Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/11/2008, n. 28040

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Massime1

L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall'art. 50 quater cod. proc. civ. al successivo art. 161, comma primo, un'autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l'effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell'impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/11/2008, n. 28040
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 28040
Data del deposito : 25 novembre 2008
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. E A - Presidente -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. G U - rel. Consigliere -
Dott. T S - Consigliere -
Dott. A G - Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
su ricorso 11717/2005 proposto da:
M G, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PACUVIO

34, presso lo studio dell'avvocato R G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato S L, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
P GRRIEILLA, M M, M L, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

COSSERIA

5, presso lo studio dell'avvocato R G FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato D B G, giusta delega a margine del ricorso;



- controricorrenti -


e contro
MRLER RITA, ANTONELLI MADDALENA, ANTONELLI INNOCENZO;



- intimati -


sul ricorso 6520/2006 proposto da;

M G, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PACUVIO

34, presso lo studio dell'avvocato R G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato S L, giusta delega a margine dei ricorso;



- ricorrenti -


contro
P GBRIELLA, M L, M M, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

COSSERIA

5, presso lo studio dell'avvocato R G FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato D B G, giusta delega a margine del controricorso;



- controricorrenti -


e contro
MRLER RITA, ANTONELLI MADDALENA, ANTONELLI INNOCENZO;



- intimati -


avverso le sentenze nn. 48/2005 depositata il 19/02/2005 e la n. 408/2005 depositata il 21/11/2005, entrambe della CORTE D'APPELLO di TRENTO;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/09/2008 dal Consigliere Dott. G U;

uditi gli avvocati

ROMANELLI

Guido,

FRANZIN

Ludovica, per delega dell'avvocato

ROMANELLI

Guido Francesco;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso assorbiti gli altri motivi. SVOLGIMNTO DEL PROCESSO
Ottavio MRLER, la famiglia del quale era composta dalla moglie, Elisa PAISSAN e dai figli, G, Maria Rosa, R e Silvano, deceduto il 12.9.1971, aveva disposto con testamento olografo in data 2.9.1965 delle proprie sostanze;
il 7.11.1972,

PAISSAN

Elisa rinunciava all'usufrutto a lei concesso nel testamento del marito. Maria Rosa decedeva nell'ottobre 1967, lasciando eredi il marito, Innocenzo ANTONELLI, e la figlia

ANTONELLI

Maddalena.
Silvano decedeva nel giugno 1996, lasciando quali eredi la moglie, Gabriella Piva ei figli, Matteo e Luca.
Intervenivano poi atti di cessione di quanto pervenuto loro per eredità da parte di R Merler e Innocenzo e Antonelli Maddalena a favore di Gabriella Piva e Luca e Matteo Merler. Questi ultimi, con atto del 16.6.1998, convenivano Merler G davanti al tribunale di Trento, chiedendo la divisione dei beni in Gardolo facenti parte dell'eredità di O M, sul presupposto di essere comproprietari per la metà degli stessi, mentre l'altra metà spettava al convenuto, il quale costituitosi, chiedeva in via riconvenzionale che fosse accertata la sua proprietà esclusiva della p. ed. 642 e della p. f. 970/14 a titolo successorio, o, comunque, per usucapione, e che fossero annullati gli atti posti in essere per il rilascio del certificato di eredità;

successivamente, chiedeva che si procedesse alla divisione dell'intera massa ereditaria di O M e, a tal fine, chiedeva fossero chiamati in causa gli altri coeredi di

MRLER

Ottavio o eredi degli stessi, i quali, costituitisi, deducevano la loro estraneità in ordine alla domanda principale ed alla domanda riconvenzionale di G, il quale, essendo stata eccepita la tardività della domanda di scioglimento dell'intera comunione ereditaria, con citazione del 10.1.2003, riproponeva tale domanda ed esperiva il retratto successorio in relazione al trasferimento delle quote ereditarie di R e M R M.
Con ordinanza del 29.4.2003, il G.I. prima riuniva le cause e poi disponeva;
- la separazione della causa di divisione parziale dalle altre domande cui era riunita;

- la riunione delle cause aventi ad oggetto rispettivamente la divisione parziale e lo scioglimento della comunione;

- la sospensione, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., delle cause di divisione parziale e di scioglimento della comunione sino alla definizione delle domande pregiudiziali relative all'usucapione ed la retratto successorio.
Con sentenza in data 20.12.2003, il Tribunale adito rigettava la domanda di usucapione e di annullamento del certificato ereditano. G Merler proponeva appello, rigettato dalla Corte di appello di Trento con sentenza del 19.2.2005;
per quanto qui interessa, i giudici dell'impugnazione ritenevano infondata l'eccezione relativa alla nullità della sentenza di primo grado per violazione delle norme che attribuiscono la decisione della causa al tribunale in formazione collegiale o monocratica, in quanto la nullità in questione risultava sanata per non essere stata immediatamente sollevata.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Merler G, sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria e resistono con controricorso Gabriella Piva e Luca e Merler Matteo.
Nel giudizio non sospeso, il tribunale di Trento ha rigettato sia la domanda di riscatto che quella tendente a far accertare che la clausola 4^ del testamento di O M contenesse una sostituzione fidecommissaria;
l'appello di G Merler veniva rigettato dalla Corte di appello di Trento con sentenza in data 21.11.2005, in cui la stessa eccezione di nullità della sentenza di prime cure ai sensi dell'art. 50 quater c.p.c., per violazione delle norme di attribuzione tra organo monocratico e collegiale veniva respinta con ampia motivazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Merler G con nove motivi, illustrati da memoria e resistono con controricorso Gabriella Piva e Matteo e Luca Merler. Con ordinanza interlocutoria in data 14.3/4.6.2008, la seconda Sezione di questa Corte, riuniti i ricorsi e rilevata l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte relativamente alla sanabilità o meno della nullità derivante dalla decisione della causa da parte del Tribunale in diversa articolazione, nella specie monocratica in luogo di quella collegiale, rispetto a quella normativamente prevista, ha rimesso gli atti al sig. Primo presidente perché valutasse l'opportunità di rimettere la questione alle Sezioni unite di questa Corte, come è avvenuto.
In occasione dell'odierna udienza sono state presentate memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi sono stati proposti avverso due sentenze emesse nello stesso procedimento e possono pertanto essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Con il primo motivo di entrambi i ricorsi è stata prospettata la violazione degli artt. 281 nonies, 50 quater, 157 e 161 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel ricorso 6520 del 2006, anche il vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su di un punto decisivo della controversia: in entrambi i casi, a parte l'imporprietà relativa all'indicazione degli articoli che si assumono violati, si intende lamentare che le sentenze, che la norma di cui all'art. 50 quater c.p.c., demandava alla cognizione del giudice collegiale, siano state invece decise dal giudice monocratico del tribunale.
Gli artt. 50 bis e quater c.p.c., risultano, ratione temporis, applicabili nella fattispecie.
Con riguardo alla questione sollevata con il primo motivo di ricorso, la stessa, a parte alcune imprecisioni lessicali e non solo, si risolve nella denuncia di violazione degli artt. 50 bis e 350 c.p.c., come novellati ed applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame, in quanto un appello avverso sentenza del Giudice di pace era stato deciso dal tribunale in composizione collegiale, quando la norma di cui all'art. 50 bis c.p.c., attribuisce tale materia alla cognizione del giudice monocratico.
La tematica della ripartizione delle cause tra giudice monocratico e giudice collegiale, come evidenziato nella ordinanza interlocutoria della seconda sezione civile di questa Corte, è stata risolta in maniera non conforme nella giurisprudenza di questa stessa Corte in quanto ad un orientamento favorevole alla sanatoria ex art. 157 c.p.c., nel caso in cui la nullità non venga eccepita nella prima
udienza successiva (sentenze 21.3.2005, n 6071;
19.7.2004, n 13358) se ne contrappone un altro secondo cui l'inosservanza delle disposizioni sulla ripartizione delle cause tra giudice monocratico e collegiale del tribunale chiamato a decidere la controversia, costituisce, alla stregua del rinvio operato dall'art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161 c.p.c., comma 1, un'autonoma causa di
nullità della decisione e non una forma di nullità derivata dagli atti che l'hanno preceduta con la conseguenza che non appare possibile ipotizzare una rinuncia tacita ad opporre il vizio del provvedimento prima della emissione dello stesso (sentenze 25.5.2007, n 12206 e 29.1.2004, n 1658). In dottrina, gli Autori che hanno affrontato la questione accedono, in senso sicuramente predominante, alla soluzione che tende a valorizzare la previsione del principio della conversione della relativa nullità in motivo di impugnazione, escludendone la sanabilità anche per acquiescenza delle parti interessate e limitandone la rilevabilità di ufficio sino al momento della definizione del giudizio di primo grado secondo i meccanismi stabiliti dagli artt. 281 septies ed octies c.p.c., con conseguente preclusione del rilievo da parte del giudice in sede di impugnazione e formazione del giudicato formale in difetto di specifico motivo di impugnazione.
Per affrontare compiutamente tale questione occorre partire dal dettato normativo;
è infatti dato risultante dalla inequivoca lettera della legge che la veste collegiale del tribunale è prevista come eccezionale e nei soli casi enumerati da 1 a 7 bis nell'art. 50 bis c.p.c.;
tale constatazione comporta che la monocraticità
costituisce la regola e che pertanto deve trovare giustificazione nella sussistenza di quei casi che la surricordata norma elenca il ricorso all'articolazione collegiale, come si verifica nella fattispecie in esame.
Ciò chiarito, occorre anche far riferimento all'altro dato normativo (art. 50 quater c.p.c.) secondo cui;
"Le disposizioni di cui agli artt. 50 bis e 50 ter c.p.c., non si considerano attinenti alla costituzione del giudice";
tale dettato, del resto riflettente una situazione in cui non si ha tanto un vizio di composizione del giudice ma piuttosto un errore di ripartizione delle controversie nell'ambito di uno stesso ufficio, comporta che non sia applicabile la disciplina della nullità assoluta al caso in esame, atteso che nella specie si ha, con riferimento alla veste collegiale o monocratica del tribunale, una mera articolazione interna dello stesso ufficio (v. Cass. SS. UU. 28.9.2000, n 1045);
ord.za 8.2.2005, n 2524) e che il vizio de quo non possa essere rilevato di ufficio. Per quanto attiene poi alla valutazione delle conseguenze che da tale errore derivano, occorre ancora fare riferimento alla norma di cui all'art. 50 quater c.p.c., che prosegue asserendo che: "Alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l'art. 161 c.p.c., comma 1". Da tale chiara enunciazione deriva che la regola secondo cui la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione, cosa questa che peraltro non esclude in radice che altre regole codicistiche possano escludere la deducibilità della nullità ove la stessa risulti sanata, e ciò in applicazione dell'art. 157 c.p.c.. Ma appare decisivo al riguardo l'argomento secondo cui l'attuarsi del vizio nell'articolazione del tribunale si ha per certo e definitivo soltanto se ed in quanto la sentenza venga emessa come nella specie dal giudice monocratico, quando era invece prevista l'attribuzione di quell'affare al giudice collegiale, atteso che solo al momento dell'emanazione della sentenza la nullità viene in essere e si radica, mentre, fino alla pronuncia della sentenza stessa ben potrebbe il tribunale rimettere la causa al giudice collegiale, così da non incorrere nel vizio in esame.
È anche da rilevare che il giudice collegiale è, quanto meno in astratto, idoneo a fornire maggiori garanzie rispetto al giudice monocratico, cosa questa che nel caso di specie costituirebbe di per sè ulteriore ragione di nullità della sentenza, ma deve comunque ricordarsi al riguardo che la regola è quella della monocraticità e che la collegialità costituisce eccezione a tale regola, in casi specificamente previsti dal legislatore e che quindi privare di significato la ripartizione legislativamente operata tra le due possibili composizioni del tribunale altererebbe il concetto stesso della eccezionalità.
Non trattasi dunque di nullità relativa derivante da atti processuali che hanno preceduto la sentenza (e soggetta quindi al regime di sanatoria implicita), ma di una delle nullità c.d. a regime intermedio che si sanano solo se fatte valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c., comma 1 e ciò indipendentemente dalla preventiva o meno formulazione dell'inerente eccezione, e che investono direttamente la sentenza emessa in violazione dei criteri di ripartizione interna degli affari nell'ambito del Tribunale. Va pertanto ritenuto che la pronuncia del tribunale in composizione monocratica nei casi in cui opera la regola generale della collegialità, integri nullità della sentenza.
Va comunque aggiunto che conseguono da tale principio dei corollari che è bene evidenziare;
in primo luogo, la nullità investe soltanto la sentenza e ciò proprio in ragione del tipo di vizio di che trattasi, che non investe gli atti che l'hanno preceduta, che conservano piena validità;
in secondo luogo, l'ipotesi esaminata non rientra tra i casi di rinvio al primo giudice tassativamente previsti dall'art. 354 c.p.c., e quindi il giudice superiore dovrà, se è anche giudice del merito, pronunciarsi al riguardo, previo accoglimento del motivo di impugnazione relativo.
Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto in base al principio di diritto secondo cui: "la violazione delle norme concernenti la ripartizione degli affari tra il giudice monocratico ed il giudice collegiale del tribunale comporta nullità della sentenza impugnata, che può essere fatta valere ai sensi dell'art.161 c.p.c., ma tale nullità non produce l'effetto di rimessione
degli atti al primo giudice se il giudice dell'impugnazione è anche giudice del merito e non comporta la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla";
tanto comporta l'accoglimento del primo motivo di entrambi i ricorsi e l'assorbimento degli altri, attinenti al merito e la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Trento in altra composizione.
Attesa la sussistenza del ricordato contrasto giurisprudenziale, appaiono sussistenti valide ragioni per compensare interamente tra le parti le spese del presente procedimento per cassazione.

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