Cass. pen., sez. VI, sentenza 08/03/2023, n. 09839
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Testo completo
a seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da I G, nato a Portici il 20/08/1960 avverso la sentenza del 08/04/2022 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E G;
udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale N L, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato;
udite le conclusioni del difensore della Parte civile Agenzia delle Entrate, Avvocato dello Stato L V che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, depositando conclusioni scritte e nota spese;
udite le conclusioni del difensore dell'imputato, Avvocato M G, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATI-0 1. La Corte di appello di Roma con sentenza dell'8 aprile 2022 - in parziale riforma di quella di primo grado del locale Tribunale che aveva riqualificato in induzione indebita il fatto originariamente contestato quale corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 cod. pen.) - ha, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, condannato I alla pena di anni quattro di reclusione riducendo la durata della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici a cinque anni.
2. Avverso la condanna in appello l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale sono articolati tre motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata - anche sotto il profilo di travisamento della prova - in riferimento alla condotta attribuita all'imputato, che sarebbe consistita nel consigliare la "strategia più favorevole alla controparte svolta per la sospensione della procedura esecutiva": ciò in quanto l'adozione del relativo provvedimento - peraltro del tutto legittimo e condiviso dai giudici tributari di appello - non è stata posta in essere dall'I ma dal direttore dell'Agenzia delle entrate di Pescara, senza che su tale decisione abbia spiegato alcuna influenza l'imputato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali e vizio di motivazione in relazione alla affermazione di penale responsabilità, pur essendo manifesta la mancanza di riscontri alle dichiarazioni dibattimentali rese ai sensi dell'art. 197 bis c.p.p. dal consulente fiscale della CROS (che aveva "patteggiato" per induzione indebita).
2.3. Con il terzo motivo, infine, si deduce l'illegittimità del rigetto delle richieste avanzata in appello di diversa qualificazione del fatto contestato. Invero, accertato che il provvedimento di sospensione dell'esecuzione tributaria, legittimo, non rientrava nelle competenze dell'I e che l'iniziativa di richiedere la somma di denaro non era partita dal predetto ma era stata una autonoma decisione dei rappresentanti della CROS, potrebbe, al più, ritenersi
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E G;
udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale N L, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato;
udite le conclusioni del difensore della Parte civile Agenzia delle Entrate, Avvocato dello Stato L V che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, depositando conclusioni scritte e nota spese;
udite le conclusioni del difensore dell'imputato, Avvocato M G, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATI-0 1. La Corte di appello di Roma con sentenza dell'8 aprile 2022 - in parziale riforma di quella di primo grado del locale Tribunale che aveva riqualificato in induzione indebita il fatto originariamente contestato quale corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 cod. pen.) - ha, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, condannato I alla pena di anni quattro di reclusione riducendo la durata della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici a cinque anni.
2. Avverso la condanna in appello l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale sono articolati tre motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata - anche sotto il profilo di travisamento della prova - in riferimento alla condotta attribuita all'imputato, che sarebbe consistita nel consigliare la "strategia più favorevole alla controparte svolta per la sospensione della procedura esecutiva": ciò in quanto l'adozione del relativo provvedimento - peraltro del tutto legittimo e condiviso dai giudici tributari di appello - non è stata posta in essere dall'I ma dal direttore dell'Agenzia delle entrate di Pescara, senza che su tale decisione abbia spiegato alcuna influenza l'imputato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali e vizio di motivazione in relazione alla affermazione di penale responsabilità, pur essendo manifesta la mancanza di riscontri alle dichiarazioni dibattimentali rese ai sensi dell'art. 197 bis c.p.p. dal consulente fiscale della CROS (che aveva "patteggiato" per induzione indebita).
2.3. Con il terzo motivo, infine, si deduce l'illegittimità del rigetto delle richieste avanzata in appello di diversa qualificazione del fatto contestato. Invero, accertato che il provvedimento di sospensione dell'esecuzione tributaria, legittimo, non rientrava nelle competenze dell'I e che l'iniziativa di richiedere la somma di denaro non era partita dal predetto ma era stata una autonoma decisione dei rappresentanti della CROS, potrebbe, al più, ritenersi
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