Cass. pen., sez. I, sentenza 12/01/2022, n. 00524
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Testo completo
a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: AI RI nato a [...] il [...] CI RI nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 04/06/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 4 giugno 2020, la Corte di assise di appello di Napoli ha, per le posizioni che qui rilevano, confermato la decisione resa il 24 maggio 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che, sempre per quanto qui rileva, aveva giudicato con il rito abbreviato MA RR e MA CC, imputati, in concorso con altri, dei seguenti reati: - reato di cui agli artt. 110, 112, primo comma, n. 1, 575, 577, primo comma, n. 3, 416-bis.1, primo comma, cod. pen., per avere, in concorso con altri, cagionato la morte di TO D'AN, componente del clan AT - PA, la cui fazione facente capo a PA vedeva al vertice MA CC e AR RA (classe 1971), essendo stato - il suddetto D'AN, referente della consorteria nella gestione delle estorsioni e del mercato all'ingrosso e al dettaglio degli stupefacenti appartenente alla fazione degli AT - attirato con un tranello nel covo di Melito, al fine di condurlo a Marano, per l'addotta ragione di dover incontrare CC;
invece D'AN, a cagione dell'attività del gruppo di fuoco, formato dai due capi nonché da AN AN, OM CI, UÈ OR, classe 1989, UÈ OR, classe 1990, MA RR, RO IG, NC PI, RE RI e PE PA, era stato posto al cospetto, in particolare, di AN AN che lo aveva ucciso attingendolo con colpi di arma da fuoco;
con la premeditazione e con l'aggravante del metodo e del fine camorristico (capo A);
- reato di cui agli artt. 110, 61, n. 2, 81, 110, 416-bis.1, primo comma, cod. pen., 2, 4 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, relativo al concorso nella detenzione e nel porto illegali della pistola usata per l'omicidio (capo B);
- reato di cui agli artt. 110, 411, 416-bis.1, primo comma, cod. pen., per la distruzione del cadavere di D'AN, operazione di cui si erano occupati materialmente OR, classe 1990, OR, classe 1989, RR e IG (capo C);
- fatti avvenuti in Marano, il 22 febbraio 2011, con la recidiva specifica infraquinquennale per i suddetti imputati. Il Giudice per le indagini preliminari aveva, fra le altre statuizioni, ritenuto CC e RR responsabili dei reati loro ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, ad eccezione dell'aggravante di cui all'art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., esclusa la recidiva e computata la diminuente per il rito, li aveva condannati alla pena di anni venti di reclusione ciascuno, con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale durante l'esecuzione della pena, nonché con l'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per la 2 i durata di anni tre, oltre alla condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili NI e TI D'AN, da liquidarsi in separata sede, con condanna degli imputati al pagamento della provvisionale di euro 100.000,00 a ciascuno dei due creditori.
2. Avverso la sentenza di appello il difensore di MA RR ha proposto impugnazione chiedendo il suo annullamento sulla scorta di due motivi, unitariamente trattati.
2.1. Con il primo motivo si lamenta l'inosservanza degli artt. 133 e 62-bis cod. pen., anche in relazione all'art. 69 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione relativo all'entità della pena inflitta. Il ricorrente osserva che, a fronte delle doglianze introdotte con l'atto di appello in punto di commisurazione della pena, la Corte territoriale ha applicato in modo non corretto le suindicate norme, giacché, se era vero che il giudizio di comparazione fra circostanze di segno opposto implicava una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, era del pari vero che tale valutazione non poteva restare affidata al mero arbitrio o a un ragionamento illogico, ma doveva essere sorretta da sufficiente motivazione, potendo, il giudice di merito, valorizzare, al fine di pervenire alla valutazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, ogni elemento rilevante in tal senso. Nel caso di specie, sottolinea la difesa, erano state illogicamente dequotate come anodine le dichiarazioni autoaccusatorie dell'imputato, laddove RR aveva, in secondo grado, ammesso gli addebiti in modo pieno e con accenti di sicura resipiscenza. Né la sussistenza di precedenti penali avrebbe potuto considerarsi ostativa al chiesto giudizio di prevalenza, essendo stati, tali precedenti, già considerati per la contestazione dell'aggravante mafiosa. Anche le regole di applicazione stabilite dall'art. 63 cod. pen. sono state, secondo la difesa, vanificate dalla mancata applicazione del giudizio di prevalenza delle attenuanti, non obliterato il ruolo marginale avuto dall'imputato nella vicenda omicidiaria, in rapporto al fondamentale contributo da lui fornito per il ritrovamento del cadavere, così come a conclamare il vizio denunciato concorrerebbero la mancata valutazione di tutti i criteri significativi, anche ulteriori rispetto a quelli elencati nell'art. 133 cod. pen., e l'omessa ponderazione in bonam partem di quei fattori già considerati per altri profili. Del pari censurabile viene ritenuta la valutazione negativa formulata nella sentenza impugnata dei precedenti penali gravanti l'imputato rispetto alla possibilità di annettere il chiesto regime di prevalenza alle attenuanti, considerato che RR non risultava essere stato mai condannato per reati identici a quello in contestazione in questo processo, tanto più che era stata anche esclusa la recidiva, sicché l'assetto sanzionatorio conclusivo confermato nella sentenza impugnata non sarebbe consentaneo alla funzione rieducativa della pena. La difesa rimarca, infine, l'iniquità della sanzione a lui inflitta, di entità equiparata a quella dei correi, senza distinguere le singole posizioni, nonostante RR avesse avuto un ruolo marginale nell'omicidio, essendosi limitato ad assistere e, poi, a occultare il cadavere.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori di MA CC e ne hanno chiesto l'annullamento, adducendo un unico motivo articolato in più censure.
3.1. In ordine al reato sub C), si lamentano la violazione degli artt. 521 e ss. e 438 cod. proc. pen., nonché 411 cod. pen., giacché la Corte di merito ha confermato l'assunto esposto dal giudice di primo grado che, a fronte dell'imputazione di distruzione di cadavere, unica condotta oggetto di contestazione, aveva accertato la sottrazione e la soppressione del cadavere, senza rilevare tale non consentita imrnutazione del fatto, posto che il Pubblico ministero non si era attivato per modificare l'imputazione, opzione che peraltro nemmeno avrebbe potuto praticare, tenuto conto della scelta relativa al rito abbreviato compiuta da RR.
3.2. In ordine ai reati sub B) e C), si prospettano la violazione degli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, 411, 61, primo comma, n. 2, 416-bis.1, primo comma, cod. pen. e 597 cod. proc. pen. e il corrispondente vizio di motivazione in punto di conferma dell'aggravante teleologica e dell'aggravante camorristica relativamente ai suddetti reati.
3.2.1. Precisato che nell'atto di appello non era stato articolato un motivo avente ad oggetto l'esclusione di quelle aggravanti con riferimento al reato sub B), essendosi formulata la relativa richiesta nelle conclusioni rassegnate in secondo grado, i giudici di appello avrebbero dovuto attenersi al principio secondo cui, per l'oggetto della questione, i limiti fissati dall'art. 597 cod. proc. pen. non impedivano alla Corte territoriale di escludere ex officio le aggravanti allorquando ne avessero ritenuto insussistenti i presupposti. Posto ciò, la difesa rileva che la contestazione del delitto in materia di armi di cui al capo B) aveva riguardato soltanto la detenzione, non la finalizzazione della medesima al delitto di omicidio, non contestata, così come non era stato contestato il porto dell'arma. Quanto poi all'aggravante prevista dall'art. 416-bis.
1. primo comma, cod. pen., essa nemmeno avrebbe potuto desumersi in via meramente presuntiva e, in ogni caso, era difettata un'adeguata spiegazione dell'oggettiva funzionalità dell'attività di detenzione dell'arma per agevolare l'attività del sodalizio criminale, e non invece per attuare vendette personali, dovendo comunque rilevarsi che tale contestazione integrava una mera duplicazione della contestazione della stessa aggravante in ordine al delitto di omicidio.
3.2.2. Analoghe considerazioni vengono svolte in relazione all'avvenuta contestazione delle medesime aggravanti con riferimento al reato di cui al capo C), aggravanti ritenute dal primo giudice, punto esplicitamente censurato con l'atto di appello, senza che la sentenza impugnata abbia fornito motivazione adeguata per disattendere la doglianza.
3.3. In ordine a tutti i reati ritenuti, la difesa lamenta la violazione degli artt. 62-bis, 69, 81 e 133 cod. pen., in merito al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, alla reiezione della richiesta di ridimensionamento dell'entità della pena base e degli aumenti applicati a titolo di continuazione. Il ricorrente osserva che con l'appello erano stati prospettati profili di nneritevolezza ulteriori rispetto a quelli valutati dal primo giudice, con particolare riferimento al fatto che il contributo cognitivo offerto dall'imputato aveva assunto un valore senz'altro rafforzativo ai fini dell'esatta ricostruzione dei fatti, e non soltanto per il ritrovamento del cadavere della vittima, in tale ambito l'apporto di CC essendosi caratterizzato come un aiuto decisivo nel senso indicato, tale da richiamare la situazione di cui all'art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., pur non