Cass. pen., sez. II, sentenza 04/09/2018, n. 39702
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Testo completo
o la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: G G nato il 06/02/1987 a CERIGNOLA avverso la sentenza del 21/03/2016 della Corte d'appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere S D P Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M M S P, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Bari, con sentenza in data 21/03/2016, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal G.i.p. del Tribunale di Foggia, in data 21/11/2007, nei confronti di G G in relazione al reato di cui alli art. 648 bis cod. pen. 2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell' imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso, la violazione di legge in riferimento agli artt. 648 bis e 712 cod. pen.;la sentenza di condanna era fondata sulla circostanza dell'apposizione, da parte dell'imputato, sul ciclomotore di provenienza furtiva rinvenuto nella sua disponibilità, della targa prevista per quella tipologia di veicoli;il ricorrente sottolineava come tale condotta non fosse in nulla idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, poiché la targa non era mezzo di individuazione di un determinato ciclomotore ma, piuttosto, della persona cui la targa era stata rilasciata;dagli atti del processo non risultava che il numero di telaio del ciclomotore fosse stato alterato o manomesso;la motivazione sul punto della Corte era illogica, poiché aveva affermato che la targa utilizzata poteva essere apposta solo se il veicolo fosse stato di lecita provenienza. Da ciò desumeva il ricorrente la carenza di motivazione anche in ordine alla consapevolezza dell'imputato circa la provenienza delittuosa del veicolo, circostanza che avrebbe imposto una differente qualificazione giuridica del fatto integrante al più l'ipotesi contravvenzionale dell'art. 712 cod. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto è manifestamente infondato. 2.1. Nella definizione della condotta tipica del delitto di riciclaggio previsto e punito dall'art. 648 bis cod. pen. il legislatore ha individuato distinte categorie di atti materiali e giuridici: quelli che hanno ad oggetto la sostituzione, in senso fisico, del denaro, dei beni o delle altre utilità che risultino di provenienza delittuosa;gli atti di trasferimento, mediante negozi giuridici, delle medesime cose considerate dalla norma;infine, la categoria residuale, destinata a garantire la massima estensione della tutela, che individua ogni altra operazione, materiale o giuridica, che abbia la finalità (comune anche alle altre categorie di atti) di ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa. Alla stregua della definizione contenuta nella norma, è evidente che la condotta realizzata mediante l'esecuzione di un'operazione volta a ostacolare la provenienza delittuosa delinea una tipologia di reato a forma libera, la quale deve risultare caratterizzata dal tipico effetto dissimulatorio, avendo l'obbiettivo di ostacolare l'accertamento dell'origine delittuosa del denaro o del bene (Sez. 2, n. 39756 del 05/10/2011, Ciancinnino, Rv. 251194). In linea con tale inquadramento e considerando l'interesse tutelato dalla norma, si è affermato che il delitto di riciclaggio ricorre anche nell'ipotesi in cui il compimento delle operazioni, pur non impedendolo in modo definitivo, sia comunque idoneo a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità (Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, V, Rv. 271530).
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