Cass. civ., sez. V trib., sentenza 03/02/2017, n. 2871
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Testo completo
1. Con sentenza n. 98 del 12 dicembre 2008 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla CT CO. s.r.l. in liquidazione avverso un avviso di accertamento con cui l'Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto in data 10 ottobre 2002, recuperava a tassazione, ai fini IRPEG, IRAP ed IVA per l'anno di imposta 1999, maggiori ricavi conseguiti e non dichiarati dalla predetta società contribuente con riferimento ad uno dei due esercizi commerciali dalla medesima gestiti, stante l'assenza di documentazione che per l'esercizio commerciale denominato (XXXXX) attestasse l'effettuazione di vendite a saldo di capi di abbigliamento, come invece risultava per l'altro esercizio commerciale, denominato R.S..
1.1. Sostenevano i giudici di appello che la ricostruzione dei ricavi effettuata con metodo analitico-induttivo, sulla base dei prezzi di vendita esposti e della percentuale di ricarico applicata con riferimento al costo delle merci acquistate, era stata effettuata dai verificatori senza tener conto del fatto che, diversamente da quanto sostenuto dall'ufficio finanziario, le comunicazioni inviate al Comune di Milano in data 2 gennaio 1999 su carta intestata "(XXXXX)" ed in data 1 luglio 1999 su carta intestata della stessa contribuente, con cui veniva annunciato lo svolgimento di vendite a saldo, indipendentemente dalla intestazione delle stesse, dovevano intendersi riferite ad entrambi gli esercizi commerciali gestiti dalla società.
2. Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate sulla base di sei motivi. Stante l'esito infruttuoso della notifica del ricorso, restituito alla ricorrente in data 17 febbraio 2010 con l'annotazione di mancata consegna per irreperibilità del destinatario, la difesa erariale ha provveduto a rinnovarla il successivo 18 febbraio 2010 a mezzo ufficiale giudiziario, che questa volta è andata a buon fine, essendosi l'intimata costituita con controricorso.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente esaminata l'eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, che è infondata e va rigettata.
1.1. Il termine per proporre ricorso per cassazione (di un anno e quarantasei giorni decorrenti dal 12 dicembre 2008) scadeva il 6 febbraio 2010 e la ricorrente ha attivato la procedura di notificazione in data 21 gennaio 2010, quindi tempestivamente, richiedendo la notifica presso il domicilio eletto dalla parte, presso lo studio del difensore risultante dalla intestazione della sentenza impugnata.
E' accaduto, però, che la notificazione non è andata a buon fine per fatto non addebitabile alla notificante, in quanto il plico ivi spedito a mezzo posta con raccomandata con ricevuta di ritorno è stato restituito alla ricorrente in data 17 febbraio 2010 con l'annotazione di mancata consegna per irreperibilità del destinatario. Pertanto, la difesa erariale provvedeva a riattivare con immediatezza, già il successivo 18 febbraio 2010, la procedura di notificazione, che si concludeva con la regolare consegna del plico alla società intimata presso il diverso (e nuovo) indirizzo dello studio del difensore.
1.2. A riguardo del luogo di notificazione del ricorso per cassazione va richiamato il recente arresto giurisprudenziale in cui si è affermato che esso non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, con la conseguenza che "i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario", ma non è il caso di specie, "ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimala (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ. " (Cass. S.U. n. 14916 del 2016).
1.3. Nel caso in esame la ricorrente ha provveduto alla rinnovazione della notificazione autonomamente e tempestivamente, in conformità al principio giurisprudenziale, di recente ribadito da Cass. S.U. n. 14594 del 2016 (in senso analogo anche Cass. S.U. n. 17352 del 2009), secondo cui "in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c. , salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa".
1.4. L'immediata riattivazione del procedimento notificatorio ha, così, consentito alla parte di conservare gli effetti impeditivi della decadenza determinatisi con la prima notificazione e, quindi, l'eccezione in esame, come già anticipato, va rigettata.
2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, la nullità della sentenza gravata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4.
Sostiene che, nel respingere il motivo di appello con cui aveva censurato la sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione laddove la CTP aveva accolto il ricorso della società contribuente "sull'esclusivo assunto che i saldi risulterebbero "dalla documentazione prodotta in atti"", la CTR era a sua volta incorsa nel medesimo vizio affermando che la sentenza di primo grado era munita "di succinta ma esauriente motivazione".