Cass. civ., sez. II, sentenza 22/01/2018, n. 1529

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In tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, benché la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, postuli che, nel relativo procedimento di irrogazione, siano assicurate agli incolpati le stesse garanzie previste per i procedimenti penali, tra cui la facoltà di ottenerne la trattazione in pubblica udienza, deve ritenersi inammissibile la questione di legittimità costituzionale prospettata nel giudizio di legittimità, finalizzata a riconoscere detta facoltà alla parte che abbia omesso di manifestare, nel corso del giudizio di merito, la volontà di esercitarla, risultando in tal caso la rilevanza della questione meramente ipotetica.

In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell'Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita. Tuttavia, nel caso dell'illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la prova dell'elemento oggettivo dell'illecito comprensivo della "suità" della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l'evento. Così intesa la "presunzione di colpa" non si pone in contrasto con gli artt. 6 CEDU e 27 Cost. anche nel caso la sanzione abbia natura sostanzialmente penale in quanto afflittiva.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 22/01/2018, n. 1529
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 1529
Data del deposito : 22 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

01529-18 ESENTE LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Oggetto Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: SANZIONI - Presidente -Dott. STEFANO PETITTI AMMINISTRATIVE Dott. PASQUALE D'ASCOLA Consigliere Ud. 07/11/2017 - - Consigliere - Dott. VINCENZO CORRENTI PU R.G.N. 28574/2015 - Consigliere - Dott. UBALDO BELLINI (ca.1529 - Rel. Consigliere Rep. Dott. LUCA VARRONE ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 28574-2015 proposto da: AR IC, (CF. [...]), TRAVERSO AN (CF. [...]), SC AS (CF. [...]), elettivamente domiciliati in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 284, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE MASSIMILIANO DANUSSO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato AS VITTORIO GRECO;

- ricorrenti -

contro

BANCA D'ITALIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 91, presso lo studio dell'avvocato STEFANIA RITA MARIA R. CECI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE GIOVANNI NAPOLETANO;
2301177

- controricorrenti -

avverso il decreto n. 3952/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 07/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati GIUSEPPE MASSIMILIANO DANUSSO e AS VITTORIO GRECO per i ricorrenti e STEFANIA RITA MARIA R. CECI per la AN d'IA;

FATTI DI CAUSA

1. ND RA, SS SC e ME AN proponevano dinanzi la Corte d'appello di Roma, opposizione, ai sensi dell'art. 145 TUB, avverso la delibera della AN d'IA numero 388 del 2014 con la quale veniva accertata la violazione dell'articolo 144, secondo comma, TUB e veniva comminata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 129.110 al dottor ND RA, di euro 69.000 al dottor SS SC e di euro 52.000 al dottor ME AN nelle rispettive qualità di presidente del collegio sindacale di banca Carige il primo, e di sindaci effettivi di banca Carige i restanti due. I ricorrenti, per quel che ancora rileva in questa sede, eccepivano la violazione del principio del contraddittorio in ragione del fatto che già nel primo atto introduttivo del procedimento amministrativo, cioè la lettera di contestazione formale, la AN d'IA non aveva contestato loro alcuna violazione in materia di governance e antiriciclaggio. Inoltre nel merito, in relazione alle due macro contestazioni sintetizzabili in violazione delle disposizioni sulla Ric. 2015 n. 28574 sez. S2 ud. 07-11-2017 -2- governance, carenze nell'organizzazione dei controlli interni e carenze nella gestione del controllo del credito, eccepivano che il controllo rimesso al collegio sindacale ha carattere globale e sintetico in relazione all'attività complessiva della società mentre l'opportunità e la convenienza delle scelte operative restano di competenza esclusiva degli amministratori e nessun potere è riconosciuto ai sindaci per imporre o impedire ai primi il compimento di atti di gestione che non violino la legge.

2. La Corte d'Appello di Roma con decreto numero 3952, emesso in data 1° aprile 2015 e depositato in data 7 maggio 2015, rigettava tutti i motivi di opposizione proposti dai sindaci ad esclusione di quello presentato in via subordinata relativo alla errata quantificazione della sanzione inflitta ad ND RA che veniva ridotta ad euro 92.000. 3. Avverso il suddetto decreto i ricorrenti propongono ricorso per Cassazione sulla base di due motivi. La AN d'IA si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata. In prossimità dell'udienza la AN d'IA ha depositato memoria illustrativa. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. in via preliminare la difesa dei ricorrenti eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'articolo 145 TUB per contrasto con l'articolo 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in relazione all'articolo 117 della Costituzione. A questo proposito i ricorrenti premettono che la sanzione inflitta dalla AN d'IA, seppur formalmente qualificata come amministrativa, ha natura penale, ai sensi dei principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a Ric. 2015 n. 28574 sez. S2 ud. 07-11-2017 -3- partire dalla sentenza Engels dell'8 giugno 1976, fino a quella Grande Stevens del 4 marzo 2014. In particolare, evidenziano i ricorrenti che le norme amministrative previste dalla legislazione italiana in materia di tutela della concorrenza sono poste a tutela di interessi generali e, pertanto, debbono qualificarsi come penali. Inoltre le sanzioni devono qualificarsi come penali ogni qualvolta abbiano una funzione preventiva e repressiva, e siano volte a punire un'irregolarità indipendentemente dalla causazione di un danno. Nel caso di specie, l'articolo 144 T.U.B. è posto a protezione di un interesse generale costituito dalla tutela del risparmio (articolo 47 Cost.), e la sanzione che la suddetta norma prevede ha un evidente carattere repressivo e preventivo e prescinde dalla causazione di un danno. In altri termini la suddetta norma è dettata dallo scopo di dissuadere i soggetti sanzionabili dal porre in essere determinati comportamenti. Una volta accertata la natura penale di tale sanzione ne consegue che il procedimento di irrogazione delle medesime deve assicurare ai soggetti incolpati le stesse garanzie previste per i procedimenti penali, prima di tutte quella della pubblicità del processo, in virtù della quale ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente e pubblicamente entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale. La corte EDU ammette che l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non sia assoluto, ma tale obbligo è inderogabile ogni qualvolta siano sollevate questioni che attengono alla credibilità degli accusati e ancor di più a questioni di fatto che Ric. 2015 n. 28574 sez. S2 - ud. 07-11-2017 -4- solo in un'udienza pubblica troverebbero la loro legittima sede di discussione. Nella specie è pacifico che l'opposizione aveva ad oggetto plurime questioni di fatto costituite dalla necessità di accertare se sussistesse qualche mancanza о scarsa effettività nell'attività di controllo demandata ai sindaci, mentre l'udienza presso la Corte d'appello di Roma si è tenuta in camera di consiglio. Il procedimento davanti alla Corte d'appello di Roma, dunque, avrebbe violato l'articolo 6 della convenzione, e tale violazione non sarebbe sanabile neanche mediante la pubblicità dell'udienza presso la Corte di cassazione posto che essa non si estende al merito delle questioni sollevate dai sindaci. Inoltre la difesa dei ricorrenti richiama la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Genova in occasione della quale, in una materia del tutto analoga a quella in esame, si è affermato che le sanzioni amministrative previste dall'articolo 190 del TUF sono da qualificarsi penali e, dunque, occorre verificare se il procedimento previsto dall'articolo 195 del decreto legislativo numero 58 del 1998, che stabilisce in sede di impugnazione davanti alla corte d'appello la decisione in camera di consiglio sia compatibile con le garanzie stabilite dall'articolo 6 della convenzione, segnatamente con il principio della pubblicità delle udienze. 1.2

Per questi motivi

i sindaci ritengono che la questione di legittimità costituzionale proposta sia non manifestamente infondata oltre che rilevante per il giudizio e chiedono che venga sollevata dalla Corte di cassazione.

1.3 L'eccezione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti non può essere accolta per difetto di rilevanza. Ric. 2015 n. 28574 sez. S2 ud. 07-11-2017 -5- Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, una questione di costituzionalità finalizzata a riconoscere una determinata facoltà a una parte processuale è priva di rilevanza attuale se, nel giudizio a quo, quella parte non ha manifestato la volontà di esercitare la facoltà in discussione (ex plurimis sentenza n. 214 del 2013 in un caso perfettamente corrispondente in cui si discuteva della omessa previsione della pubblicità dell'udienza, e altri precedenti ivi indicati con particolare riguardo a questioni volte ad ampliare le possibilità di accesso dell'imputato a riti alternativi, ordinanze n. 55 del 2010, n. 69 del 2008, n. 129 del 2003 e n. 584 del 2000). In assenza di tale manifestazione di volontà, la rilevanza della questione risulta meramente ipotetica. L'applicabilità, nel giudizio principale, della "norma" resterebbe, infatti, subordinata ad un accadimento non solo futuro, ma anche del tutto incerto: e, cioè, alla circostanza che, a seguito di una pronuncia di accoglimento, l'interessato si avvalga effettivamente della facoltà attribuitagli (in termini analoghi, ordinanza n. 129 del 2003). La Corte costituzionale ha espresso il medesimo orientamento anche con la sentenza n. 80 del 2011. In tale occasione, una Sezione singola della Corte di cassazione aveva denunciato l'illegittimità costituzionale delle norme regolative del procedimento in materia di applicazione delle misure di prevenzione, nella parte in cui non riconoscevano alla parte interessata la facoltà di chiederne la trattazione in forma pubblica. Allora era stata dedotta la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con il principio di pubblicità delle udienze di cui all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, nella interpretazione datane dalla Corte di Ric. 2015 n. 28574 sez. S2 - ud. 07-11-2017 -6- Strasburgo, la quale, in plurime pronunce, aveva affermato che le persone coinvolte nei procedimenti di prevenzione (parimenti soggetti a trattazione camerale) dovessero godere almeno della possibilità di sollecitare una udienza pubblica davanti ai tribunali e alle corti d'appello. La questione è stata dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza di oggetto, giacché, nelle more, le norme denunciate erano già state dichiarate costituzionalmente illegittime, in parte qua, con la sentenza n. 93 del 2010. La Corte ha rilevato,

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