Cass. pen., sez. I, sentenza 18/05/2018, n. 22299

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 18/05/2018, n. 22299
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 22299
Data del deposito : 18 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

nciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da: M V, nato il 28/07/1979;
Avverso l'ordinanza n. 72/2017 del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 07/04/2017;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. A M;
Lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. E C, che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Con ordinanza in data 07/04/2017 il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice dell'esecuzione, accoglieva l'istanza di riconoscimento della continuazione avanzata da M V relativa a tre sentenze di condanna (sentenza GIP del Tribunale di Napoli 19/09/2014;
sentenza GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 16/10/2013;
sentenza GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 16/07/2014). Rilevava il GIP che i reati giudicati con dette sentenze erano evidentemente tutti realizzati nell'ambito di un'unica deliberazione, consistendo essenzialmente in rapine commesse con modalità operative uguali in un arco temporale ristretto;
osservava, inoltre, che i reati di cui alla prima e alla seconda sentenza erano stata già riconosciuti come avvinti dalla continuazione dal GIP del Tribunale di Napoli con ordinanza del 28/10/2016: tuttavia ora il nuovo riconoscimento imponeva di ritenere come reato più gravemente punito quello di cui alla terza sentenza con unico capo di imputazione, pari ad anni quattro di reclusione ed C 1.200,00 di multa, cui andava aggiunto un anno di reclusione ed C 200,00 di multa per ognuna delle altre tre rapine e mesi due di reclusione ed C 100,00 di multa per l'ulteriore reato di lesioni personali, per una pena finale di anni sette e mesi due di reclusione ed C 1.900,00 di multa. Avverso detta ordinanza propone ricorso l'interessato personalmente. Col primo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità di motivazione: sostiene che per la rapina di cui alla prima sentenza il giudice dell'esecuzione aveva inflitto un aumento in continuazione pari ad anni uno di reclusione ed C 200,00 di multa mentre il giudice della cognizione aveva inflitto per lo stesso reato in continuazione un aumento pari a mesi nove di reclusione ed C 600,00 di multa, per cui era stato ora applicato un aumento maggiore di quello stabilito in cognizione. Col secondo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., manifesta illogicità di motivazione: sostiene che gli altri aumenti di pena erano stati gravosi e privi di adeguata motivazione circa il comportamento processuale e il risarcimento dei danni. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbe il secondo. In effetti, per come indicato in precedenza, nell'ordinanza impugnata il giudice dell'esecuzione (pag. 4 della stessa) ha indicato l'aumento dovuto alla continuazione in anni uno di reclusione ed C 200,00 di multa per ciascuna altra rapina: tuttavia, nella sentenza del GIP del Tribunale di Napoli in data 19/09/2014, l'aumento in continuazione per una delle rapine considerate nella pronunzia (nel dettaglio, quella di cui al capo A della rubrica) era stato quantificato in mesi nove di reclusione ed C 600,00 di multa. In senso contrario, però, è l'orientamento di cui alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 6296 del 24/11/2016, Rv 268735, la quale ha ribadito che, in tema di continuazione, la possibilità di non tenere conto del giudicato in punto di trattamento sanzionatorio è strettamente correlata all'esigenza di salvaguardare il principio del favor rei: di conseguenza sarebbe doppiamente asistematica un'interpretazione delle disposizioni che consentono il superamento del giudicato al fine del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva verso un approdo tale da facoltizzare l'applicazione di un trattamento sanzionatorio anche solo pro quota più sfavorevole. Infatti, il modello processuale delineato dagli artt. 666 e ss. cod. proc. pen. prevede che il giudice dell'esecuzione venga adito direttamente dall'interessato, il quale con la domanda delinea l'ambito della conoscenza rimessa al giudice, sicché questi, secondo il principio devolutivo, non può introdurre effetti non domandati, peggiorativi della posizione dell'istante, in assenza di richieste in tal senso della pubblica accusa. Pertanto, la predetta sentenza ha stabilito il seguente principio, cui il Collegio aderisce: «Il giudice dell'esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna». Nella fattispecie, invece, il giudice dell'esecuzione ha applicato un aumento per continuazione superiore a quanto stabilito dal giudice della cognizione;
peraltro, in relazione alla continuazione con il reato di lesioni personali, il giudice dell'esecuzione ha applicato un aumento di pena pecuniaria che il giudice della cognizione non aveva inflitto. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi