva appello il B.
La corte di appello di Venezia, con sentenza depositata il 3.12.1997, rigettava l'appello. Riteneva la corte di merito, quanto all'assunta nullità della procura per illeggibilità delle firme, che la stessa non sussisteva, in quanto dai saldaconti alligati al ricorso per decreto ingiuntivo, emergeva il nome dei firmatari degli stessi, la cui firma era identica a quella in calce alla procura, e che trattavasi dei due vicedirettori della filiale di Venezia, i quali, a norma degli artt. 17 e 26 dello Statuto, avevano la rappresentanza della stessa davanti a qualsiasi magistratura;
che, in ogni caso essi avevano detto potere a norma dell'art. 2204 c.c.. Secondo la Corte non sussisteva la nullità della fideiussione per mancanza di sottoscrizione delle clausole vessatorie da parte della Banca, sia perché la fideiussione comporta obbligazioni per il solo fideiussore, sia perché la necessità della doppia firma per la validità delle clausole vessatorie, attiene solo alla firma della parte che non ha predisposto le condizioni (parte debole). Riteneva la corte che la clausola contrattuale di dispensa del banco dal chiedere speciale autorizzazione ex art. 1956 era valida, in quanto precedente alla legge 154/1992 e che non era stato violato il dovere di buona fede da parte della banca, poiché il B conosceva le condizioni economiche del debitore garantito. Quanto all'assunta risoluzione del contratto di finanziamento per eccessiva onerosità, riteneva la corte di non accogliere la domanda sia perché il B non era legittimato, sia perché le oscillazioni del cambio sono nel rischio normale dei crediti in valuta estera. Secondo la corte andava rigettata anche la domanda di dichiarazione di invalidità dell'atto costitutivo di ipoteca, essendo la stessa riposta sull'assunta invalidità della fideiussione, nella specie infondata.
Inoltre, secondo la Corte, era manifestamente infondata la sollevata eccezione di incostituzionalità dell'art. 184 l.f.. Riteneva la corte che nella fattispecie non fosse applicabile la l. n. 52/1996, in tema di clausole vessatorie, nei contratti tra il
professionista ed il consumatore, poiché il contratto di fideiussione era stato concluso prima dell'entrata in vigore della legge, come prima di tale data erano sorti i debiti ed il debitore era stato ammesso al concordato preventivo.
Infine riteneva la corte territoriale che l'esistenza dei crediti del banco erano provati dagli estratti-conto, non contestati dal debitore principale, ai sensi dell'art. 1832 c.c., e che non sussisteva l'assunta natura usuraria degli interessi, poiché l'aumento del debito era dovuto esclusivamente al rapporto di cambio tra marco e lira. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il B.
Resiste con controricorso il Banco di Napoli, che ha anche presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Preliminarmente va rigettata la richiesta di interruzione del procedimento avanzata dai difensori del Banco di Napoli, a seguito dell'incorporazione del banco predetto nella Sanpaolo IMI s.p.a.. Infatti il processo di cassazione, caratterizzato dall'impulso d'ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi previsti dagli art. 299 ss. c.p.c., poiché tali norme si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità (Cass. 1 dicembre 1998, n. 12198;
11 giugno 1999, n. 575
). Pertanto anche la fusione mediante incorporazione in altra società, verificatasi nel corso di detto procedimento nei confronti di una società parte in causa, resta improduttiva di effetti, e non può essere dedotta e dimostrata mediante deposito di documentazione, ostandovi il disposto dell'art. 372 c.p.c. (Cass. 9 agosto 1983, n. 5325).

2.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione delle norme sulla procura ad litem, poiché le firme in calce alla stessa erano illeggibili e dalla procura e dal ricorso per decreto ingiuntivo non emergeva chi fossero i soggetti che avevano rilasciato la procura, non potendo farsi riferimento ai saldaconti, che erano atti esterni rispetto a quello introduttivo della lite.
Ritiene, inoltre, il ricorrente, quanto alle attribuzioni di poteri rappresentativi ai direttori delle filiali a norma dell'art. 28 dello Statuto, che tale disposizione è nulla, poiché, in assenza della procura, tale potere rappresentativo non può essere rilasciato a persona diversa dagli amministratori. In ogni caso detto potere rappresentativo competeva solo ai direttori della filiale e non anche ai vicedirettori, come nella specie.
Infine, secondo il ricorrente, nessuna rilevanza poteva avere la dichiarazione della direzione generale del banco sull'esistenza del potere rappresentativo, che non aveva neppure data certa.

2.2. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso, per l'effetto, vada rigettato.
Osserva questa corte che nel conferimento della procura alle liti ai sensi dell'art. 83, comma 3, c.p.c., la certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della sottoscrizione del conferente postula che ne sia accertata l'identità ed esige, per ciò, che ne sia indicato il nome. Pertanto, quando ne' nell'intestazione del ricorso per Cassazione proposto da una società o da altro ente collettivo, ne' nella procura risulti il nome della persona fisica che l'ha conferita (perché non è nominativamente indicata e la firma è illeggibile), l'incertezza sulla persona del conferente, preclusiva della successiva indagine sull'esistenza in capo a lui dei necessari poteri rappresentativi, rende invalida la procura, a meno che sia idoneamente documentato mediante la produzione di atti già esistenti al momento del conferimento, il riferimento della già indicata qualità di "legale rappresentante" ad una ben individuata persona fisica (Cass. S.U. 5 febbraio 1994, n. 1167;
Cass. n. 7176 del 1995).

2.3. Nella fattispecie la corte di inerito ha accertato che la procura era, illeggibile e che dalla stessa, nonché dal ricorso, non emergeva il nome dei due firmatari, ma che dai saldaconti alligati al ricorso per decreto ingiuntivo, emergeva con chiarezza il nome dei due firmatari e la loro qualità (vicedirettori) e che tali firme erano eguali a quelle apposte in calce alla procura. Poiché tali atti erano già esistenti al momento del rilascio della procura e gli stessi furono depositati contestualmente al ricorso per decreto ingiuntivo, la doglianza sulla nullità di detta procura è infondata.


3.1. Infondata è anche la censura secondo cui il direttore della filiale non aveva poteri rappresentativi. Infatti il potere del direttore di filiale di un istituto di credito di stare in giudizio nella qualità di rappresentante dell'ente, a lui conferito dallo statuto, ne implica la rappresentanza dell'ente e così la legittimazione a stare in giudizio in nome e per conto dello stesso senza bisogno di speciale procura (Cass. 23 dicembre 1993, n. 12762;
Cass. 8.2.1990, n. 884;
Cass. 7696 del 1991). Tale motivazione è anche in armonia con il principio, affermato da questa Corte Suprema, in conformità a quanto previsto dall'art. 2204, c. 2 c.c., secondo cui i dirigenti delle diverse filiali di
una banca hanno qualità institorie, donde sono normalmente legittimati attivamente e passivamente a stare in giudizio in nome della banca per i rapporti dipendenti da atti da essi intrapresi nell'esercizio delle filiali (sent. 26 novembre 1964 n. 2805;
v. anche, sostanzialmente nello stesso senso: sent. 25 marzo 1970 n. 811;
sent. 11 novembre 1970 n. 2351;
ed altre). La corte di merito, nella fattispecie, ha accertato che gli artt. 17 e 26 dello Statuto del banco di Napoli attribuivano direttamente alle rappresentanze delle filiali la rappresentanza delle stesse davanti a qualsiasi magistratura, con potestà di nominare difensori.


3.2. Di nessun rilievo è il fatto che nella fattispecie i due rappresentanti sarebbero stati- due vicedirettori e non il direttore della filiale.
Infatti il vicedirettore di una filiale ha funzione vicaria del direttore, per cui legittimamente esercita dette funzioni in caso di assenza o impedimento del direttore, a nulla rilevando, ai fini della mancata indicazione, nella procura, delle ragioni di assenza o impedimento del direttore, dovendosi presumere, in assenza di prova contraria, gravante sulla controparte, che la sostituzione sia avvenuta legittimamente (cfr. Cass. 8 febbraio 2000, n. 1380).

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