Cass. civ., sez. III, sentenza 29/01/1999, n. 802

CASS
Sentenza
29 gennaio 1999
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CASS
Sentenza
29 gennaio 1999

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La prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4 cod. civ. per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, sicché anche gli interessi previsti dalla stessa disposizione debbono rivestire il contenuto della periodicità (nella specie la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso avverso la sentenza di merito che, in relazione ad un contratto di mutuo, aveva ritenuto non previsto per il debitore l'obbligo di corrispondere periodicamente gli interessi al creditore ed aveva quindi ritenuto soggetto alla prescrizione decennale il diritto alla corresponsione degli interessi stessi).

Il ricorrente in Cassazione che deduce l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non aver tenuto presente alcune clausole del contratto intercorso tra le parti, per il principio della "autosufficienza" del ricorso per cassazione, ha l'onere trascrivere le clausole di tale contratto trascurate dal giudice di merito, il cui esame avrebbe condotto ad una diversa conclusione della lite.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 29/01/1999, n. 802
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 802
Data del deposito : 29 gennaio 1999
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Enzo MERIGGIOLA - Presidente -
Dott. Giovanni Silvio COCO - Consigliere -
Dott. Ugo VARA - Consigliere -
Dott. Mario FINOCCHIARO - Cons. Relatore
Dott. Donato CALABRESE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
GH MA RE, GH EL, DE TE GI, elettivamente domiciliati in Roma, via del Babuino n. 124, presso l'avv. Bozza, difesi dall'avv. Stefano Faldella, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro
ER IO, elettivamente domiciliato in Roma, via Goiran n. 23, presso l'avv. Giovanni Contento, che unitamente all'avv. PE Contino lo difende giusta delega in atti;

- controricorrente -

RN LA;

- intimata -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 1392/94 pubblicata il 9 novembre 1994 (R.G. 1121/90). Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 ottobre 1998 dal Relatore Cons. Mario Finocchiaro;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico Iannelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo, la inammissibilità del secondo e l'accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso.
SVOLGIMENTO DE PROCESSO
Il 15 novembre 1968 veniva a morte VA LO: assumendo di essere legataria di un credito per lire 54 milioni, che il defunto vantava, in forza di un mutuo, nei confronti di GH PE (deceduto il 10 ottobre 1969), con atto 26 giugno 1970 la Pia Società San Francesco Saverio per le missioni estere conveniva in giudizio avanti il tribunale di Parma GH RI, MA, MA RE e EL, nella loro qualità eredi di GH PE, per sentirli condannare al pagamento della detta somma oltre gli interessi, in ragione delle rispettive quote ereditarie.
Costituitisi in giudizio i convenuti resistevano alla domanda attrice, eccependone l'infondatezza, atteso - da una parte - che la scrittura 10 novembre 1968, recante il legato invocato dalla Pia Società di San Francesco Saverio, non era autentica (per cui proponevano querela di falso), dall'altra, che il debito del proprio dante causa nei confronti di VA LO era estinto per avvenuto pagamento, come da quietanza liberatoria in data 18 agosto 1968 a firma dello stesso VA.
Accertata, con consulenza tecnica, la falsità della scrittura privata di legato, intervenivano nel processo VA GU e RI, fratelli e eredi del defunto VA LO per la quota di metà dell'asse ereditario, chiedendo che ove fosse rigettata la domanda attrice i GH fossero condannati, pro quota, alla restituzione della somma dovuta dal loro dante causa, proponendo, contestualmente, querela di falso contro la quietanza liberatoria a firma del proprio dante causa VA LO.
Interveniva in giudizio, altresì, AB AR - fratello ed eredi di AB BI, moglie di VA LO, deceduta dopo il marito - proponendo anch'egli querela di falso contro la quietanza a firma VA LO e chiedendo la condanna dei GH al pagamento della sua quota (pari al 50%) con relativi interessi, del credito di lire 54 milioni vantato dal defunto VA nei confronti dei GH. A seguito della morte di AB AR il processo era proseguito dai suoi figli ed eredi AB AR, IO e NN. Svoltasi l'istruttoria del caso il tribunale adito con sentenza 18 luglio 1977, dichiarata la falsità della scrittura di legato, rigettava la domanda della attrice nei confronti degli eredi GH nonché inammissibili, per difetto attuale di interesse, gli interventi dei VA e dei AB.
Gravata tale pronuncia dai soccombenti AB AR, IO e NN nonché da VA GU e RI (tutti nelle loro indicate qualità di aventi causa da VA LO) la Corte di appello di Bologna, con sentenza non definitiva 27 ottobre 1978 in parziale riforma della decisione dei primi giudici dichiarava ammissibili gli interventi disponendo, con separate ordinanze, la prosecuzione del processo per il compimento delle attività concernenti le querele di falso proposte con la quietanza liberatoria 18 agosto 1968 a firma di VA LO, quindi, con ordinanza 24 settembre 1979 - accertata la rituale proposizione della querela di falso e la rilevanza del documento impugnato - sospendeva il giudizio innanzi a sè, sino alla definizione della causa di falso, avanti al tribunale di Parma. Passata in giudicato la sentenza 24 settembre 1985 della Corte di appello di Bologna - che aveva rigettato l'appello proposto contro la sentenza 10 aprile 1984 del tribunale di Parma, dichiarativa della falsità della sottoscrizione apparentemente apposta da VA LO sulla quietanza 18 agosto 1968 - con ricorso 3 febbraio 1987 ER IO, nella dichiarata qualità di coerede di VA LO, in quanto figlio della deceduta VA NI, sorella unilaterale di VA GU, RI e LO, riassumeva il giudizio ma la Corte di appello di Bologna con sentenza 27 novembre 1987, passata in cosa giudicata, dichiarava l'estinzione del processo (eccepita dai litisconsorti GH) per mancata riassunzione del processo nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza 24 settembre 1985. Successivamente, con decreto 27 febbraio 1988, il presidente del tribunale di Parma ingiungeva a GH RI, MA, MA RE e EL - ciascuno per la quota di un quarto - il pagamento della somma di lire 18 milioni oltre interessi e svalutazione monetaria dall'1 gennaio 1969 al saldo in favore di VA GU, in proprio e quale coerede del fratello VA RI.
Avverso tale decreto proponevano opposizione i germani GH eccependo la prescrizione di ogni diritto del VA, attesa l'estinzione del processo già pendente innanzi alla Corte di appello di Bologna, nonché l'inammissibilità di una condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1224, ultimo comma, c.c. in un decreto ingiuntivo, in mancanza di qualsiasi prova del danno. Costituitosi in giudizio il VA resisteva alla proposta opposizione, deducendone l'infondatezza e chiedendone il rigetto. Svoltasi l'istruttoria del caso il tribunale, con sentenza 11 settembre 1990 rigettava l'opposizione, rilevando, quanto all'eccezione di prescrizione, che essendo intervenuta - nel precedente giudizio - sentenza definitiva di merito della Corte di appello di Bologna, circa l'ammissibilità dell'intervento in causa di AB AR, IO e NN nonché di VA GU e RI (tutti nelle loro indicate qualità di aventi causa da VA LO) il nuovo termine di prescrizione iniziava a decorrere il 12 novembre 1979, che gli accessori del credito seguivano la sorte del capitale e che - infine - il riconoscimento della svalutazione monetaria non era incompatibile con il procedimento monitorio, essendo l'ammontare della relativa obbligazione determinabile in modo certo, in base a un semplice calcolo aritmetica e stante la notorietà di essa. Tale pronuncia era gravata dai germani GH innanzi alla Corte di appello di Bologna nei confronti di VA GU: si costituiva in giudizio - peraltro - ER IO, quale erede universale dell'appellato deceduto, chiedendone il rigetto.
Deceduti, nel corso del giudizio di appello, GH MA e RI, il processo era dichiarato interrotto e, successivamente, riassunto da GH MA RE e EL, nonché da RN LA e DE TE GI, eredi, rispettivamente, di GH RI e GH MA.
Con sentenza 30 settembre - 9 novembre 1994 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia dei primi giudici, revocava il decreto 27 febbraio 1988 del presidente del tribunale di Parma e condannava GH MA RE, GH EL, RN IA e DE TE GI a pagare, ciascuno per la quota di sua spettanza, a ER IO, per il titolo oggetto di causa, la somma di lire 18 milioni, oltre lire 174.622.000 a titolo di maggior danno da svalutazione monetaria e interessi sulla somma capitale dal gennaio 1969 alla data della pronuncia.

Ritenuto che

all'obbligazione di interessi che non abbia scadenza annuale o infrannuale non si applica la prescrizione quinquennale (di cui all'art. 2848 n. 4 c.c.), ma quella decennale, la Corte di appello ha osservato che nella specie questa, iniziando nuovamente a decorrere alla data del 12 novembre 1979 - data del passaggio in giudicato della sentenza 27 ottobre 1978 della stessa Corte di appello, che definiva il giudizio sulla ammissibilità dell'intervento in causa del creditore VA GU - al momento della notificazione del decreto ingiuntivo (4 - 6 marzo 1988) non era ancora maturata.
Analogo discorso doveva ripetersi con riguardo al maggior danno da svalutazione monetaria il quale doveva liquidarsi in una misura pari agli indici ISTAT tenuto presente che era "logico ritenere che il VA GU, prima e il ER, dopo,

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