Cass. civ., SS.UU., sentenza 07/02/2018, n. 2990

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La declaratoria di nullità dell'interposizione di manodopera per violazione di norme imperative e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina, nell'ipotesi in cui per fatto imputabile al datore di lavoro non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, l'obbligo per quest'ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora decorrente dal momento dell'offerta della prestazione lavorativa, in virtù dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003, che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3,36 e 41 Cost.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 07/02/2018, n. 2990
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 2990
Data del deposito : 7 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

RG n 19197/2015 2990-18 ESENTE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Oggetto Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: RETRIBUZIONE RENATO RORDORF - Primo Pres.te f.f. - RAPPORTO PRIVATO FRANCESCO TIRELLI Presidente Sezione - Ud. 19/12/2017 - - Rel. Consigliere - ENRICA D'ANTONIO PU R.G.N. 19197/2015 BIAGIO VIRGILIO Consigliere - Pron 2990 Rep. من ANTONIO GRECO Consigliere - LUCIA TRIA -- Consigliere - CARLO DE CHIARA -Consigliere - RAFFAELE FRASCA Consigliere - M A - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 19197-2015 proposto da: RIBECA SNNA, ALTERIO ALESSANDRA, VENDEMMIA PAOLA, MARIOTTI PATRIZIA, CASTAGNINI CRISTINA, ROSSETTI CLAUDIA, FRASCHETTI FULVIO, GI G, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 123, presso lo studio dell'avvocato B S, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti -

767 1 1Z RG n 19197/2015

contro

SOGEI SOCIETA' GENERALE D'INFORMATICA S.P.A., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell'avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SIMONE PIETRO EMILIANI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 8979/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 16/01/2015. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. ENRICA D'ANTONIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Benedetto Spinosa e Giampiero Proia.

Fatti di causa

La Corte d'appello di Roma , con la sentenza qui impugnata, ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale il primo giudice aveva accolto le opposizione proposte dalla soc SOGEI avverso i decreti ingiuntivi, emessi su istanza di Paola Vendemmia, Alessandra Alterio, Cristina C, Fulvio F, Giuliana Galletti, Patrizia M, Susanna Ribeca e Claudia R , con i quali era stato ingiunto alla società il pagamento di Euro 12 .256,17 a favore di ciascuno dei ricorrenti, a titolo di retribuzioni per il periodo agosto 2009/ febbraio 2010. La Corte territoriale ha esposto che i decreti ingiuntivi erano basati sulla sentenza del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l'interposizione fittizia di manodopera nell'appalto di servizi tra la soc SOGEI e la soc COS, con conseguente riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato dei ricorrenti con la prima società ;
che la SOGEI non aveva ottemperato all'ordine di ripristino del rapporto di lavoro e che, pertanto, i ricorrenti ritenevano di avere diritto alle 2 RG n 19197/2015 retribuzioni maturate e non solo al risarcimento del danno, dalla ' messa in mora della società. Secondo la Corte d'appello doveva, invece, essere confermato l'orientamento in base al quale si era affermato che l'obbligazione retributiva poteva sorgere solo a fronte della prestazione lavorativa, costituendo l'erogazione del trattamento economico in mancanza di I lavoro, un'eccezione necessariamente oggetto di un'espressa previsione di legge o di contratto. La Corte ha rilevato, altresì, che la qualificazione in termini risarcitori,e non retributivi,dell'obbligazione che gravava sul datore di lavoro, nell'ipotesi di accertata continuità giuridica del rapporto e di difetto della prestazione lavorativa, era stata costantemente affermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte in riferimento a molteplici fattispecie assimilabili al caso di esame. La Corte d'appello ha, quindi, concluso affermando che l'omesso ripristino del rapporto di lavoro , pur a fronte di una tempestiva messa a disposizione dell'energie lavorative, rilevava esclusivamente sul piano risarcitorio ,con conseguente eccepibilità dell'aliunde perceptum ,e che , nella fattispecie anche ad interpretare la ' domanda come risarcitoria,non avrebbe potuto essere accolta,per effetto della detraibilità delle somme di pari importo ricevute dai lavoratori, nel medesimo periodo, a titolo di retribuzione dalla soc COS, presso la quale avevano continuato a lavorare. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso in Cassazione i lavoratori con tre motivi a cui ha resistito la soc .SOGEI. Con istanza depositata l'8/3/2017 gli odierni ricorrenti hanno chiesto la rimessione del presente procedimento alle Sezioni Unite ex art. 376, comma 2, c.p.c., prospettando (anche l'esistenza di un contrasto tra sezioni semplici concernente) la questione di particolare rilevanza circa la natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore, il quale, dopo la declaratoria giudiziale che ha accertato 3 RG n 19197/2015 l'illecita interposizione di manodopera, offerte le proprie energie lavorative, non sia stato riammesso in servizio. Accolta l'istanza e fissata la causa per la decisione, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art 378 cpc. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo i ricorrenti denunciano "la violazione e falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c. nonché degli artt. 115 e 116 cpc,in relazione ai n. 3 e 4 dell'art. 360 c.p.c." ,in quanto la Corte territoriale, dopo aver individuato correttamente la richiesta dei ricorrenti come adempimento e non come risarcimento del danno, avrebbe osservato, erroneamente, che «quand'anche la domanda potesse essere esaminata anche sotto il diverso profilo del diritto al risarcimento del danno (...) non potrebbe trovare accoglimento, per effetto della detraibilità, dal danno sofferto, delle somme (di pari importo a quelle reclamate) ricevute nel periodo a titolo di retribuzione dalla società appaltatrice». 'Osservano infatti, che,quanto meno per la ricorrente Paola Vendemmia, la SOGEI non aveva prodotto le busta paga poiché la stessa era disoccupata e , pertanto, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato nei suoi confronti un principio di diritto afferente ad altra fattispecie, così risultando viziata di nullità, sia la sentenza,sia il procedimento.

2.Con il secondo motivo denunciano violazione e falsa applicazione degli articoli 1206, 1207, 1453 e 1460 c.c., nonché dell'art. 112 c.p.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., nonché vizio di motivazione ;
violazione e falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c. , nonché degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione ai n. 3 e 4 dell'art. 360 c.p.c.. --Lamentano che erroneamente la Corte territoriale aveva fatto riferimento, per affermare che la retribuzione era sempre legata alla prestazione lavorativa, al precedente di questa Corte n. 19470/2008 ( rectius 19740/2008) Osservano che nella citata sentenza , in . relazione alla cessione di ramo d'azienda, era stato "condivisibilmente 4 ق ر ب RG n 19197/2015 affermato" che l'obbligazione retributiva ,connessa al rapporto di lavoro,deve essere adempiuta, ma non due volte dallo stesso datore di lavoro, mostrando di dare continuità al precedente della Cassazione ( 21006/2005), ove si era affermato che l'aliunde perceptum non rilevava e che non si trattava di risarcimento, ma di adempimento. Osservano, ancora, che la Corte d'appello era incorsa in errore di fatto, tradottosi in errore di diritto, poiché dopo la cessazione 11 dell'appalto il rapporto trilatero tra lavoratori, committente e appaltatore è cessato a parere dei ricorrenti, e, pertanto, permangono due distinti rapporti, da un lato, quello accertato con sentenza che ha « fatto rivivere il sinallagma genetico» e, dall'altro, quello tra alcuni lavoratori e un altro datore di lavoro».

3.Con il terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1453 e 1460 c.c., nonché dell'art. 112 c.p.c. ,in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., insufficiente,carente e omessa pronuncia . '--Si dolgono che ,secondo la Corte d'appello l'obbligazione retributiva non poteva sorgere solo per effetto della nullità dell'appalto di servizio, nonché dell'affermazione della Corte secondo cui l'art 18 stat lav aveva unificato i periodi anteriori e posteriori alla reintegra sotto lo stesso comune denominatore dell'obbligo risarcitorio, con la conseguenza che, anche in caso di appalto nullo ,sussisteva, secondo la Corte, solo il risarcimento che, nella specie, stante l'aliunde perceptum era inesistente . Lamentano che avevano chiesto l'adempimento e la Corte non aveva spiegato perché non spettasse la retribuzione, anche se il rapporto di lavoro era esistente ed il datore di lavoro aveva impedito di lavorare. --Sostengono che al caso in esame era applicabile la disciplina comune, in mancanza di una disciplina specifica, come quella dettata dall'art. 18 (vecchio testo) della legge n. 300 del 1970 , o per il بہت contratto a termine, e rilevano che, secondo la disciplina comune del 5 RG n 19197/2015 rapporto di lavoro, ove il datore di lavoro decida di non far lavorare il proprio dipendente, deve comunque corrispondergli la retribuzione ed insistono nel ritenere che il sinallagma genetico tra le obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro , accertato con la sentenza del Tribunale di Roma come persistente, impediva di ritenere interrotta la prosecuzione del rapporto di lavoro dall'inadempimento datoriale alla riammissione in servizio . Deducono che non poteva avere rilevanza la retribuzione percepita in forza di altri rapporti di lavoro nel frattempo instaurati, trattandosi di un fatto subito dai lavoratori , e che la violazione dell'obbligo di riammettere in servizio il lavoratore non poteva essere degradato ad un mero potere discrezionale di scelta, tra adempimento e risarcimento del danno, tenuto conto che l'art. 1453 c.c. dispone il risarcimento del danno ,come aggiuntivo e non sostitutivo all'adempimento. Osservano che dare rilevanza all'aliunde perceptum significava sostanzialmente privare di tutela specifica il lavoratore, il cui rapporto di lavoro fosse stato illegittimamente interrotto.

4. Con l'istanza di rimessione alle Sezioni Unite gli odierni ricorrenti hanno prospettato (anche l'esistenza di un contrasto tra sezioni semplici concernente) la questione

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