Cass. civ., sez. V trib., sentenza 14/12/2018, n. 32428
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Testo completo
La Cassa di Risparmio di Asti s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 70/6/2010, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte il 29.11.2010.
Ha rappresentato che con avviso di accertamento n. (---), relativo all'anno d'imposta 2004, l'Agenzia delle Entrate rettificava la dichiarazione Unico presentata dalla società ai fini IRES e IRAP. Con l'atto impositivo, che richiamava i risultati di una verifica e del relativo processo verbale di constatazione, erano ripresi a tassazione alcuni componenti negativi del reddito d'impresa dell'istituto di credito, in particolare l'importo di Euro 530.546,27, costituito da una quota parte delle svalutazioni su crediti operate ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3, che invece si riteneva dover correttamente inserire tra le perdite su crediti, con conseguente non incidenza sul risultato economico dell'esercizio e dunque sulla base imponibile, e l'importo di Euro 30.840,00 per spese di pubblicità, che per la natura delle operazioni si riteneva più correttamente collocabile tra le spese di rappresentanza, deducibili solo pro quota.
Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Torino accoglieva il ricorso solo per una parte delle spese di pubblicità, rigettandolo per il resto. L'adita Commissione Tributaria Regionale confermava la sentenza.
Avverso la pronuncia del giudice regionale la società formula sette motivi di ricorso, censurando:
con il primo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3;
D.Lgs. n. 87 del 1992, artt. 2 e 20;
art. 2423 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che i componenti reddituali negativi collocati dalla società nel cit. art. 106, comma 3, quali svalutazioni integrali dei crediti, trovassero invece collocazione tra le perdite su crediti;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, e art. 106, comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l'errore in cui i giudici d'appello erano incorsi per aver confuso gli istituti della svalutazione e della perdita, così riqualificando le svalutazioni come perdite anzichè come rettifiche di valore;
con il terzo motivo per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la carenza di adeguata motivazione, a fronte delle ragioni illustrate dalla società in ordine alla rilevanza economica riservata dalla società ai suddetti crediti, ancorchè integralmente svalutati, e dunque in ordine alla giustificata collocazione nel bilancio come componenti negativi deducibili dal reddito;
con il quarto motivo per violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83 e art. 106, comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l'illegittimità della pronuncia, in contrasto con la normativa sulla determinazione del reddito di impresa e di imputazione delle svalutazioni dei crediti;
con il quinto motivo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5 e art. 106, commi 3 e 5, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere fatto erroneamente discendere implicazioni tributarie vantaggiose alla contribuente dalla collocazione dei crediti, pur ritenuti integralmente irrecuperabili, tra le svalutazioni e non tra le perdite;
con il sesto motivo per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l'erroneità del ragionamento condotto dal giudice regionale nell'imputare ai vantaggi fiscali conseguibili la scelta della appostazione dei crediti tra le svalutazioni e non tra le perdite;
con il settimo motivo per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le erronee argomentazioni del giudice regionale sulla collocazione dei costi sostenuti per alcuni eventi nella città di Asti tra le spese di rappresentanza, e non tra quelle di pubblicità e sponsorizzazione.
In conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza.
L'Agenzia si è costituita al solo fine della partecipazione all'udienza.
All'udienza pubblica del 27 aprile 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Oggetto principale della presente controversia, cui infatti la società ricorrente dedica sei dei sette motivi di ricorso, è il recupero nell'imponibile, con conseguente ripresa a tassazione dell'importo di Euro 530.546,27, che invece la contribuente, esercente attività nel settore creditizio, aveva dedotto dal reddito d'impresa perchè riferito a crediti svalutati al 100%.
L'Amministrazione ritiene che un credito svalutato integralmente non costituisca una posta negativa del bilancio, ma una perdita, da riportare nello stato patrimoniale e su questo incidente;
l'Amministrazione ha peraltro ritenuto che la collocazione dei crediti nelle svalutazioni, con conseguente loro deducibilità nei limiti e modalità di cui all'art. 106, comma 3 del TUIR, importasse vantaggi fiscali che non sarebbe stato possibile conseguire se registrati come perdite.
La difesa dell'istituto di credito insiste invece nel giusto inquadramento della operazione tra le rettifiche di valore dei crediti, e pertanto quale componente reddituale negativo correttamente appostato in bilancio tra le svalutazioni dei crediti.
Chiariti i termini della controversia, con il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere trattati unitariamente perchè in sostanza osservano e ricostruiscono sotto varie angolazioni giuridiche la vicenda - cioè se sia possibile inquadrare tra le svalutazioni anche quella integrale del credito, o se in tale ipotesi ci si trovi dinanzi ad una situazione da ricondurre esclusivamente alla perdita del credito-, lamentando anche l'insufficiente motivazione, la contribuente si duole dell'errata interpretazione di norme sostanziali. Lamenta in sintesi che il giudice regionale ha erroneamente applicato le regole fiscali su svalutazioni e perdite dei crediti contenute nel D.P.R. n. 917 del 1986 (artt. 101 e 106 del TUIR), le norme specificamente dettate per il settore creditizio dall'allora vigente D.Lgs. n. 87 del 1992, infine la normativa civilistica in materia di bilancio e conto economico, e in particolare la disciplina sui criteri di valutazione dettati dall'art. 2426 c.c. Sempre nei limiti della rappresentazione sintetica del ragionamento della difesa della contribuente, questa sostiene che dalla disciplina civilistica e tributaria emerge la differenza sostanziale tra svalutazioni e perdite.
Le prime sarebbero espressione di una valutazione discrezionale dell'amministratore dell'impresa, pur nel rispetto dei canoni prescritti dall'art. 2426 c.c., comma 1, n. 8, (che impone una valutazione secondo il "valore presumibile di realizzazione"), confermati, quanto alla specifica disciplina allora vigente per gli enti finanziari e creditizi, dal D.Lgs. n. 87 del 1992, art. 20 e indirettamente richiamati dalla normativa di vigilanza della Banca d'Italia. Trattandosi di valutazione del rischio di esigibilità, per un verso essa è sottoposta a principi vincolanti, cui la discrezionalità dell'amministratore è tenuta a sottostare mediante il suo esercizio secondo il prudente e responsabile apprezzamento e nel generale obbligo di