Cass. pen., sez. IV, sentenza 08/02/2021, n. 04737
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: AR IC nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 12/02/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;
sulle conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA GIUSEPPINA FODARONI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Brescia il 12 febbraio 2019 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Brescia il 28 settembre 2018, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto IC RR responsabile del delitto di tentativo di furto aggravato dalla violenza sulle 'cose e su cose esposte per necessità alla pubblica fede (capo A) e della contravvenzione di cui all'art. 707 cod. proc. pen. (capo B), fatti commessi il 27 giugno 2018, con recidiva qualificata, in conseguenza condannandolo, previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, con l'aumento per la continuazione e la diminuzione per il rito, alla pena di giustizia.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi con i quali denunzia violazione di legge.
2.1.In particolare, con il primo motivo lamenta violazione dell'art. 624 cod. pen., essendo, ad avviso del ricorrente, «pacifico che la cosa mobile oggetto dell'azione contestata, che si trovava in un immobile abbandonato, non appartenesse ad alcun soggetto» (così alla p. 1 del ricorso). Dagli atti non risulterebbe chi fosse il proprietario del materiale oggetto di tentativo di apprensione, non essendo stata nemmeno individuata una ipotetica persona offesa dal reato, e nemmeno che il materiale fosse, in realtà, di proprietà altrui. Il cantiere in cui si sono svolti i fatti - si sottolinea - era abbandonato da anni e risulta essere stato in passato gestito da una ditta ("Paterlini") poi fallita e, dunque, priva di soggettività giuridica. Erroneamente, dunque, è stata addebitata l'aggravante di cui all'art. 625, n. 7, cod. pen., invece, secondo il ricorrente, inapplicabile poiché l'oggetto di tentativo di furto non si trovava in luogo pubblico né aperto al pubblico, inoltre «non potendosi ritenere altrui la cosa mobile non appartenente ad un proprietario in quanto abbandonata» (così alla p. 2 del ricorso).
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura violazione dell'art. 625, n. 2, cod. pen. ed erronea qualificazione del fatto. La violazione deriverebbe dalla mancanza «di accertamento delle conseguenze prodotte sulla cosa oggetto del tentativo di sottrazione [...] la giurisprudenza della S. C. [...] richiede, per l'integrazione dell'aggravante in parola, che la cosa altrui abbia subito rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o