Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/07/2007, n. 16402
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La pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell'Ordine forense in relazione agli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo che, sebbene di natura pubblicistica, resta soggetto a prescrizione quinquennale, tale dovendosi intendere il termine di cui all'art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, suscettibile dell'interruzione ad effetto istantaneo di cui all'art. 2943 cod. civ. anche per effetto dei successivi atti compiuti dal titolare dell'azione disciplinare in pendenza del relativo procedimento. E poiché il giudizio che segue alla conclusione della fase amministrativa dinanzi al Consiglio dell'Ordine, ha come oggetto non un mero sindacato di legittimità sull'atto di applicazione della sanzione disciplinare, ma la relazione tra il potere disciplinare e la soggezione a tale potere, resa concreta dall'incolpazione contestata, come si desume dai poteri di indagine del Consiglio Nazionale Forense (r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 63, u.c.), anche alla fase giudiziale del procedimento si estende la norma sulla prescrizione, che ha la funzione di escludere che l'infrazione possa ancora avere rilevanza.
Nel giudizio di cassazione non può essere proposta querela di falso concernente un verbale di udienza del giudizio di merito, anzitutto perché nella fase di legittimità la querela di falso può essere proposta solo quando concerna documenti relativi alla fase stessa e non documenti già sottoposti al giudice del merito senza essere stati davanti a lui impugnati come falsi, poi perché nel giudizio di cassazione possono essere prodotti documenti riguardanti la nullità della sentenza impugnata, ma intendendosi per tale solo quella inficiante direttamente la sentenza e non quella verificatasi nel corso del processo e incidente solo indirettamente sulla decisione e, infine, perché la querela di falso civile presuppone che il documento impugnato sia stato prodotto dalla parte, che ne conservi la disponibilità, ciò che non è per i verbali d'udienza.
Il carattere di impugnazione eccezionale della revocazione, per i soli motivi tassativamente indicati nell'art. 395 cod. proc. civ.,comporta l'inammissibilità di ogni censura non compresa in detta tassativa elencazione ed esclude di conseguenza anche la deduzione di vizi e di nullità afferenti alle pregresse fasi processuali che restano deducibili con le ordinarie impugnazioni, se e nei modi in cui possano essere ancora proposte. In particolare, il presupposto della domanda di revocazione di cui all'art. 395, comma 3, cod. proc. civ., è che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, preesista alla sentenza impugnata.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di sezione -
Dott. MENSITIERI Alfredo - rel. Consigliere -
Dott. CICALA Mario - Consigliere -
Dott. PICONE Pasquale - Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. DE MATTEIS Aldo - Consigliere -
Dott. BENINI Stefano - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LA AR ES, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 48, presso lo studio dell'avvocato PULSONI Fabio, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BOLZANO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 232/05 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 28/12/05;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 12/06/07 dal Consigliere Dott. Alfredo MENSITIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto del 20.6.2003 l'avv.to La CA Alessandro impugnava per revocazione la sentenza del Consiglio Nazionale Forense 19.12.2003- 29.4.2003 notificatagli il 21.5.2003 che aveva rigettato il ricorso presentato avverso la decisione 8 giugno 2001 del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di OL con la quale gli era stata inflitta la sanzione disciplinare dell'avvertimento. Due i motivi della revocazione:
a)ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 3, per l'esistenza di nuova documentazione formatasi successivamente all'udienza del 19.12.2002, decisiva per la revoca della decisone impugnata (in particolare l'atto di citazione al teste Dr. ER in data 8 gennaio 2003 e il verbale di conciliazione giudiziale tra le parti del giudizio civile in data 14.1.2003);
b) ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione al travisamento di fatto circa l'esistenza della circostanza storica di cui al capo d'incolpazione (la sentenza del CNF era fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità era esclusa avendo il COA di OL basato la propria decisione sul fatto che l'incolpato aveva divulgato a terzi estranei comunicazioni intercorse con la controparte,in particolare facendo ascoltare al Dott. ER un messaggio lasciato dalla stessa controparte sulla propria segreteria telefonica, mentre lo stesso ER, ascoltato come teste nel corso del procedimento disciplinare, aveva invece dichiarato di non aver mai ascoltato personalmente detta telefonata, bensì di averne appreso il contenuto nel corso di una conversazione telefonica con esso La CA).
Con sentenza del 15.7.05-28.12.05 il Consiglio Nazionale Forense dichiarava inammissibile l'impugnazione affermando:
a) quanto alla richiesta di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 3, che essa era stata formulata il 20.6.2003, ben oltre i trenta giorni dal "recupero" dei documenti invocato "ex adverso";
b) quanto alla richiesta di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, che essa era stata proposta oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza e che comunque le circostanze dedotte non sembrava avessero incidenza esclusiva sulla formazione del processo logico che aveva condotto alla decisione impugnata e che le proposte censure toccavano una pretesa erronea interpretazione o valutazione e non un errore di fatto come richiesto dal citato art. 395 c.p.c., n.
4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione alle Sezioni Unite di questa Suprema Corte il La CA, sulla base di otto motivi.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati COA di OL e Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nei cui confronti è stato integrato il contraddittorio con ordinanza del 14 dicembre 2006. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia in via preliminare l'improcedibilità dell'azione disciplinare ancora in corso per il trascorso periodo prescrizionale di cinque anni dell'azione medesima esercitata con Delib. 15 dicembre 2000, n. 52.
Osserva il Collegio che la censura in esame sembra doversi interpretare nel senso che la prescrizione dell'azione disciplinare non dovrebbe ritenersi soggetta all'effetto interruttivo sospensivo di cui all'art. 2945 cod. civ., ma dovrebbe continuare anche nel corso del processo di impugnazione in sede giurisdizionale promosso dal professionista come previsto per l'illecito penale, restando soggetta solo all'interruzione istantanea.
Così individuata la portata della censura, lo stato della normativa vigente non consente un'interpretazione che possa condurre al suo accoglimento.
Va considerato, infatti, che la pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell'Ordine nei confronti degli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo che, sebbene di natura pubblicistica, resta soggetto a prescrizione, essendo stato escluso che il termine in questione debba intendersi, in realtà, come un termine di decadenza, insuscettibile, in quanto tale, di interruzione o di sospensione: va perciò ribadito l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4 maggio 1989, n. 2095) secondo cui il termine di prescrizione di soli cinque anni è diretto a sollecitare l'inizio del procedimento disciplinare senza porre peraltro termini per la sua definizione. Al regime della prescrizione estintiva è stato per lungo tempo ritenuta applicabile la disciplina dettata dal codice civile, considerata espressione dei principi generali della materia, e quindi la disposizione dell'art. 2945 cod. civ. civ., secondo cui, se l'interruzione consegue al compimento di uno degli atti di esercizio di un'azione giudiziaria, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, salvo il caso dell'estinzione del giudizio (da ultimo: Cass. 15 ottobre 1992, n. 3284). Tale orientamento è stato però abbandonato in quanto contrario all'esigenza, imposta dai principi costituzionali di ragionevolezza e di buon