Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 26/06/2009, n. 15074

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Massime1

Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l'attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti - in particolare - per l'ambito e l'intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, nonché per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sè alcun apprezzamento in ordine all'eventuale incidenza, sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale. Pertanto, ai fini del riconoscimento della causa di servizio occorre che l'attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendo farsi ricorso a presunzioni di sorta e non trovando applicazione, diversamente dalla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la regola contenuta nell'art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 26/06/2009, n. 15074
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15074
Data del deposito : 26 giugno 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R F - Presidente -
Dott. M S - Consigliere -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. I A - Consigliere -
Dott. Z P - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALÌ ANNUNZIATA , D'AGOSTINO SERAFINA , D'AGOSTINO ROSA , D'AGOSTINO ANTONIO , D'AGOSTINO SOFIA ANTONIA , nella qualità di eredi di D'AGOSTINO STEFANO , elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE

1, presso lo studio dell'avvocato S S A - N S, rappresentati e difesi dall'avvocato P D, giusta mandato a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già FERROVIE DELLO STATO SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO

172, presso lo studio dell'avvocato O M, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 515/2004 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 08/01/2005 R.G.N. 330/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28/04/2009 dal Consigliere Dott. ZAPPIA PIETRO;

udito l'Avvocato POLIMENI;

udito l'Avvocato SILVAGNI per delega OZZOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RIELLO

Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTO
Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Reggio Calabria, depositato in data 21.12.1993, D'Agostino Stefano , premesso di essere dipendente delle Ferrovie dello Stato e di aver espletato le mansioni di manovratore in scambi e manovra, esponeva di aver contratto a causa dell'attività lavorativa svolta una artrosi cervicale. Chiedeva pertanto, avendo la società datoriale rigettato la sua domanda volta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di tale infermità, che il giudice adito volesse dichiarare che la patologia in questione era stata contratta a causa dell'attività di manovratore dallo stesso svolta e volesse condannare la società convenuta alla corresponsione dei consequenziali benefici economici.
Con sentenza in data 11.2.2000 il Tribunale di Reggio Calabria, disposta ed espletata consulenza medico - legale, accoglieva la domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società Ferrovie dello Stato s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, disposta nuova consulenza medico - legale, con sentenza in data 3.12.2004, accoglieva il gravame rigettando le domande proposte dall'originario ricorrente. Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione Galì Annunziata , D'Agostino Serafina , D'Agostino Rosa , D'Agostino Antonio e D'Agostino Sofia Antonia , nella qualità di eredi di D'Agostino Stefano , deceduto nelle more dell'espletamento del giudizio, con tre motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso l'intimata Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato s.p.a.).
Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.. DIRITTO
Col primo motivo di gravame i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Rilevano in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso che la attività lavorativa svolta dal loro dante causa costituisse concausa determinante ed efficiente della patologia riscontrata, fondandosi su una non corretta ed apodittica valutazione delle conclusioni del CTU il quale aveva rilevato che il danno artrosico cervicale lamentato dal ricorrente non poteva "essere imputabile solo al servizio di manovratore a cui era applicato". E rilevano altresì che erroneamente la Corte territoriale, in presenza di un contrasto fra le conclusioni peritali cui erano pervenuti i consulenti d'ufficio nominati nel primo e nel secondo grado del giudizio, aveva aderito alle risultanze della seconda perizia senza esporre congruamente le ragioni del suo convincimento. Col secondo motivo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare rilevano i ricorrenti che erroneamente la Corte territoriale, argomentando dal rilievo che ne caso di specie si era in presenza di una patologia ad eziologia multifattoriale, aveva ritenuto che non fosse stata fornita la prova del nesso di causalità fra la patologia suddetta e l'attività lavorativa svolta, posto che, non essendo stati i fatti posti a fondamento della domanda specificamente contestati da controparte, l'esistenza del suddetto nesso di causalità doveva considerarsi elemento acquisito al processo.
Col terzo motivo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 e del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, art. 48, nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Rilevano in particolare i ricorrenti che la Corte territoriale, nel recepire interamente la relazione di consulenza tecnica d'ufficio effettuata ne secondo grado del giudizio, aveva confuso gli istituti della rendita per malattia professionale, disciplinata dal D.P.R. n.1124 del 1965, e quello dell'indennizzo per causa di servizio,
disciplinato dal D.P.R. n. 686 del 1957, incorrendo in un grave error in iudicando atteso che gli istituti suddetti si fondano su presupposti diversi.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
In proposito ritiene il Collegio di dover brevemente evidenziare che la "causa di servizio" costituisce il presupposto per l'attribuzione di un "equo indennizzo". Tale istituto, previsto per il pubblico impiego dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68 (e le cui procedure sono state notevolmente semplificate dal D.P.R. 20 aprile 1994, n.349 e dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1), è stato poi esteso
ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato (L. 6 ottobre 1981, n. 564, art. 11 e D.M. 2 luglio 1983, n. 1622). La relativa nozione è data,
poi, ripresa dal D.P.R. 29 dicembre 1972, n. 1092, art. 64, che stabilisce al riguardo che i "fatti di servizio", dai quali può dipendere una infermità o la perdita;
dell'integrità fisica, sono quelli derivanti dall'adempimento degli obblighi di servizio, e che le lesioni e le infermità si considerano dipendenti da causa di servizio solo quando tale adempimento ne è stata causa ovvero concausa determinante ed efficiente (v. sul punto, Cass. sez. lav., 8.6.1999 n. 5637). Quindi, contrariamente a quanto si verifica in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, non può trovare diretta applicazione la regola (ribadita nella recente pronuncia di questa Corte, sez. lav., 4.6.2008 n. 14770) contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sè sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.
In materia le Sezioni Unite di questa Corte hanno ulteriormente rilevato che "la portata estensiva da attribuirsi all'espressione "fatti di servizio" e la considerazione che "la perdita permanente della integrità fisica" del pubblico dipendente può risalire, seppure in forma concausale, a predisposizione organica o costituzionale a contrarre infermità e/o a preesistenti condizioni morbose, portano a concludere che nella materia in esame si rinvengono puntualmente tutte quelle esigenze che, in relazione ad ogni controversia in materia di lavoro, impongono la completezza del ricorso e della memoria difensiva nei termini innanzi indicati, sicché non è consentito dubitare che l'onere della prova - secondo i principi generali (art. 2697 c.c.) - gravi sul dipendente, non sussistendo in materia presunzioni di dipendenza da causa di servizio, come accade, invece, per le malattie professionali tabellate" (Cass. SS.UU., 17.6.2004 n. 11353). Deve pertanto ritenersi che, ai fini del riconoscimento della "causa di servizio" in relazione all'equo indennizzo, occorre che l'attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendosi nella specifica materia far riferimento a presunzioni di sorta. Siffatto principio assume rilevanza fondamentale ai fini della soluzione della presente vicenda giudiziaria, avendo i ricorrenti lamentato che erroneamente i giudici di appello, fondandosi su una non corretta lettura delle conclusioni del CTU il quale aveva rilevato che il danno artrosico cervicale lamentato dal ricorrente non poteva "essere imputabile solo al servizio di manovratore a cui era applicato", avevano escluso che la attività lavorativa svolta dal lavoratore costituisse concausa determinante ed efficiente della lamentata patologia.
Tale rilievo implica una valutazione della motivazione espressa dall'organo decidente il quale, nel riportarsi al contenuto della predetta relazione di consulenza medico legale, ha correttamente evidenziato: (a) che il nesso di causalità fra attività lavorativa ed evento, in caso di patologie ad eziologia multifattoriale, non poteva essere oggetto di presunzioni di carattere astratto od ipotetico, ma esigeva una dimostrazione ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto;
(b) che il CTU nominato nel secondo grado del giudizio aveva posto in rilievo che, in presenza di processi artrosici ad eziologia multifattoriale, il danno, allorché è dovuto ad agenti fisici od a carichi di lavoro ripetuti, non colpisce un solo distretto ma si manifesta anche negli altri;
(c) che, se pur l'avvenuto decesso del ricorrente non consentiva un riscontro obiettivo di ulteriori danni alla colonna vertebrale, agli atti non risultava - siccome evidenziato dal CTU - alcuna menzione di denunce fatte dall'assicurato all'Ente per lombalgie, radicoliti lombari o altro che potesse essere in relazione con un risentimento a carico di altri apparati neuromuscolari facenti capo alle cerniere lombari (e pertanto, osserva il Collegio, in assenza di alcuna denuncia dell'interessato per sofferenze lombari, si appalesa del tutto irrilevante - e correttamente non è stata valutato dalla Corte territoriale - l'esito dell'esame radiografico eseguito il 7.5.1990 che riferisce "i corpi vertebrali interessati da fatti artrosici", ma "conservati gli spazi intersomatici ed i forami di congiunzione"). Alla stregua di tali considerazioni il giudice ha rilevato che l'assunto del CTU secondo cui il danno artrosico cervicale lamentato dal ricorrente non poteva "essere imputabile solo al servizio di manovratore a cui era applicato", andava correttamente interpretato nel senso che l'attività lavorativa svolta, se pur assumeva il ruolo di concausa, non poteva essere ritenuta ne' determinante ne' efficiente.
Deve ritenersi pertanto l'infondatezza delle censure mosse dai ricorrenti all'impugnata sentenza avendo la Corte territoriale, con motivazione assolutamente precisa che si sottrae pertanto ai rilievi sollevati con il proposto gravame, dato piena ed esaustiva contezza delle proprie determinazioni e dell'iter argomentativo seguito ed attraverso il quale era pervenuta alla conclusione che il CTU nominato non avesse in alcun modo ritenuto o affermato la natura di concausa determinante ed efficiente dell'attività lavorativa svolta dal D'Agostino nel determinismo dell'evento lesivo riscontrato. Pertanto sotto tale profilo il gravame non può trovare accoglimento. Nè può condividersi l'ulteriore rilievo, di cui al predetto motivo di gravame, secondo cui la Corte territoriale, in presenza di un contrasto fra le conclusioni peritali cui erano pervenuti i consulenti d'ufficio nominati nel primo e nel secondo grado del giudizio, aveva aderito alle risultanze della seconda perizia senza esporre congruamente le ragioni del suo convincimento. Orbene, osserva il Collegio che senz'altro corretto si appalesa l'assunto di parte ricorrente circa l'esigenza di tale motivazione. Ed invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, ma deve dare adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento (Cass. sez. lav., 24.2.2003 n. 2801;
Cass. 15.3.2000 n. 3787;
Cass. sez. lav., 21.1.1998 n. 517;
Cass. sez. 2^, 9.5.1987 n. 4288). E nell'ambito di tale orientamento è stato altresì precisato ulteriormente che, quando il giudice intenda uniformarsi alla seconda consulenza, deve giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni dei primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione;
il che vuoi dire che, in definitiva, si chiede al giudice di merito, qualora si trovi di fronte a valutazioni tecniche divergenti, di fondare la sua decisione non su una affermazione apodittica bensì su un adeguato apprezzamento delle ragioni della divergenza.
Posto ciò osserva tuttavia il Collegio che nel caso di specie, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, la Corte territoriale ha proceduto ad un esame di entrambi gli elaborati peritali, giungendo alla motivata conclusione, sulla base delle osservazioni esposte dal CTU nominato nel secondo grado del giudizio, che, in assenza di un danno esteso a più distretti in ipotesi interessati dall'attività lavorativa svolta dal soggetto, doveva escludersi la derivazione della patologia riscontrata dalla suddetta attività lavorativa (che nel caso di specie comportava delle sollecitazioni non solo al rachide cervicale, ma anche al rachide lombare e ad altri apparati neuromuscolari);
ed ha quindi ben posto in rilievo le ragioni della propria adesione al secondo elaborato peritale, avendo operato un adeguato apprezzamento delle ragioni della divergenza. Rileva in proposito il Collegio che, al fine di considerare la adeguatezza e sufficienza della motivazione operata dal giudicante, non è necessario che nella stessa vangano prese in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati (Cass. sez. lav., 5.10.2006 n. 21412;
Cass. sez. 3^, 27.7.2006 n. 17145;
Cass. sez. 3^, 24.5.2006 n. 12362;
Cass. sez. lav., 10.5.2002 n. 6765;
Cass. sez. 3^, 23 aprile 2001 n. 5964;
Cass. sez. lav., 7.11.2000 n. 14472;
Cass. sez. lav., 10.5.2000 n. 6023;
Cass. sez. 1^, 23.7.1994 n. 6868). Del pari infondato è il secondo motivo di gravame ove si osservi che l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'esistenza del dedotto nesso di causalità doveva considererai elemento acquisito al processo non essendo stati i fatti posti a fondamento della domanda contestati specificamente da controparte, si appalesa chiaramente infondato;
ed invero la mancata contestazione dei fatti su cui si basa la domanda (svolgimento di una attività lavorativa che si assume idonea a determinare l'insorgere delle patologie denunciate), non comporta alcuna automatica refluenza di tale circostanza sulla ritenuta esistenza di un nesso di derivazione causale fra l'attività svolta e la patologia riscontrata, essendo a tal fine necessario che venga fornita la prova, non potendosi fare riferimento a presunzioni di sorta, dell'esistenza di tale nesso di causalità. Ed invero, per come emerge dal contenuto del predetto D.P.R. 29 dicembre 1972, n. 1092, art. 64, pur in presenza di "fatti di
servizio" dai quali può dipendere una infermità o la perdita dell'integrità fisica, le patologie denunciate si considerano dipendenti da causa di servizio solo quando l'adempimento di tali obblighi di servizio ne è stata causa ovvero concausa efficiente e determinante.
E infine infondato anche il terzo motivo di gravame concernente la dedotta confusione fra l'istituto della rendita per malattia professionale, disciplinato dal D.P.R. n. 1124 del 1965, e quello dell'indennizzo per causa di servizio, disciplinato dal D.P.R. n. 686 del 1957. Sul punto osserva il Collegio che l'equo indennizzo e la rendita per malattia professionale, pur avendo entrambi ad oggetto la lesione dell'integrità psicofisica del soggetto, non si identificano, presentano una componente distinta in relazione alla valutazione, riferita per il primo alla ascrivibilità della menomazione ad una delle categorie di cui alle tabelle A e B annesse alla L. 10 agosto 1950, n. 648, e per il secondo al grado di inabilità ai sensi del
D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74. Peraltro l'autonomia dei due distinti accertamenti, data la suddetta parziale coincidenza, non esclude che nella pratica si possa realizzare una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia con l'attività lavorativa sia ai fini dell'equo indennizzo che della malattia professionale. Ciò si verifica in tutti i casi in cui il rapporto della malattia con il lavoro si atteggi in modo unitario ed adeguato alla disciplina delle malattie professionali sì da integrare anche la dipendenza da causa di servizio (Cass. sez. lav., 25.2.2005 n. 4005;
Cass. sez. lav., 7.6.1999 n. 5589). Nel caso di specie, la relazione di consulenza tecnica d'ufficio effettuata nel secondo grado del giudizio, alle cui conclusioni la Corte territoriale ha ritenuto motivatamente di aderire, pone in chiara evidenza la insussistenza di un rapporto di causalità, o di concausalità determinante ed efficiente, tra l'attività lavorativa svolta e la patologia denunciata, di talché le conclusioni del predetto CTU mantengono la loro validità in relazione alla fattispecie in esame, concernente il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia segnalata.
Il ricorso di conseguenza non può trovare accoglimento. Al rigetto del ricorso segue, in applicazione del principio della soccombenza, la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

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