Cass. pen., sez. V trib., sentenza 26/01/2021, n. 03189

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 26/01/2021, n. 03189
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 03189
Data del deposito : 26 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: GAVINELLI PAOLO nato a BELLINZAGO NOVARESE il 25/04/1948 avverso la sentenza del 01/07/2019 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M T B;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore O M che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' del ricorso. --- udito il difefore

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Novara - che aveva ritenuto P G, nella qualità di socio accomandatario della società GP 2 GROUP di G Paolo & C. s.a.s. , colpevole di bancarotta patrimoniale ( capo A), e revocato la sospensione condizionale precedentemente concessa per altra condanna, inflitta dal Tribunale di Novara con sentenza del 31/10/2007, irrevocabile il 21/12/2007 - ha ridotto la pena accessoria, commisurandola a quella principale, confermando, nel resto, la decisione del primo giudice.

2. Propone ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, il quale svolge due motivi.

2.1. Vizio della motivazione, perché contraddittoria e manifestamente illogica, nella parte in cui ha ritenuto configurabile la distrazione attraverso prelevamenti dalle casse sociali in acconto utili mai maturati. Deduce il ricorrente che la fallita non ebbe alcun utile poiché il bilancio annuale fu sempre passivo, che non vi è prova della destinazione dei prelievi a finalità estranee all'attività sociale, e che il prelievo dalle casse sociali fu immediatamente denunciato dal ricorrente al momento della dichiarazione di fallimento, attraverso la indicazione di credito sociale pari all'importo prelevato. Donde, l'insussistenza del reato o, comunque, del dolo, rilevando un mero indizio, insufficiente a configurare la distrazione, e potendosi trarre dal comportamento dell'imputato segni significativi della buona fede.

2.2. Vizio della motivazione anche con riguardo alla revoca, ex art. 168 cod. pen., della sospensione condizionale, trattandosi di pena oramai prescritta, e, dunque, estinta. DA qui la possibilità del ricorrente di beneficiare della sospensione condizionale della pena nel presente giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.

1.La Corte di appello, incontestato il fatto nella sua oggettività - costituito dal prelevamento, in tempi diversi, di cospicue somme di danaro dalle casse sociali - ha dato atto della assenza di giustificazioni di tale condotta, rilevando, invece, che la società non aveva mai conseguito alcun utile nei vari esercizi dei pochi anni di vita;
non era mai stata autorizzata la liquidazione di compensi in favore degli amministratori;
non era stata fornita alcuna prova della reale destinazione del denaro a finalità proprie dell'impresa. Così ricostruito il quadro indiziario, ha concluso, conformemente al primo giudice, nel senso che gli importi prelevati fossero stati distratti per fini personali.

1.1. Replicando, poi, alla deduzione difensiva circa l'insussistenza dell'elemento soggettivo - fatta palese, secondo la Difesa, dalla circostanza che i prelievi fossero stati indicati nell'attivo della società, e, quindi, facendo leva sulla trasparente condotta imprenditoriale del ricorrente - la Corte territoriale ha, tuttavia, osservato che, al più, il reato avrebbe potuto escludersi ove fosse stata ravvisabile una fattispecie di bancarotta riparata. Tuttavia, essa è stata esclusa dai giudici di merito non essendo intervenuta, come richiesto, la integrale reintegrazione del patrimonio sociale, dal momento che il ricorrente si è limitato a denunciare, tre giorni dopo il fallimento, i crediti sociali, peraltro già individuati dal curatore, senza restituire alcunchè.

1.2. Le valutazioni della Corte territoriale - peraltro conformi alla decisione del Tribunale, che ha argomentato in modo ampio, puntuale e analitico il proprio convincimento - sono allineate al costante insegnamento di questa Corte - anche richiamato in sentenza - secondo cui, premesso che il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito, in cui si concretizza l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti ( Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741;
Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385;
Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004 , Rv. 231411;
Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L'indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l'imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell'impresa per l'adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell'imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell' integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l'evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell'onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo ( nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiché, anche in ragione dell'obbligo di verità gravante sul fallito ai sensi dell'art. 8 comma 3 della legge fallimentare con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale, si tratta di legittima sollecitazione affinchè il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell'impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato. (Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998 (dep. 1999 ) Rv. 212606;
Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, Rv. 249715;
Sez. 5 - , n. 55805 del 03/10/2018, Rv. 274621).

1.3. Il percorso giustificativo seguito dalla Corte di appello è corretto, poiché i giudici di merito hanno tratto dal mancato rinvenimento, all'atto della dichiarazione di fallimento, delle somme prelevate dalle casse sociali, e dall'assenza di giustificazioni da parte del fallito, sul quale gravava l'onere dimostrativo, la valida presunzione della loro dolosa distrazione, essendone pacifica la previa disponibilità, da parte dell'imputato, per come pacificamente accertata nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 Rv. 248425). La decisione gravata si è, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell'art.192 c.p.p., al fine di affermare la responsabilità dell'imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all'atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell'imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Rv. 248425 cit. ). Il ricorrente, invece, si limita a sostenere la propria buona fede, per avere denunciato il prelievo senza, tuttavia, osservare l'onere dimostrativo su di lui gravante, circa la destinazione ( lecita) data alle somme ( oltre centomila euro), invece, sottratte alla garanzia creditoria.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi