Cass. pen., sez. V, sentenza 24/05/2023, n. 22629
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CELHAKA KUJTIM (O PAJTIM) nato il 20/01/1978 avverso la sentenza del 13/12/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BARIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere I S;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L O che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso. udito il difensore L'avvocato G L S insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Prima Sezione Penale di questa Corte, con sentenza n. 6537/2020, ha annullato la sentenza in data 16 maggio 2017, con la quale la Corte di assise di appello di Bari aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di K C per il delitto di omicidio volontario, consumato in Foggia l'8 settembre 1999 in concorso con E e L V ed A P T, in danno di H T, colpito da cinque colpi di arma da fuoco all'interno di un podere, disponendo il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari, da compiersi mediante una «nuova e più accurata delibazione della questione controversa - ossia «la responsabilità concorsuale di K C in ordine al reato in contestazione» - se del caso supportata da opportuni approfondimenti istruttori in ordine, in primo luogo, all'effettivo rapporto di parentela tra K C, nato a Durazzo il 20 gennaio 1978, ed i fratelli E e L V, nonché alle sue caratteristiche somatiche e, ove possibile, all'identità del soggetto, conosciuto come «T», che prestò attività lavorativa alle dipendenze di D P, M P, M G e L R». 2. La Corte di assise di Appello di Bari, con la sentenza in data 13 dicembre 2021 emessa all'esito del giudizio di rinvio, ha confermato la sentenza di condanna di K C, emessa dalla Corte di assise di Foggia in data 24 novembre 2009, argomentando, in ordine al tema devolutole, ossia quello dell'individuazione dell'imputato come componente del commando omicida, nel modo che segue: I) non poteva essere messo in discussione l'apporto fornito da S T - attinto da un colpo durante la sparatoria -, il quale, escusso in dibattimento, aveva identificato il terzo componente della spedizione di fuoco indicandolo con il nome di «T», cugino dei fratelli E e L V, avendolo, lo stesso giudice rescindente, stimato attendibile, anche perché «coerente, oltre che con le dichiarazioni acquisite per sopravvenuta irreperibilità (ossia, quelle rese nella fase delle indagini preliminari da Luftar Rrokay, Labi Lulezim e Renato Lame), con il contatto telefonico registrato, alla presenza dei militi, tra Pompeo Addolorato Todisco ed il soggetto, di nome «T» che, subito dopo l'omicidio, si era allontanato alla volta del Nord Italia, e con le dichiarazioni rese da coloro alle cui dipendenze i Luan e «T» erano stati occupati, concordi nell'attestare che i tre, il giorno successivo al fatto di sangue, non si erano presentati sul luogo di lavoro»;II) sebbene S T e R Luftar non avessero effettuato alcuna individuazione fotografica del terzo partecipante alla violenta aggressione, costoro, tuttavia, l'avevano chiaramente identificato, indicandone il nome (K C), la nazionalità (albanese), l'apparente età (venti anni), le caratteristiche fisiche (alto circa m 1,70, con i capelli neri) e la qualità di «cugino del fratelli E e L V», di modo che l'indicazione dell'omicida non si era limitata al diminutivo «T», ma si era concretizzata nell'indicazione del nome, cognome ed età approssimativa, dati, questi, poi confermati in dibattimento e che avevano trovato riscontro nell'età anagrafica dell'imputato al momento fatto (ventuno anni e mezzo);III.) il dubbio circa eventuali omonimie era stato fugato, pur in assenza di accertamenti anagrafici relativi al rapporto di parentela esistente tra K C e i f V, mediante implementazione istruttoria in appello, escutendo i datori e i compagni di lavoro dei tre albanesi coinvolti nell'omicidio, nonché l'Ufficiale dei Carabinieri che a suo tempo aveva condotto le indagini ed acquisendo il cartellino foto- segnaletico dell'imputato - come pure la sentenza di condanna pronunciata a suo carico per un fatto di sangue analogo commesso in Carapelle un anno e mezzo dopo l'omicidio di H T -, avendo i compagni di lavoro riconosciuto nella foto segnaletica di K C colui da loro conosciuto come «Tim» o «T», che lavorava con loro presso i f P, tanto consentendo, oltretutto, di valutare come gravemente reticenti le dichiarazioni negatorie rese da questi ultimi, atteso che era improbabile che nei giorni in cui si consumò l'omicidio potesse trovarsi nelle campagne di Foggia un soggetto con le stesse caratteristiche fisiche di K C e della stessa età, appellato con il nomignolo di «Tim o T». Donde, identificato con certezza il soggetto che materialmente uccise H T in K C, il giudice del rinvio ha ritenuto del tutto congruo il trattamento sanzionatorio applicatogli. 3. Il ricorso per cassazione, proposto nell'interesse di K C dal difensore, consta di cinque motivi, quivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto stabilito dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. - Il primo, il secondo ed il terzo motivo denunciano violazione degli artt. 627, 512, 526, comma 1 -bis, cod. proc. pen. e vizio di motivazione. E' dedotto che il giudice del rinvio non si sarebbe attenuto al principio di diritto formulato con la sentenza rescindente, non avendo disposto gli accertamenti anagrafici richiesti onde elidere il residuo margine d'incertezza nell'identificazione del «T» con il ricorrente, tanto più che l'interprete Vasa, sentito in sede di implementazione istruttoria, aveva fatto emergere dubbi quanto alle indicazioni fornite da S T e R Luftar ai Carabinieri sul conto di K C e che il Colonnello Reginato non aveva saputo offrire alcuna ragione concreta a sostegno del concentrarsi delle indagini sulla sola persona del ricorrente, la cui immagine, peraltro, era stata acquisita a distanza di molti anni dal fatto, così compromettendo l'attendibilità del riconoscimento. Incertezza che, peraltro, si era accresciuta all'esito della nuova audizione dei f P e dei compagni di lavoro del presunto omicida, che l'avevano indifferentemente chiamato «Tim o T». - Il quarto e il quinto motivo denunciano violazione degli artt. 192, 533 e 627 cod. pen. e vizio di motivazione, non essendosi il giudice del rinvio attenuto alle regole di valutazione degli indizi, non avendone soppesato la capacità dimostrativa di ciascuno, di modo che il giudizio inferenziale si era risolto in una mera elencazione di elementi di prova senza alcun apprezzamento critico della loro interrelazione in funzione dell'esito divisato.
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