Cass. civ., sez. II, sentenza 17/04/2019, n. 10756
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La quota di società è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 c.c. per i beni mobili, poiché - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria. La collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, va compiuta, invece, secondo le modalità indicate dall'art. 746 c.c. per gli immobili, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione.
Sul provvedimento
Testo completo
10756-19 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: R.G.N.29423/14 L G L - Presidente Cron. 10756 A C Consigliere Rel. Rep. (1 E P - Consigliere G G - Consigliere U.P.30/1/2019 A S - Consigliere Successioni ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso (iscritto al N.R.G. 29423/'14) proposto da: R I (C.F.: RML SLL 65C48 D969A), rappresentata e difesa dagli Avv.ti S R e S C in virtù di procura speciale a margine del ricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda in Roma, v. Pompeo Trogo, n. 21;
ricorrente principale -
contro
R ARELIO (C.F.: RML RLA 56B10 D969N), MARCHESE MARINA (C.F.: MRC MRN 50A41 D969M) e S.A.S. AURELIO RAMALLI & C. (P.I.: 02631360108), in persona del socio accomandatario, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso (contenente ricorso incidentale), dall'Avv. F B e domiciliati "ex lege" presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, p.zza C;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali - Avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Genova n. 495/2014 (depositata il 16 aprile 2014 e non notificata) e la sentenza definitiva della stessa Corte di appello di Genova n. 1316/2014 (depositata il 23 ottobre 2014 e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 30 gennaio 2019 dal Consigliere relatore A C;
2 2 2 P 1 0 7 udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto Celeste, che ha concluso per l'accoglimento di entrambi i ricorsi per quanto di ragione;
uditi l'Avv. S C per la ricorrente principale e l'Avv. Fabio Bajetto per i controricorrenti e ricorrenti incidentali.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato nel maggio 2006 il sig. R A conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, R I al fine di sentir dichiarare la divisione ereditaria del di loro genitore R B (deceduto il 18 giugno 1997), pervenuta per legge in parti uguali ai loro figli anche per effetto della successione della di loro madre Torazza Assunta, deceduta il successivo 22 giugno 2000. Si costituiva in giudizio la convenuta, la quale, nell'opporsi all'accoglimento della predetta domanda, chiedeva, in ogni caso, che nel compendio ereditario si sarebbe dovuta ricomprendere anche l'azienda di ferramenta sita in Genova, v. Pasubio 22. Intervenivano in giudizio anche i terzi chiamati in causa (ad istanza della suddetta convenuta) Marchese Marina (coniuge dell'attore) e la società R A & c. s.a.s., che chiedevano il rigetto di ogni pretesa della R I. Previo accertamento che l'indicata azienda andava conferita nel patrimonio F ereditario oggetto di divisione ed a seguito dell'espletata istruzione probatoria, l'adito Tribunale, ricostruito complessivamente l'anzidetto patrimonio, con sentenza n. 450/2012 (depositata il 15 febbraio 2012), disponeva lo scioglimento della comunione ed attribuiva i due beni principali ovvero la casa - ubicata in Serra Riccò (del valore di euro 205.120) e l'azienda di ferramenta (del valore di euro 75.438) ai soggetti che li possedevano pacificamente, - ovvero l'immobile a R I e l'azienda a R A, con l'assegnazione del conguaglio in favore del secondo per euro 57.837, tenuto conto della valutazione di tutti i rapporti di dare ed avere intercorsi tra i due condividenti;
con la stessa sentenza il suddetto Tribunale respingeva la domanda dell'attore diretta all'ottenimento della condanna della convenuta al pagamento di un'indennità di occupazione dell'immobile alla medesima attribuito. 2 2. Decidendo sull'appello proposto da R A e M M (quali coniugi in regime di comunione legale dei beni) e dalla R A & c. s.a.s., nella costituzione dell'appellata R I (che, a sua volta, formulava appello incidentale), la Corte di appello di Genova emetteva un prima sentenza non definitiva (la n. 495/2014) con la quale, in parziale riforma dell'impugnata decisione, rideterminava la massa oggetto di divisione, per quote eguali, tra i condividenti R A e R I, ricomprendendo in essa, oltre al predetto immobile e all'azienda di ferramenta, una serie di somme che avrebbero dovuto essere conferite alla massa stessa per effetto di collazione, respingendo, altresì, la domanda diretta al riconoscimento di un'indennità di occupazione a vantaggio del R A per l'utilizzazione dell'immobile da parte della R I, nonché la domanda di quest'ultima per il dedotto risarcimento dei danni morali. Con separata ordinanza, la suddetta Corte territoriale disponeva la prosecuzione del giudizio di appello per la valutazione dell'azienda e per la conseguente formazione dei lotti. Con sentenza definitiva n. 1316/2014 (depositata il 30 ottobre 2014) la Corte genovese dichiarava lo scioglimento della comunione, anche ereditaria, tra le parti ed assegnava il predetto immobile a R I e l'azienda di ferramenta a R A, condannando la prima, operata la collazione, al pagamento del conguaglio in favore del secondo nella misura di euro 97.628,42, confermando la regolazione delle spese del giudizio di primo grado come già disposta dal Tribunale di Genova e condannando R I a rifondere al R A la metà delle spese di appello, da dichiararsi compensate per la residua metà.
3. Avverso entrambe le sentenze (la non definitiva e quella definitiva) della Corte di appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione la Ramalli Isabella, riferito a dieci motivi, al quale hanno congiuntamente resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale basato su tre motivi - - R A, M M e la s.a.s. Aurelio Ramalli & c. 3 I ricorsi venivano, in prima battuta, fissati per la loro definizione con il procedimento previsto dall'art. 380-bis.1 c.p.c., ma, all'esito della relativa adunanza camerale, il collegio disponeva la loro trattazione in pubblica udienza. Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Motivi del ricorso principale.
1.1. Con il primo motivo la difesa della ricorrente principale ha dedotto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per omessa - pronuncia sull'istanza di attribuzione a titolo di petitio hereditatis (o, in subordine, di rivendica) di quota dell'azienda paterna e per ultrapetizione, con riferimento all'art. 112 c.p.c. e all'art. 746 c.c. .
1.2. Con il secondo mezzo la R I ha denunciato - in virtù dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 746- - 747 e 750 c.c. in merito ai criteri temporali di stima del valore dell'azienda e dell'immobile sito in v R, sul presupposto che sia ai sensi del citato art. 750 c.c., relativo alla collazione per imputazione dei beni mobili, che in virtù del menzionato art. 747 c.c. riguardante la collazione per imputazione degli immobili, la valutazione dell'azienda e dell'indicato immobile avrebbe dovuto essere fatta con riferimento alla data dell'apertura della successione.
1.3. Con la terza censura la ricorrente principale ha prospettato - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 (rectius: n. 4), c.p.c. - la violazione del principio - della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato nonché l'omesso esame ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. à di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tre le parti costituito dalla domanda diretta al riconoscimento che l'azienda caduta a far parte dell'asse ereditario di Benito Ramalli doveva essere divisa in ragione del valore di ciascuna quota ideale di un terzo in capo alla moglie ed ai figli e che, per quel che concerneva la successione materna, accertare i diritti successori ex art. 2284 c.c. di Torrazza Assunta sulla società, con l'avvertenza, però, che tali diritti, in ragione dell'attività prestata nonché della sua pregressa successione ab intestato di un 4 terzo dell'impresa familiare, era in realtà maggiore rispetto a quella risultante formalmente da ultimo.
1.4. Con il quarto motivo la ricorrente principale R I ha dedotto - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e con riferimento alla sentenza definitiva di appello la violazione degli artt. 747-750 c.c. in ordine al disposto - dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 324 c.p.c. con riguardo al momento in cui determinare il valore dei cespiti.
1.5. Con la quinta doglianza la difesa della R I ha denunciato -con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa - applicazione del combinato disposto degli artt. 535 e 1148 c.c., avuto riguardo alla mancata restituzione - da parte del fratello della metà dei frutti - dell'azienda di cui si era (in modo asseritamente fraudolento) appropriato.
1.6. Con il sesto motivo la ricorrente principale ha dedotto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la nullità per omessa pronuncia sulla domanda di compensazione ovvero, in via subordinata, la nullità per omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti costituito dal riconoscimento di debito del fratello di aver percepito maggiori somme dagli assi ereditari per l'importo di euro 100.000. -1.7. Con il settimo mezzo la R I ha prospettato ancora ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. · la violazione, ad opera di entrambe le impugnate sentenze, degli artt. 746-747 e 750 c.c. con riferimento alla valutazione dell'immobile sito in v. Pasubio 20r. sempre ai sensi 1.8. Con l'ottavo motivo la ricorrente principale ha dedotto dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione, con - riferimento alla sentenza definitiva (n. 1316/2014), dell'art. 533 c.c. in ordine alle risultanze della c.t.u. contabile e, in relazione alla sentenza non definitiva (n. 495/2014), del principio del giusto processo secondo l'id quod plerumque accidit con riguardo alla perizia dell'immobile. -1.9. Con la nona doglianza la suddetta ricorrente ha denunciato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. · la violazione o falsa applicazione dell'art. - 2059 c.c. in tema di risarcimento dei danni morali sul presupposto che, con riferimento alla relativa domanda proposta, la Corte di appello aveva 5 apoditticamente statuito che non ne sussistevano le condizioni menzionando la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 26972/2008, ma senza dare conto, in concreto, della effettiva valutazione delle circostanze fattuali sulla base delle quali avrebbe dovuto esprimere il suo giudizio con riferimento alla sussistenza (o meno) del livello di tollerabilità dell'offesa conseguente all'assunta condotta illecita ascritta al R A e della futilità (o meno) del correlato pregiudizio, sulla scorta dei parametri individuati con la suddetta sentenza di legittimità.
1.10. Con il decimo ed ultimo motivo la difesa della R I ha dedotto con riferimento al'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c. in tema di regolazione delle spese di lite.
2. Motivi del ricorso incidentale.
2.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale proposto nell'interesse dei controricorrenti è stato dedotto - in ordine all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. 1 l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti avuto riguardo alla rilevata sussistenza di una simulazione dell'intestazione dell'azienda.
2.2. Con la seconda censura del ricorso incidentale è stato denunciato un ulteriore vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in merito al ritenuto obbligo di conferimento del controvalore dei titoli Rendicredit.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso incidentale è stato prospettato un altro vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in ordine all'obbligo della controparte di corrispondere un'indennità a favore del R A per l'occupazione dell'immobile di v R, qualificato come obbligo di conferimento del controvalore dei titoli Rendicredit.
3. Esame dei motivi del ricorso principale.
3.1. Il primo motivo formulato nell'interesse della R I è infondato in ordine ad entrambi i profili in cui esso si scompone. In primo luogo va escluso che si sia configurato il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di petizione ereditaria con riguardo alla successione paterna e 6 con specifico riferimento all'azienda commerciale (di cui il genitore Ramalli Benito si sarebbe dovuto considerare come l'effettivo titolare) sul presupposto che la stessa fosse strumentale all'esercizio di un'impresa familiare, connotazione, quest'ultima, che, invece, la Corte di appello ha escluso (per come evincibile dal combinato disposto dei relativi passaggi riportati alle pagg. 9 e 11 della sentenza non definitiva), facendone discendere la conseguenza che la sola azienda faceva parte del cespite ereditario risultando irrilevanti le successive vicende riguardanti la sua titolarità. Pertanto, in dipendenza di questa valutazione (direttamente riferibile alla domanda principale della R I), la Corte genovese ne ha desunto che il petitum complessivamente dedotto dall'attuale ricorrente principale non avrebbe potuto che investire la sua richiesta come formulata in via subordinata diretta all'accertamento del controvalore economico dei suoi diritti successori afferenti le partecipazioni aziendali e/o societarie sia in riferimento all'asse ereditario paterno che di quello materno. Anche il secondo profilo del motivo in esame è destituito di fondamento non ravvisandosi il prospettato vizio di ultrapetizione, dal momento che - avendo il R A incontestatamente invocato (per come emerge specificamente anche dalle sue conclusioni riportate in entrambe le sentenze impugnate) di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria chiedendo, però, di dichiarare la indivisibilità in natura del complesso immobiliare caduto in successione non poteva, per effetto di quest'ultima istanza, che discendere la necessità di procedere alla divisione dei cespiti ereditari in due lotti indipendenti (come, per l'appunto, ha fatto il giudice di appello).
3.2. Osserva il collegio che è, invece, fondato il secondo motivo del ricorso principale. -E' rimasto accertato in sede di merito come ritenuto dal giudice di primo grado con statuizione confermata sul punto all'esito del giudizio di appello - che, sul presupposto che l'azienda di ferramenta gestita dal padre delle parti in causa era entrata a far parte del complessivo compendio ereditario, la stessa, pur essendo stata formalmente intestata al R A (in sede di atto di acquisto nel 1978, per poi essere, da ultimo, conferita nella società "Aurelio 7 Ramalli & c. s.a.s., a seguito del decesso della madre), era stata, in effetti, totalmente acquistata con esborsi economici operati dal R B, come -del resto pacificamente riconosciuto dal medesimo R A. Da ciò derivava che l'acquisto in questione aveva costituito oggetto di una donazione indiretta in favore del R A che avrebbe dovuto considerarsi proprietario dei beni aziendali fin dall'originaria operazione commerciale di acquisizione del patrimonio aziendale (non ostando il successivo conferimento alla predetta società, la quale doveva considerarsi solo come una mera operazione per assegnare una veste formale più semplice alla trasmissione dell'azienda dai genitori al figlio), il cui relativo onere economico era, tuttavia, stato sopportato per intero mediante l'impiego di mezzi propri del genitore R B. Di conseguenza il complesso dei beni costituenti l'azienda in discorso doveva ritenersi soggetto a collazione ai sensi dell'art. 737 c.c. in relazione agli artt. 746 e 750 c.c. (la cui violazione risulta specificamente prospettata con il motivo in esame), con la relativa applicabilità della inerente disciplina prevista nella disposizione normativa da ultimo richiamata, essendosi venuto a trovare il donatario in una situazione di concorrenza con la sorella in presenza di un asse ereditario da dividere, con conseguente formazione delle quote (e l'assegnazione delle stesse) in favore dei condividenti, le quali devono essere valutate in modo retroattivo alla data dell'apertura della successione in dipendenza del carattere dichiarativo della divisione. Ed è proprio con riguardo a quest'ultimo aspetto che si è venuta a configurare la denunciata violazione di legge avendo, invece, la Corte territoriale rilevato che la valutazione dell'azienda avrebbe dovuto essere effettuata "al momento attuale (per omogeneità con l'immobile), ed alla successiva formazione dei lotti" e, quindi, con riferimento anziché a quello dell'apertura della - successione - al momento della divisione giudizialmente disposta, con correlata erronea incidenza sulla determinazione del valore complessivo del compendio ereditario in funzione della corrispondente formazione delle quote da attribuirsi legittimamente ai condividenti. 8 Anche la pregressa giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 502/2013 e, ultimo, Cass. n. 20258/2014) ha avuto, in proposito, modo di sottolineare come mentre è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, va compiuta, secondo le modalità previste dall'art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall'azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione. A questo principio di diritto dovrà conformarsi il giudice di rinvio. L'accoglimento di questo motivo comporta l'assorbimento sia del successivo quarto motivo, siccome afferente alla medesima questione giuridica con riguardo al criterio temporale di riferimento per la stima del valore dell'immobile caduto in successione sito in v R (incidente, quindi, sulla rideterminazione del valore complessivo dei beni ricompresi nella massa ereditaria), che del decimo motivo, concernente la regolazione delle spese processuali, sulle quali, per effetto della cassazione delle impugnate sentenze, dovrà ripronunciarsi lo stesso giudice di rinvio.
3.3. Va, invece, dichiarata inammissibile la terza censura del ricorso principale, poiché – al di là dell'individuazione nella sua epigrafe delle asserite violazioni essa si risolve, nel suo svolgimento, nella mera esposizione di pronunce giurisprudenziali sulla distinzione tra la petizione di eredità e l'azione di accertamento della qualità di erede, senza, tuttavia, contenere alcuno svolgimento logico-giuridico a sostegno delle denunciate violazioni tale da farne comprendere l'eventuale sussistenza. Pertanto, essa si connota priva della necessaria specificità, imposta in particolare - dal mancato rispetto - dell'art. 366, comma 1, n. 3), c.p.c., e, come tale, è da ritenersi inammissibile. 9 3.4. Anche il quinto motivo del ricorso della R I incorre nella stessa conseguenza dell'inammissibilità, siccome difettante dell'indispensabile specificità, non risultando puntualmente richiamato il contenuto degli atti processuali dove era stata fatta la richiesta indicata nel motivo in questione con riferimento all'asserito obbligo del germano Aurelio di restituire i frutti dell'azienda che era stata dallo stesso esclusivamente gestita. A tal proposito è evidente che il mero riferimento alle conclusioni, alla verbalizzazione dell'udienza di giuramento del c.t.u. e al verbale di udienza in cui erano state precisate le conclusioni, è del tutto inidoneo ad assolvere all'onere di specificità nella proposizione del motivo incombente sulla parte ricorrente.
3.5. Pure il sesto motivo va dichiarato inammissibile perché sempre in osservanza del principio di specificità - non risulta trascritto il contenuto del richiamato documento (la scrittura privata del 28 luglio 2005), dal quale si darebbe dovuto desumere l'asserito riconoscimento di debito del fratello con riguardo alla circostanza di aver percepito maggiori somme dagli assi ereditari per l'indicata somma di euro 100.000,00. E', infatti, pacifico per la giurisprudenza di questa Corte che il ricorrente per cassazione, ove denunci l'esistenza di vizi della sentenza correlati all'omessa valutazione, da parte del giudice di merito, di un documento, ha l'onere sia di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l'errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, sia di indicare specificamente, nel ricorso, anche mediante integrale trascrizione, il contenuto esatto del documento asseritamente pretermesso. Tale obbligo deve esser assolto per dar modo al giudice di legittimità di verificare la validità e la decisività delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per cassazione, stante il principio di necessaria specificità di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, in proposito, svolgere funzione sostitutiva il richiamo "per relationem" ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio.
3.6. Il settimo motivo si profila, anch'esso, inammissibile siccome attinge una valutazione di merito adeguatamente motivata dalla Corte di appello genovese, laddove ha accertato (v. pag. 7 della sent. definitiva) che il magazzino di v. 10 Pasubio, acquistato nel 1996 dai coniugi R A e M M non poteva essere imputato a titolo di collazione, difettando qualsiasi prova idonea che esso avesse costituito oggetto di donazione indiretta.
3.7. L'ottavo motivo incorre nella stessa sanzione dell'inammissibilità poiché, pure esso, investe una valutazione di merito, avendo la Corte territoriale ritenuto (nella sentenza non definitiva: v. pag.10 in fondo), con motivazione sufficiente, idoneamente basata sulle risultanze obiettive dell'espletata c.t.u. la determinazione del valore accertato relativamente all'immobile di v R, giustificando, poi, altrettanto motivatamente (costituendo, peraltro, la relativa ammissione esercizio di un potere squisitamente discrezionale del giudice: cfr., tra le tante, Cass. n. 17693/2013 e, da ultimo, Cass. n. 22799/2017), anche sulla non necessità della sua rinnovazione (v. pag. 11 sentenza definitiva), sul presupposto che la prima era stata effettuata nel rispetto del contraddittorio ed aveva soddisfatto, in modo logico e convincente, le esigenze correlate al disposto accertamento tecnico-estimativo.
3.8. Ritiene il collegio che è, invece, fondato il nono motivo che concerne la sentenza non definitiva nella parte in cui (v. pag. 14) ha escluso il riconoscimento dei danni morali asseritamente sofferti dalla R I e dalla stessa specificamente richiesti. La pronuncia al riguardo è, infatti, del tutto apodittica, ponendosi genericamente esclusivo riferimento alla sentenza di questa Corte n. 26972/2008 resa a Sezioni unite;
tuttavia, il giudice di appello non ha minimamente motivato sul perché il pregiudizio paventato fosse futile omettendo di valutare tutte le circostanze