Cass. civ., sez. II, sentenza 16/04/2018, n. 09280
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 20182/2013 R.G. proposto da T M, D D, D D, D D, rappresentati e difesi dall'Avv. A L e dall'avv. G R, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via Pacuvio n. 34. - ricorrente -contro R M e P P, rappresentati e difesi dall'Avv. V V e dall'avv. P S, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, viale Mazzini n. 6. - controricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 1165/2012, depositata il 19.10.2012. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12.2.2018 dal Consigliere G F;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A C, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;udito l'avv. L R per i ricorrenti. FATTI DI CAUSA M R e P P hanno convenuto dinanzi al tribunale di Brescia L D (deceduto nel corso del giudizio di secondo grado) e M T, esponendo di esser proprietari di due appartamenti ubicati al primo e al secondo piano dell'edificio in Via Ugo da Como n. 2 di Brescia mentre i convenuti sono titolari di un appartamento al piano rialzato;che , avendo eseguito lavori urgenti alle parti comuni, sussistevano i presupposti per il rimborso delle somme anticipate nell'interesse degli altri condomini ai sensi dell'art. 1134 c.c.. Hanno chiesto il pagamento di C 20.432,94, o, in subordine, di un indennizzo a titolo di ingiustificato arricchimento. I convenuti hanno dedotto che i lavori consistevano in migliorie o in interventi di riparazione dei danni alle porzioni comuni ed esclusive causati dalla realizzazione di un sopralzo nell'abitazione del P. Il tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che non vi fosse prova dell'entità delle quote di proprietà dei singoli condomini e che non fosse possibile quindi ripartire la spesa, dichiarando inammissibile l'azione di ingiustificato arricchimento, data la sua natura residuale. L'appello proposto da Mario R e P P è stato accolto dalla Corte di Brescia.La Corte territoriale, dopo aver rigettato l'eccezione di decadenza dall'impugnazione sollevata da Denise Duffus, ha ritenuto che i lavori eseguiti dagli appellanti fossero, almeno in parte, necessari alla conservazione dei beni e quindi urgenti e ne ha ripartito il costo in base alle presunzione di parità delle quote ai sensi dell'art. 1101 c.c.. M T, Denise Duffus, Davide Duffus e Dianne Duffus, la prima anche in proprio, e gli altri quali eredi di L D, hanno proposto in 9 motivi. I resistenti si sono costituti con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo censura la violazione dell'articolo 112, e ss., 170,330,331, 332,342 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., per aver il giudice concesso gli appellanti un duplice termine per integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi di L D, termini entrambi inutilmente decorsi. A parere dei ricorrenti la concessione di un secondo termine poteva aver luogo solo se gli appellanti avessero dimostrato di essere incorsi in decadenza per causa non imputabile;che quindi l'appello doveva dichiararsi inammissibile. 1.1. Il motivo è infondato. Va anzitutto osservato che il vizio di omessa pronuncia può condurre alla cassazione della sentenza solo nel caso in cui possa derivarne una decisione difforme da quella adottata, essendo altrimenti inutile il rinvio della causa al giudice di merito (Cass.11.4.2012, n. 5729;Cass. 25.11.2011, n. 24914;Cass. 3.3.2011, n. 5139). Ciò premesso, la Corte territoriale, preso atto della dichiarazione di decesso di L D, ha ordinato la riassunzione verso gli eredi della parte deceduta, inclusa M T, la quale era già stata convenuta in proprio, sia dinanzi al tribunale che nel successivo giudizio di gravame.Data l'unicità della parte in senso sostanziale non occorreva, tuttavia, notificarle l'atto di riassunzione anche nella diversa qualità di erede. In tali ipotesi è sufficiente la notifica dell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, dovendo avere prevalenza l'effettività del contraddittorio e non dovendosi necessariamente procedere ad adempimenti che in alcun modo incidano sulla valida costituzione del rapporto processuale (Cass. 23.5.2008, n. 13411;Cass. 4.2.2003, n. 1613;Cass. 23.12.1987, n. 9618). L'integrazione del contraddittorio disposta in carenza dei presupposti e l'inottemperanza all'ordine di notifica risultano quindi ininfluenti, poiché non occorreva chiamare in causa la parte già presente in giudizio in proprio e, quindi, correttamente la causa è stata decisa nel merito (cfr. Cass. 5.2.2008, n. 2672;Cass.7.2.2006, n. 2593;Cass. 8.9.2003, n. 13097). 2. Per ragioni di ordine logico occorre esaminare il terzo motivo, che quale censura la violazione dell'art. 1139, 1123 e 1101 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.. per aver la Corte territoriale ritenuto che al condominio minimo potesse applicarsi la disciplina della comunione e non quella del condominio degli edifici, giungendo alla conseguenza errata che la spesa potesse essere ripartita in quote uguali. 2.1. Il motivo è fondato. La disciplina del condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Cass. s.u. 31.1.2006, n. 2046;Cass. 26.5.1993, n. 5914;Cass. 12.10.2011, n. 21015). La quota di partecipazione alla spesa gravante sui proprietari delle porzioni esclusive site all'interno di un edificio condominiale deve essere determinata, quindi, in base all'art. 1123 c.c., tenendo anzitutto conto del valore della proprietà esclusiva, valore che preesiste anche alla formazione della tabella millesimale, la quale ha una funzione non costitutiva ma meramente ricognitiva e valutativa (tra le tante, Cass. 31.3.2017, n. 8520;Cass. 9.8.2011, n. 17115). In materia di comunione è invece operante il criterio sussidiario dell'art. 1101 c.c., secondo cui in mancanza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali, mentre in materia condominiale, il rapporto tra i valori dei piani sussiste oggettivamente ed è come tale sempre accertabile dal giudice (Cass. 20.5.2011, n. 11264;Cass. 32.12.1999, n. 13505). Questi, investito della domanda di suddivisione di una spesa, deve procedere anche incidenter tantum a stabilire quale sia il valore del piano dei condomini obbligati al pagamento, in mancanza di una tabella millesimale regolarmente approvata, (cfr., Cass. 9.2.1985, n. 1057;Cass. 17.2.1971, n. 400;Cass. 24.10.1974, n. 3097). Quindi, la Corte territoriale non poteva presumere che la quota dei resistenti fosse pari ad un terzo dell'intero, ma avrebbe dovuto accertare quale ne fosse la reale consistenza sia pure ai soli fini della pronuncia.
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