Cass. civ., sez. I, sentenza 21/07/2005, n. 15321

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 21/07/2005, n. 15321
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15321
Data del deposito : 21 luglio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. P S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERI DELL'INTERNO e DELLA DIFESA, in persona dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;



- ricorrenti -


contro
B S;



- intimato -


avverso la sentenza del n. 143/01 del Giudice di pace di Forlì, depositata il 26/04/01;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 gennaio 2005 dal Relatore Cons. Dott. S P;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO P P M, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 28 febbraio - 26 aprile 2001, il Giudice di pace di Forlì, decidendo sull'opposizione proposta da B S avverso il verbale di accertamento dell'illecito amministrativo di guida con patente scaduta e l'applicazione del fermo amministrativo del veicolo per mesi due, disposto dal Prefetto di Forlì, dava atto che l'opponente "ha adempiuto a quanto di necessità per ripristinare la posizione di legale disponibilità del mezzo e revoca ogni provvedimento a suo carico".
Il Giudice rilevava che la materia del fermo è regolata da due norme apparentemente contraddittorie e incoerenti: l'art. 5, lettera d), della legge n. 205 del 1999, il quale stabilisce che in caso di guida
con patente scaduta sia disposto il sequestro fino a tre mesi;
l'art. 176 (recte: 126), comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, di attuazione della delega di cui alla
citata legge n. 205 del 1999, il quale prevede, per la medesima ipotesi, il fermo amministrativo fino a due mesi. Ad avviso del giudicante, il contrasto tra le due disposizioni doveva essere risolto nel senso di ritenere che la legge n. 205 non contiene una delega al Governo a intervenire sulla disciplina del fermo, avendo la medesima legge regolato in modo esaustivo la fattispecie, con la conseguenza che, ponendosi il decreto legislativo in contrasto assoluto con la delega, e non potendosi ad esso attribuire efficacia abrogativa della diversa disposizione contenuta nella legge di delega, doveva escludersi che la disposizione delegata fosse assurta al rango di norma primaria, il che escludeva altresì la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale, limitando l'art. 134 Cost. il sindacato della Corte costituzionale agli atti aventi forza di legge.
Ciò premesso il Giudice di pace riteneva che il fermo amministrativo potesse essere applicato dal Prefetto, nell'esercizio delle funzioni amministrative demandategli dalla legge, in via provvisoria, ancorché suscettibile di divenire definitivo in mancanza di opposizione, spettando all'autorità giudiziaria controllare, in sede di opposizione, la sussistenza delle condizioni legittimanti l'applicazione della misura disposta provvisoriamente dal prefetto. In quest'ottica, il fermo amministrativo dovrebbe configurarsi come misura meramente facoltativa, dovendosi altrimenti attribuire ai termini sequestro e fermo amministrativo, utilizzati dalle disposizioni prima richiamate, il medesimo significato. Il fermo del resto, ha carattere sanzionatorio, posto che va applicato anche nel caso in cui il veicolo appartenga a persona diversa da quella sorpresa a guidare con patente scaduta. In sostanza, osservava il Giudice di pace, bene fa la Pubblica amministrazione ad applicare il fermo di due mesi a chi è sorpreso a guidare con patente scaduta;
ma una volta proposta opposizione, il giudice deve verificare, con riferimento alla norma primaria, la cessazione delle condizioni di illegalità connesse alla guida con patente scaduta, all'avvenuto pagamento della pena pecuniaria e delle spese di custodia e al rinnovo della patente. Una volta verificati questi presupposti, e cioè che il contravventore è rientrato nella legalità, il Giudice può prima sospendere la misura del fermo e poi, all'esito del giudizio di opposizione, dichiarare la cessazione della materia del contendere. Evenienza, questa, che si era verificata nella specie. Per la cassazione della sentenza ricorrono i Ministeri dell'Interno e della Difesa, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato, sulla base di un motivo;
il B non ha svolto attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, le amministrazioni ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 126, comma 7, del codice della strada, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e violazione e falsa applicazione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ..
L'Avvocatura rileva che il citato art. 126, comma 7, a norma del quale, in caso di guida senza patente (o di guida con patente scaduta di validità), "alla violazione conseguono le sanzioni amministrative accessorie del ritiro della patente e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di due mesi", è disposizione di rango legislativo e pertanto non può essere disapplicata dall'autorità giudiziaria, ma solo sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953. Il Giudice di pace di Forlì, invece, ha disapplicato la disposizione suindicata, con ciò incorrendo nella denunciata violazione di legge. Del resto, poiché il fermo è una sanzione accessoria che, insieme al ritiro della patente, consegue necessariamente alla sanzione principale e non costituisce invece misura cautelare liberamente modulabile dall'amministrazione o dal giudice (in tal senso, v. anche Corte Cost., ordinanza n. 33 del 2001), sarebbe errata altresì la tesi del giudice di pace, secondo cui il rinnovo della patente di guida e il pagamento delle sanzioni pecuniarie farebbero venire meno la materia del contendere prima che sia esaurito il termine stabilito dalla legge per tale misura.
Il ricorso è inammissibile per omessa indicazione degli elementi di fatto di cui all'art. 366, n. 3, cod. proc. civ.. Giova premettere che, come questa Corte ha più volte affermato, "il disposto dell'art. 366, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena
d'inammissibilità, l'esposizione sommaria dei fatti di causa, risponde non ad un'esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato;
tale prescrizione può pertanto ritenersi osservata quando nel ricorso sia stata integralmente riportata l'esposizione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata, particolarmente se mediante tale trascrizione si forniscano gli elementi indispensabili per una precisa cognizione della vicenda processuale" (Cost. Cass., n. 18150 del 2004, che richiama Cass., S.U., n. 2602 del 2003). E non v'è dubbio che, a tal fine, alla trascrizione della sentenza in ricorso debba equipararsi l'allegazione, mediante spillatura, di copia della sentenza stessa, che vada cosi ad integrare parte del corpo del ricorso (in tal senso v. specificamente Cass. nn. 14001 e 19237 del 2003). Nell'uno come nell'altro caso si tratterà quindi di valutare se, in concreto, il contenuto della sentenza trascritta o allegata, e in particolare l'esposizione dei fatti in essa riportata, soddisfi l'esigenza sottesa al disposto dell'art. 366, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
Se dunque il requisito suddetto può essere soddisfatto anche mediante la fotocopiatura della sentenza impugnata ed il suo inserimento nel corpo del ricorso, e ciò in ragione del principio della libertà di forme che caratterizza il processo civile, tuttavia l'esposizione pur sommaria dei "fatti di causa" dovrà considerarsi carente se la sentenza impugnata a sua volta non contiene una sufficiente indicazione dei fatti della causa rilevanti ai fini della decisione (in tal senso, v. Cass., n. 1957 del 2004). Nella specie, il ricorso per Cassazione delle Amministrazioni dello Stato è stilato col sistema dell'inserimento, in esso, della sentenza impugnata fotocopiata, "ai fini dell'intelligenza dei fatti di causa". Trattasi, dunque, di modalità in astratto idonea ad integrare il requisito della esposizione sommaria dei fatti della causa. Ma nella sentenza del Giudice di pace di Forlì, inserita nel corpo del ricorso per Cassazione, non si rinviene alcun elemento che consenta di individuare quale fosse il provvedimento impugnato e quali i motivi di opposizione.
La sentenza, infatti, reca nell'oggetto l'indicazione "opposizione a sanzione amministrativa ex L. 689/91";
nelle conclusioni si da atto che l'opponente ha concluso chiedendo l'annullamento previa sospensione del verbale impugnato e che le amministrazioni opposte (Prefetto della Provincia di Forlì - Cesena e Regione Carabinieri Emilia-Romagna - Compagnia di Meldola) hanno concluso chiedendo il rigetto dell'opposizione proposta dal sig. B. Nella parte intitolata "fatto e diritto", non vi è alcuna specifica indicazione che valga ad individuare la fattispecie: non si riferiscono, invero, nè l'infrazione contestata al Sig. B, ne' le modalità dell'accertamento, ne' le disposizioni di legge violate. La sentenza affronta, invece, sin dalle sue battute iniziali, la questione della "consistenza giuridica del fermo" e della "sua natura giuridica", rilevandosi che la materia è stata "regolata da due norme apparentemente contraddittorie ed incoerenti", e si sviluppa esclusivamente con riferimento alla individuazione della normativa applicabile, aggiungendo solo in conclusione che, "nel caso concreto si da atto che la pena pecuniaria è stata pagata, le spese di custodia pure, la patente è stata rinnovata". Ma si tratta, all'evidenza, di riferimenti che, non coordinati con l'indicazione della violazione contestata e con le altre particolarità della fattispecie, non consentono, da soli, di ritenere integrato il requisito della esposizione dei fatti della causa.
In conclusione, poiché manca, ai fini di una esaustiva esposizione dei fatti di causa (principio di autosufficienza del ricorso), una serie di indicazioni essenziali, le quali devono trovare spazio in una narrativa pur sommaria dei fatti di una causa di opposizione a sanzione amministrativa, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La parte che utilizza la sentenza impugnata come narrativa del "fatto" si addossa, invero, il rischio derivante dall'insufficienza della indicazione dei fatti di causa rilevabile dalla lettura della sentenza stessa (v. Cass., n. 1957 del 2004, cit.).
Quanto precede dispensa dall'entrare nel merito.
Non avendo l'intimato svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità, non vi è luogo a pronunciare sulle spese.

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