Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/03/2013, n. 7042

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La previsione di cui all'art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 - la quale dà rilievo come illecito disciplinare ai "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti" tenuti nei confronti, tra i diversi soggetti menzionati, anche "di altri magistrati" - deve essere interpretata nel senso che tali comportamenti non debbono necessariamente essere frutto dell'esercizio delle funzioni attribuite al magistrato, potendo riferirsi anche ai rapporti personali tra colleghi all'interno dell'ufficio, atteso che la formulazione normativa appare prescindere del tutto dalla funzionalità della scorrettezza. (Nel caso di specie, è stato rigettato il ricorso avverso la condanna inflitta a carico di un magistrato autore di condotte, a danno di una collega, integranti gli estremi del reato di "atti persecutori" ex art. 612-bis cod. pen.).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/03/2013, n. 7042
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7042
Data del deposito : 21 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente Aggiunto -
Dott. L M G - Presidente di Sez. -
Dott. M M - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. I A - Consigliere -
Dott. N V - Consigliere -
Dott. P S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.F. ((omesso) ), rappresentato e difeso per
procura speciale in atti, dall'Avvocato F B G, domiciliato presso la Cancelleria delle Sezioni Unite della Corte di cassazione;



- ricorrente -


contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;



- intimati -


per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 46 del 2012, depositata il 19 aprile 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 ottobre 2012 dal Consigliere relatore Dott. S P;

sentito l'Avvocato F B G;

sentito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. CICCOLO P P M, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Dott. F..M. , all'epoca dei fatti in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di XXXXXXX, quale sostituto procuratore, con sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 46 del 2012, depositata il 19 aprile 2012, è stato ritenuto responsabile degli illeciti di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d), in relazione all'art. 612-bis cod. pen., e di cui al medesimo D.Lgs. n. 109, art. 2, comma 1, lett. d).
Entrambe le condotte contestate si riferivano a comportamenti tenuti dal Dott. M. nei confronti della collega Dott.ssa Ma.Ma.Pa. ;
in particolare, al M. era stato contestato, quanto alla prima incolpazione, il fatto di avere, tra il (omesso) e l'(omesso) , molestato la collega del medesimo ufficio assillandola con continue telefonate, messaggi telefonici, richieste di incontri, e ciò nonostante il netto rifiuto opposto dalla Dott.ssa Ma. , in tal modo arrecandole profondo turbamento alla vita personale e familiare, con lesione del prestigio della magistratura in considerazione della notorietà che dette condotte avevano ricevuto;
quanto al secondo illecito, il fatto di avere, con la condotta ossessiva di cui al primo, creato pregiudizio allo svolgimento del lavoro della collega, entrando continuamente nel suo ufficio per sollecitare incontri, trattenendovisi ogni volta a lungo nonostante le chiare manifestazioni di insofferenza oppostegli, nonché di avere inviato alla collega, a seguito del netto rifiuto dalla stessa oppostogli, una lettera con la quale segnalava la situazione di incompatibilità in cui la medesima collega si sarebbe trovata a causa dell'esercizio della professione legale da parte della sorella, e di avere poi segnalato la detta incompatibilità al Consiglio superiore della magistratura.
La Sezione disciplinare, dopo avere riferito il contenuto delle dichiarazioni della Dott.ssa Ma. e delle difese del Dott. M. , ha preso in esame le risultanze dell'indagine disciplinare e delle dichiarazioni rese dai testi nel corso dell'udienza disciplinare, giungendo alla conclusione che le condotte riferite dalla Ma. avevano trovato riscontro nelle risultanze istruttorie, e segnatamente nelle deposizioni dei testi C. , D.M. , P. e Z. . Ha quindi ritenuto che le condotte contestate integrassero il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., essendosi una parte della condotta e il momento finale della consumazione del reato, di natura abituale, verificatisi dopo l'entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2009 (25 febbraio 2009), con conseguente assoggettamento delle
condotte stesse alla nuova fattispecie di reato. Quanto agli elementi costitutivi del reato, la Sezione riteneva provato che la condotta del M. aveva indotto nella Ma. una forma ansiosa evidente;

riteneva altresì integrato l'elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo generico.
La Sezione disciplinare reputava poi provato anche il secondo illecito contestato, atteso che il comportamento del M. , oltre ad integrare la fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen., costituiva un comportamento abitualmente e gravemente scorretto nei confronti di un altro magistrato;
condotta, questa, prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d). Escludeva invece la sussistenza di altri due illeciti contestati al M. . Quanto alla determinazione della sanzione, la Sezione, tenuto conto delle caratteristiche dei fatti contestati, della situazione di disagio complessivo provocato nell'ufficio di appartenenza e della grave lesione al prestigio dell'ordine giudiziario e della immagine del magistrato incolpato, riteneva che dovesse essere inflitta la sanzione della perdita di anzianità di mesi due, con applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio, confermando la destinazione del M. alla funzione di magistrato distrettuale requirente presso la Corte d'appello di Firenze.
Con ricorso depositato in data 1 giugno 2012 il Dott. M. ha chiesto la cassazione della predetta sentenza sulla base di dodici motivi;
gli intimati Ministero della Giustizia e Procuratore generale presso la Corte di cassazione, non hanno svolto difese. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Il ricorso, come detto, è affidato a dodici motivi. 1.1. - Con il primo motivo, rubricato "inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge penale, e segnatamente dell'art. 612- bis c.p., sotto il profilo dell'offesa tipica", il ricorrente censura
la sentenza impugnata con riferimento alla prova dell'evento tipico previsto dalla citata disposizione. Premesso che l'art. 612-bis sanziona la condotta di minaccia e molestia reiterata che produca nella vittima, anche alternativamente, uno dei seguenti eventi: a) un perdurante e grave stato di ansia o paura;
b) un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque affettivamente legata;
c) l'alterazione delle proprie abitudini di vita, il ricorrente rileva che, nella specie, la prova del terzo evento tipico - individuato nel mutamento del numero di telefono - è rimasto affidato esclusivamente alle dichiarazioni della vittima ed è rimasto sprovvisto di qualsivoglia riscontro in atti. Le condotte descritte non avrebbero poi provocato neanche l'evento del grave e perdurante stato di ansia, atteso che le circostanze riferite dai testi, delle quali la sentenza impugnata ha dato puntualmente atto, non sono riconducibili allo stato di ansia, che si caratterizza per essere una sofferenza patologica. Al contrario, i testi hanno riferito che la Dott.ssa Ma. appariva "scossa, sfinita, turbata" ovvero "alterata", che la medesima aveva dichiarato che "la misura era colma" e aveva lamentato "grave imbarazzo e turbamento" e "appariva visibilmente accorata e turbata".
Lo stato d'ansia, sostiene il ricorrente, deve avere un effetto destabilizzante dell'equilibrio psicologico della vittima;

condizione, questa, non ravvisabile nella situazione della Dott.ssa Ma. per come dalla stessa descritta e per come emersa dalle risultanze istruttorie, difettando i requisiti della perduranza e della gravità del detto stato.
1.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta "inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge penale con riguardo: a) alla condotta tipica del delitto di atti persecutori;
b) al carattere abituale del reato di cui all'art. 612-bis c.p.;
c) al principio di irretroattività".
Premesso che la contestazione dell'illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d), in relazione all'art. 612-bis cod. pen.,
era datata dal (omesso) , il ricorrente osserva che
la sentenza individua un solo atto specifico ritenuto persecutorio, successivo al (omesso) , data di entrata in vigore del D.L. n.11 del 2009, che ha introdotto l'art. 612 bis cod. pen., consistente
nella lettera del 6 luglio 2009. Da qui una triplice conseguenza: a) la lettera in questione non poteva essere ritenuta tipica, non avendo i connotati strutturali ne' della minaccia ne' della molestia, non prospettando nulla di ingiusto;
b) la sentenza non data le condotte di stalking, limitandosi ad una generica collocazione temporale, sicché l'unico comportamento datato risulterebbe inidoneo ad integrare la fattispecie contestata, essendo necessario almeno l'accertamento di due condotte;
c) ai fini della configurazione dell'abitualità della condotta, la Sezione disciplinare non avrebbe potuto dare efficacia a condotte svoltesi prima del (omesso) , senza incorrere in una violazione dell'art. 25 Cost., comma 2, che vieta l'applicazione retroattiva delle norme incriminatrici. 1.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce "inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge processuale, in particolare dell'art. 521 c.p.p.. Difetto di correlazione tra accusa contestata e la sentenza". La Sezione disciplinare ha individuato quale atto persecutorio, sotto il profilo della condotta e dell'atteggiarsi del dolo, la lettera del (omesso) ;
ma tale lettera non risultava contestata nel primo capo di incolpazione, essendo menzionata solo nel secondo, avente ad oggetto la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d);
in tal modo, il giudice
disciplinare avrebbe integrato, senza averne il potere, il primo capo di incolpazione aggiungendovi un fatto che l'accusa aveva invece inserito in un altro capo di incolpazione, in violazione dell'art.521 cod. proc. pen.. 1.4. - Con il quarto motivo il ricorrente denuncia "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza del(l) grave e perdurante stato d'ansia". Premesso che le risultanze istruttorie avevano descritto la Dott.ssa Ma. come molto turbata, esasperata, non serena, in situazione di grande imbarazzo e insofferente, la Sezione disciplinare sarebbe incorsa nel denunciato vizio avendo invece affermato che la medesima Dott.ssa Ma. si era trovata, per effetto del comportamento dell'incolpato, in uno stato d'ansia, ravvisandosi contraddittorietà della motivazione nell'avere trasformato lo stato di turbamento in stato d'ansia.
1.5. - Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ancora "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali: ritenuta sussistenza di una circostanza, considerata rilevante ai fini del giudizio di responsabilità, non presente in atti".
La censura si riferisce al fatto che nella sentenza impugnata si è ritenuto provato che per effetto della condotta dell'incolpato la Dott.ssa Ma. fu costretta a cambiare il numero della sua utenza telefonica personale, senza che tuttavia risultino indicati ne' il foglio dal quale il fatto emergerebbe, ne' altri elementi in forza dei quali si è ritenuta provata la detta circostanza, che egli aveva invece sempre negato.
1.6. - Con il sesto motivo il ricorrente lamenta ulteriore "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Difetto di motivazione in relazione alla datazione delle condotte tipiche".
La censura attiene in particolare alla omessa specificazione delle condotte tipiche che sarebbero state poste in essere dopo il (omesso) , data di entrata in vigore dell'art. 612-bis cod. pen., essendosi la Sezione disciplinare limitata a ritenere provato, sulla base delle sole dichiarazioni della Dott.ssa Ma. , che il comportamento di esso ricorrente era proseguito per tutto il XXXX e sino al (omesso) ;
e ciò anche se nel capo di incolpazione che stabiliva la data finale della condotta contestata nell'(omesso) . Peraltro, l'unico atto successivo alla data del (omesso) era la lettera del (omesso) , che non poteva certamente considerarsi minatoria e che, quand'anche lo fosse stata, non avrebbe potuto per la sua unicità, integrare la tipicità di un reato abituale. 1.7. - Con il settimo motivo il Dott. M. denuncia ancora "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali in ordine all'attendibilità degli episodi raccontati a terzi da parte della persona offesa".
Il ricorrente si duole del fatto che la Sezione disciplinare abbia ritenuto attendibili le accuse rivoltegli dalla Dott.ssa Ma. , in quanto le dichiarazioni di quest'ultima e le circostanze riferite dai testi per averle apprese dalla medesima Dott.ssa Ma. , si riferivano ad un epoca - tra il XXXX e l'inizio del XXXX - in cui non esistevano rapporti conflittuali con l'incolpato. Peraltro, la patente di credibilità attribuita ai racconti fatti dai colleghi si fonderebbe su di un dato - l'assenza di conflitto con il M. al momento della narrazione - frutto del travisamento della testimonianza del Dott. D.M. , emergendo comunque che le molestie erano state denunciate proprio quando stava prendendo corpo l'iniziativa del Dott. M. di sollevare la questione della incompatibilità ambientale e all'evidente fine di neutralizzarla. 1.8. - Con un ulteriore motivo il ricorrente deduce "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle dichiarazioni rese dai testi". In particolare, la censura si riferisce alla "fusione" che nella sentenza impugnata viene fatta tra dichiarazioni della Dott.ssa Ma. e del teste Dott. C. , giungendo ad attribuire alla prima di avere affermato che il comportamento del Dott. M. era finalizzato a creare un asse contro il Procuratore, mentre una simile intenzione non emergeva in alcun modo dalle dichiarazioni della Ma. , essendo invece presente solo nelle dichiarazioni del teste C. . 1.9. - Con il nono motivo il ricorrente denuncia ulteriore vizio di "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali in ordine alla notorietà della situazione di incompatibilità rilevata dal Dott. M. e dalla pretestuosità della denuncia effettuata da quest'ultimo".
In sintesi, si rileva che la sentenza impugnata afferma che l'incompatibilità segnalata dal Dott. M. era nota, e ciò in contrasto con quanto risultava dalla nota indirizzata dal Procuratore di XXXXXXX al Procuratore generale di XXXXXX;
che la detta notorietà della situazione di incompatibilità aveva determinato l'assegnazione degli affari al Dott. C. , mentre nel programma organizzativo dell'ufficio era previsto che i fascicoli civili sarebbero stati assegnati al Sostituto più giovane, e cioè al Dott. C. o in sua assenza al Procuratore;
che il Dott. M. sarebbe venuto meno all'asserito obbligo di informazione preventiva al Procuratore, senza tuttavia esplicitare le ragioni di tale convincimento, atteso che la lettera era indirizzata anche al Procuratore;
che il comportamento del Dott. M. sarebbe stato pretestuoso, omettendo di considerare che il detto comportamento era dovuto alla luce delle prescrizioni normative e organizzativa, in base alle quali la situazione di incompatibilità negli uffici di Procura sussiste in ogni caso quando il Tribunale è costituito da una sezione promiscua.
1.10. - Con il decimo motivo il Dott. M. deduce ancora "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza di condotte consapevolmente moleste" da parte sua. Con tale motivo si rileva che la Sezione disciplinare ha ritenuto provato, attraverso le deposizioni dei testi C. , D.M. e delle due segretarie della Dott.ssa Ma. , che il Dott. M. avrebbe mentito in ordine alle modalità delle sue visite alla collega, che erano invece frequenti e duravano a lungo, e determinavano una situazione di insofferenza e di turbamento nella collega stessa, la quale era solita sollecitare le proprie segretarie a trovare il modo di interrompere le visite stesse. Al contrario, la deposizione del teste C. era una deposizione su circostanze a lui riferite dalla Ma. , mentre le altre risultanze istruttorie erano tutt'altro che univoche, avendo le due segretarie riferito particolari contrastanti sia in ordine alla frequenza che alla durata delle visite del Dott. M. ;
contrasti che non era stato possibile risolvere mediante l'audizione in istruttoria delle due testi, atteso che le stesse avevano comunicato alla Procura generale di non poter essere presenti. In ogni caso, dalle dichiarazioni delle due segretarie emergeva, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, che il Dott. M. non era affatto al corrente del fatto che le sue visite non fossero gradite, non avendogli la Dott.ssa Ma. esternato il proprio dissenso o fastidio. Ed ancora, le circostanze riferite dal Procuratore D.M. erano del tutto generiche;
non a caso, del resto, il medesimo Dott. D.M. non aveva assunto alcuna iniziativa a seguito delle lamentale che ha riferito essergli pervenute.
1.11. - Con l'undicesimo motivo il ricorrente deduce "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Travisamento delle risultanze processuali. Carenza della motivazione in ordine all'attitudine molesta delle telefonate". La Sezione disciplinare ha ritenuto provato il contenuto molesto delle telefonate sulla base di risultanze istruttorie che non erano affatto univoche in tal senso, anche perché relative, prevalentemente, a circostanze riferite de relato. In sostanza, non vi è stato alcun testimone diretto di fatti significativi ai fini della configurabilità del reato e la vittima ne aveva invece parlato in epoca sospetta, e cioè quando erano venuti alla luce i rapporti di lavoro del convivente con società coinvolte in indagini svolte dalla Procura di XXXXXXX.
1.12. - Con l'ultimo motivo il ricorrente lamenta "violazione ed errata interpretazione della legge e manifesta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo e da altri atti del procedimento specificamente indicati. Violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.". La censura si riferisce alla affermata responsabilità disciplinare per il secondo capo di incolpazione. In proposito, il ricorrente rileva che la lettera del (omesso) , lungi dal costituire attività scorretta nei confronti della collega, rientrava tra le sue facoltà legittime se non costituiva addirittura un dovere deontologico, così come doveva escludersi ogni profilo di scorrettezza nella successiva lettera del (omesso) , indirizzata agli organi istituzionalmente preposti al controllo e alla vigilanza sugli uffici della Procura della Repubblica. Del tutto sfornita di prova era poi la reazione della Dott.ssa Ma. , non essendo desumibile dalla dichiarazioni di quest'ultima quali siano state le manifestazioni di insofferenza opposte al collega. In ogni caso, posto che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), prevede che l'illecito sia integrato in presenza di comportamenti abitualmente e gravemente scorretti, deve ritenersi che la scorrettezza debba inserirsi nel contesto dell'attività professionale svolta dal magistrato autore dell'illecito, restando estranei all'ambito di applicazione della disposizione i rapporti personali tra colleghi, anche se verificatisi in ambente lavorativo. 2. - Il ricorso è infondato e va rigettato.
2.1. - Sono innanzitutto infondati il primo e il quarto motivo che, per ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente, atteso che gli stessi si riferiscono, sotto il profilo della violazione di legge, il primo, e, sotto il profilo del vizio di motivazione, il secondo, alla ritenuta sussistenza, da parte della Sezione disciplinare, di uno stato di ansia in capo alla vittima della condotta del ricorrente.
La sentenza impugnata - dopo aver ricordato che ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. devono concorrere tre elementi costitutivi: reiterazione di minacce o molestie;
idoneità di tali condotte a determinare nella persona offesa un "perdurante e grave stato di ansia o di paura" ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, ovvero ancora tali da indurre un'alterazione delle proprie abitudini di vita - ha ritenuto che, nel caso di specie, fossero sussistenti tutti e tre gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, e segnatamente, per quanto riguarda le conseguenze determinate dalla condotta illecita nella persona offesa, la ingenerazione di un "progressivo stato di disagio psicologico" (v. pag. 9), che si è concretizzato "una forma ansiosa che è apparsa evidente a tutti coloro che le parlavano della vicenda" (v. pag. 11). Una tale valutazione, nel mentre risponde pienamente alla descrizione della fattispecie incriminatrice, trova sostegno, sul piano probatorio, nelle fonti riferite analiticamente a pag. 10 della sentenza impugnata: "la signora P. ha riferito che alla fine dei colloqui la Dott.ssa Ma. era scossa, sfinita, turbata (...) e che in un caso al termine di una telefonata con il Dott. M. era talmente irritata da indurre la stessa signora P. a proporle di andare in ospedale (...);
- il Dott. C. ha testimoniato del timore della Dott.ssa Ma. per iniziativa del Dott. M. nei suoi confronti, del turbamento che il comportamento del Dott. M. provocava nella Dott.ssa Ma. ed ha riferito che, anche a suo avviso, la misura era colma (...);
- il Dott. D.M. ha riferito della situazione di grave imbarazzo e turbamento che viveva la Dott.ssa Ma. (...);
- il Dott. D.N. , Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di XXXXXX, ha riferito che la Dott.ssa Ma. gli era apparsa visibilmente accorata e turbata (...)".
Orbene, la qualificazione dello stato soggettivo della persona offesa dal reato, sulla base delle richiamate indicazioni, in termini di forma ansiosa, se, da un lato, risulta adeguatamente motivata, dall'altro, appare altresì rispondente alle indicazioni che sul punto sono state fornite dalle sezioni penali di questa Corte. Premesso, infatti, che "il delitto di atti persecutori cosiddetto stalking (art. 612-bis cod. pen.) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo e che pertanto, ai fini della sua configurazione, non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità" (Cass. pen., sez. 5, n. 29872 del 2011), si è anche chiarito che "la prova dell'evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Cass. pen., sez. 5, n. 14391 del 2012). D'altra parte, se pure si è ritenuto che lo stato d'ansia è "configurabile in presenza del destabilizzante turbamento psicologico" (Cass. pen., sez. 5, n. 11945 del 2011), non può non considerarsi che l'apprezzamento della soglia rilevante possa variare in relazione alle singole persone offese e che quindi comportamenti che, per alcuni destinatari, pur essendo molesti, non raggiungono la soglia della condizione di un perdurante stato di ansia, possono viceversa integrare uno degli elementi alternativi che integrano il reato in questione ove rivolti ad altri soggetti. In ogni caso, si è anche precisato che "ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.) non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica" (Cass. pen., sez. 5, n. 16864 del 2011). Se così è, appare evidente che l'apprezzamento della rispondenza delle manifestazioni di disagio nella persona offesa indotte dalla condotta dell'agente al "perdurante e grave stato di ansia", integra un tipico accertamento di fatto, insuscettibile di sindacato in questa sede ove, come nella specie, sia sorretto da idonea, logica e congrua motivazione, puntualmente supportata da riscontri probatori. È noto, del resto, che "il vizio di contraddittorietà della motivazione delle pronunce della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, denunciabile con il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioè l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione adottata" (Cass., S.U., n. 26825 del 2009). Questi vizi, in particolare, non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass., S.U., n. 26825 del 2009, in motivazione).
Nè può essere validamente contestato l'accertamento svolto dal giudice del merito in ordine alla sussistenza dei due requisiti che devono caratterizzare lo stato di ansia, e cioè la sua gravità e il suo protrarsi nel tempo. In proposito, è sufficiente rilevare che nella trama argomentativa della sentenza impugnata emerge chiaramente l'apprezzamento della gravità dello stato soggettivo indotto dalla condotta dell'incolpato nella Dott.ssa Ma. , sol che si consideri che la gran parte delle condotte si sono svolte nell'ambiente di lavoro, interferendo quindi sulla normale e quotidiana esplicazione, da parte della persona offesa, della propria attività. Si deve solo aggiungere che, in questo contesto, risulta priva di rilievo la censura formulata dal ricorrente con riferimento alla mancanza di prova dell'avvenuto mutamento delle abitudini della persona offesa, consistente, nella specie, nel cambiamento del numero di telefono, atteso che ai fini della integrazione dell'illecito contestato è sufficiente che la condotta abbia determinato un perdurante e grave stato di ansia.
3. - Il secondo motivo può essere esaminato insieme al sesto, attenendo entrambi alla individuazione delle condotte integranti l'illecito e alla loro datazione.
Entrambi i motivi sono infondati.
La sentenza impugnata ha, innanzitutto, tenuto conto del fatto che il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. è stato introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, entrato in vigore il 25 febbraio 2009 e che
il reato stesso è un reato tipicamente abituale. Ha quindi dato atto che le condotte contestate all'incolpato si sono protratte anche oltre tale data, sicché deve escludersi che sia stata fatta un'applicazione retroattiva della detta disposizione. Ha poi correttamente definito il reato di stalking come quell'insieme di "comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi" ed ha riscontrato tali comportamenti anche per il periodo successivo al (omesso) . Non è dunque vero che la Sezione disciplinare avrebbe individuato un solo ed unico comportamento del Dott. M. , consistente nell'invio della lettera del 6 luglio 2009, emergendo invece chiaramente, dalla ricostruzione della vicenda e dalla collocazione temporale della stessa, non solo nel capo di incolpazione, che le condotte del M. ritenute integranti l'illecito contestato erano proprio quelle che, iniziate prima del (omesso) , erano proseguite certamente
successivamente. D'altra parte, nel motivo in esame il ricorrente si limita a prendere in considerazione la lettera del (omesso) , e ad affermare che questa sarebbe l'unica condotta temporalmente collocata nella sentenza impugnata, per trarne la conseguenza che difetterebbe il requisito dell'abitualità del reato. Al contrario, la Sezione disciplinare, oltre a riferire di condotte che si sarebbero svolte nell'arco di tempo indicato nel capo di incolpazione, ha preso in considerazione condotte riferibili al periodo (omesso) , e quindi certamente successive alla data del (omesso) , ricordando che il Dott. C. aveva
confermato la circostanza della telefonata effettuata per conto del Dott. M. e il progressivo aggravamento dell'atteggiamento del Dott. M. nei confronti della Dott.ssa Ma. (v. pag. 9). Ha quindi, nella sostanza, individuato in questi comportamenti, protrattisi anche dopo il (omesso) , anche se non collocati in date precise, l'abitualità della condotta integrante il reato di atti persecutori;
del resto, lo stesso ricorrente concorda sul fatto che, nella giurisprudenza di legittimità, si è ritenuto che il reato possa essere integrato anche da solo due comportamenti (Cass. pen., sez. 5, n. 7601 del 2011). Non sussiste, quindi, la denunciata violazione di legge;
ma non è ravvisabile neanche il denunciato vizio motivazionale (sesto motivo), atteso che il ricorrente concentra ancora una volta la propria attenzione unicamente sulla lettera del 6 luglio 2009, ma non tiene conto del complesso delle risultanze istruttorie sulle quali la Sezione disciplinare ha fondato il proprio convincimento. 4. - È infondato anche il terzo motivo di ricorso.
La Sezione disciplinare non è affatto incorsa nella denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Se è vero, infatti, che la spedizione della lettera del (omesso) non figurava indicata tra gli elementi di fatto contestati nel primo capo di incolpazione (capo A), è altrettanto vero, da un lato, che della esistenza di tale condotta lì incolpato è stato posto a conoscenza, in quanto trattavasi di condotta meglio descritta nel capo B) della rubrica, e, dall'altro, e in via prevalente, che nel ritenere sussistente l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., la Sezione disciplinare ha affermato che l'episodio della
lettera costituiva uno degli elementi, ma non il solo, in base ai quali era possibile desumere la consapevolezza del M. di porre in essere comportamenti idonei ad indurre uno stato d'ansia nella Dott.ssa Ma. .
5. - Il quinto motivo è inammissibile.
Una volta accertato che la condotta contestata al Dott. M. era stata idonea ad indurre nella persona offesa uno stato psicologico riferibile al perdurante e grave stato di ansia di cui all'art. 612- bis cod. pen., deve ritenersi che il vizio di motivazione concernente
il riscontro della dichiarazione della Dott.ssa Ma. di avere dovuto, per effetto della condotta del M. , cambiare il proprio numero di telefono, investa un elemento della motivazione della sentenza impugnata privo del requisito della decisivì tà. Invero, "il delitto di atti persecutori cosiddetto stalking (art. 612-bis cod. pen.) è un reato che prevede eventi alternativi, la
realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo;

pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità" (Cass. pen., sez. 5, n. 29872 del 2011). 6. - Il settimo e l'ottavo motivo, all'esame dei quali può procedersi congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. Si è già visto quali sono i limiti entro i quali è possibile svolgere un sindacato sulla motivazione della sentenza della sezione disciplinare, soprattutto per quanto riguarda la valutazione delle prove e delle altre risultanze istruttorie.
Con i due motivi in esame il ricorrente intende censurare la sentenza impugnata proprio nella parte in cui ha ritenuto attendibili gli episodi raccontati a terzi da parte della persona offesa. Orbene, nella già richiamata pronuncia n. 14391 del 2012, si è chiarito che "la prova dell'evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato". La sentenza impugnata, dunque, nella parte in cui ha osservato che "i fatti indicati dalla Dott.ssa Ma. hanno trovato, in larga parte, conferma mentre le affermazioni del Dott. M. sono state smentite dai testimoni sentiti nel procedimento", ha seguito un corretto iter argomentativo e ha dato conto, puntualmente, sia delle ragioni per le quali le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato conferma, sia di quelle per le quali, viceversa, le deduzioni del Dott. M. sono state smentite. D'altra parte, le deduzioni svolte, in particolare nel settimo motivo, dal ricorrente prospettano, sul punto delle ragioni per le quali le dichiarazioni della persona offesa sono state ritenute attendibili, una ricostruzione alternativa della vicenda, ipotizzando un rapporto di causa ed effetto tra la intenzione di esso ricorrente di portare ad emersione la questione della incompatibilità della Dott.ssa Ma. , e l'inizio delle dichiarazioni di quest'ultima in ordine alle molestie subite, che, non solo esula dall'ambito del presente giudizio di legittimità, ma non tiene neanche conto delle ulteriori risultanze istruttorie valorizzate dalla Sezione disciplinare con riferimento proprio alla condotta tipica oggetto di contestazione, e rappresentate dalla continua presenza del Dott. M. nell'ufficio della Dott.ssa Ma. e dalla ricerca di contatti personali anche contro la volontà di quest'ultima, dei quali la sentenza impugnata ha individuato fonti dirette di prova.
7. - Infondato è anche il nono motivo di ricorso.
La censura motivazionale si riferisce alla questione della incompatibilità della Dott.ssa Ma. , oggetto della comunicazione del Dott. M. in data (omesso) . Invero, a prescindere dalla notorietà o meno della situazione di incompatibilità della Dott.ssa Ma. , e precisato che, nella contestazione degli illeciti e nella stessa valutazione complessiva della vicenda sottoposta alla cognizione del giudice disciplinare, la questione rileva essenzialmente ai fini della verifica della sussistenza dell'illecito di cui al capo B), la sentenza impugnata appare, sul punto, puntualmente motivata, dovendosi solo precisare che anche nella lettura delle disposizioni interne relative alla organizzazione della Procura della Repubblica di XXXXXXX, il ricorrente prospetta una interpretazione soggettiva, segnatamente ove pretende di desumere la non notorietà della situazione dì incompatibilità dalla esplicita previsione che degli affari civili si sarebbe dovuto occupare il Dott. C. . Invero, una tale disposizione, ove completata dalla previsione che, in sua assenza, gli affari civili avrebbero dovuto essere assegnati al procuratore, indica con sufficiente univocità la scelta organizzativa di escludere la Dott.ssa Ma. , al pari del Dott. M. , dalla assegnazione di quegli affari. Senza dire che alla lettera del (omesso) è stato comunque attribuito rilievo nel contesto dei rapporti tra l'incolpato e la Dott.ssa Ma. , proprio in considerazione del suo contenuto, atteso che non si comprende, ne' il ricorrente spiega, quali fossero i profili in ordine ai quali "individuare, tutti insieme, la soluzione migliore che tenga conto di tutte le esigenze".
8. - Il decimo e l'undicesimo motivo, all'esame dei quali può procedersi congiuntamente, sono infondati.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe censurabile perché non vi sarebbe prova che egli aveva consapevolezza del fatto che i suoi comportamenti nei confronti della collega e le telefonate fossero sgraditi e fonte di disagio psicologico.
Il motivo si fonda su una critica ad alcune soltanto delle risultanze valorizzate dalla Sezione disciplinare ai fini della prova dell'elemento soggettivo del reato. Si è infatti, già rilevato, proprio in relazione alle censure relative alla mancanza di prova della pluralità di comportamenti intrusivi dopo il (omesso) , che nella sentenza impugnata si è descritto l'episodio della telefonata in periodo pasquale alla quale ha fatto riferimento il Dott. C. , dal quale del tutto logicamente si è tratta la prova non solo della protrazione della condotta per il periodo successivo, ma anche dell'ulteriore elemento della consapevolezza, in capo al l'incolpato, della volontà della Dott.ssa Ma. di non intrattenere con lui alcun rapporto.
Il ricorrente limita invece le proprie censure a quanto riferito in ordine alle modalità e ai tempi della sua permanenza nell'ufficio della Dott.ssa Ma. , sottolineando delle difformità nelle dichiarazioni con le quali le persone informate dei fatti hanno riferito su dette modalità;
ma si tratta, all'evidenza, di censure che non coinvolgono il complesso della trama motivazionale della sentenza impugnata, la quale risulta immune anche dai vizi denunciati con il motivo in esame.
9. - L'ultimo motivo è infondato.
Premesso che, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), "costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni: (...) d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori", la censura si fonda sulla pretesa interpretativa che dall'ambito di applicazione dell'illecito in questione sarebbero esclusi i rapporti personali tra magistrati.
Si tratta di interpretazione che non può essere condivisa, atteso che la disposizione citata non postula che il comportamento gravemente scorretto nei confronti del collega sia frutto dell'esercizio delle funzioni attribuite al singolo magistrato. Al contrario, la formulazione normativa appare prescindere del tutto dalla funzionalità della scorrettezza, finendo quindi per applicarsi anche ai rapporti personali all'interno dell'ufficio. Ne consegue che, nell'aver ritenuto che il comportamento ascritto al Dott. M. costituisse un comportamento abitualmente o gravemente scorretto nei confronti di un altro magistrato, la Sezione disciplinare non è incorsa nella denunciata violazione di legge. Quanto al merito delle condotte contestate e alla valutazione delle risultanze istruttorie sul punto, la sentenza impugnata si sottrae alle proposte censure, sia per quanto riguarda la significatività delle lettere aventi ad oggetto la questione della incompatibilità della Dott.ssa Ma. , sia per quanto concerne l'abitualità dei contatti invasivi, idonei a indurre nella destinatala manifestazioni di insofferenza.
10. - In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

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