Cass. pen., sez. I, sentenza 29/12/2022, n. 49558

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 29/12/2022, n. 49558
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 49558
Data del deposito : 29 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PREZZATI LUCIANO TARCISIO nato a CANTU' il 14/12/1938 avverso la sentenza del 07/06/2021 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere L F A M;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M D M f che ha concluso chiedendo Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa M D M, Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 maggio 2018, il Tribunale di Milano, riconosciute le circostanze attenuanti generiche ed escluse le aggravanti contestate, condannava L T P alla pena di due anni di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 223, primo comma, in relazione all'art. 216, primo comma, n. 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (in seguito L.F.), con applicazione delle pene accessorie di cui all'art. 223, terzo comma, L.F. per la durata di anni dieci, poiché, in qualità di socio accomandatario e amministratore della S.I.A.L. S.a.s. di L P & C., ed anche in qualità di liquidatore della stessa, dalla costituzione al fallimento, non aveva tenuto i libri e le scritture contabili in modo da rendere possibile la ricostruzione del patrimonio sociale e dei movimenti degli affari.

2. Con sentenza del 18 giugno 2019, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado.

3. Con sentenza n. 8916 emessa il 16 febbraio 2021, la Quinta Sezione penale della Corte di cassazione annullava la sentenza di appello, con rinvio per nuovo giudizio circa l'individuazione della specifica tipologia di bancarotta fraudolenta documentale in cui inquadrare la condotta del P. La Corte di cassazione richiamava la distinzione tra la fattispecie di cui alla prima parte dell'art. 216, primo comma, n. 2, L.F., caratterizzata dal dolo specifico, e quella prevista nella seconda parte, contrassegnata invece dal dolo generico. La Corte notava che, sebbene il capo di imputazione avesse fatto riferimento alla fattispecie di cui alla seconda parte dell'articolo, i giudici di appello avevano affermato la responsabilità facendo riferimento al dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, richiesto solo per la prima fattispecie incriminatrice. Ne era derivata l'impossibilità di stabilire per quale tipologia di bancarotta documentale il P fosse stato dichiarato responsabile e condannato.

4. Con sentenza del 7 giugno 2021, la Corte di appello di Milano, in esito al giudizio di rinvio, riformava la sentenza di condanna di primo grado limitatamente alla durata della pena accessoria fallimentare, rideterminandola in anni cinque. Confermava, nel resto la sentenza di primo grado. Il giudice del rinvio ha ribadito la sussistenza dell'elemento soggettivo per come prospettato nel capo di imputazione, ovvero con riferimento al dolo generico in capo al P, per aver tenuto i libri e le scritture contabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale e dei movimenti degli affari, poiché in ogni caso tale ricostruzione non era stata possibile, anche in relazione a quanto riportato dal curatore della società fallita. Secondo quanto ritenuto dal giudice del rinvio, il curatore aveva affermato di aver potuto analizzare solo le movimentazioni dei conti correnti della società e dell'imputato, mentre non era stato possibile consultare nessun'altra documentazione, mai fornita dall'imputato. Ne era conseguita l'impossibilità di ricostruire l'effettivo patrimonio della società, nonostante le ingenti entrate confluite in ventinove conti correnti. A nulla rilevava, secondo il giudice del rinvio, l'adozione del regime fiscale di contabilità semplificata, che non esclude in alcun caso l'obbligo della regolare tenuta di libri e scritture contabili, la cui violazione, ove volta a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, determina la sussistenza del reato oggetto dell'imputazione.

5. Avverso la sentenza del 7 giugno 2021, la difesa di P ha proposto ricorso per cassazione con atto articolato in tre motivi.

5.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando la violazione dell'art. 2220 cod. civ. La difesa afferma che, sebbene il regime fiscale di contabilità semplificata non comporti l'esonero dall'obbligo di regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, tuttavia l'art. 2220 cod. civ. prescrive la conservazione di tale documentazione per soli dieci anni dall'ultima registrazione. Atteso che la società fu posta in liquidazione nel 2004 e ne fu dichiarato il fallimento nel 2015, non avrebbe potuto prodursi alcuna documentazione contabile degli undici anni precedenti il fallimento, riferibili ad epoca anteriore all'obbligo previsto dalla legge, in cui comunque la società era rimasta inattiva.

5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando il vizio di travisamento della prova. Di fatto, l'accertamento dell'elemento soggettivo è stato desunto dall'impossibilità oggettiva di ricostruire il patrimonio sociale e i movimenti degli affari, anche in relazione a quanto riportato dal curatore. In tal modo, vi è contrasto con la trascrizione del verbale dell'udienza in cui è stato sentito il curatore, il quale ha chiarito che la documentazione era stata regolarmente tenuta e aveva ammesso di non aver trovato soltanto contratti o documenti relativi all'intermediazione con riguardo ai giudizi tributari.

5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata, richiamando l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e lamentando vizio di motivazione in relazione all'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo nella fattispecie oggetto di imputazione. Secondo il ricorrente, il giudice del rinvio non ha spiegato in base a quali ragioni ha ritenuto sussistente il dolo generico nel caso di specie, cioè la consapevolezza e volontà del P di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale e del movimento degli affari. Il P non aveva alcun interesse a tenere la contabilità in modo approssimativo, atteso che proprio la mancanza di tale documentazione avrebbe fatto sì che l'Amministrazione finanziaria facesse valere le proprie pretese, cagionando il fallimento della società. L'Erario risultava infatti l'unico creditore della società, in relazione a un credito accertato solo attraverso la presunzione - che il P non era riuscito a vincere - che la somma delle entrate e delle uscite dei conti correnti intestati al ricorrente costituisse il profitto dell'impresa. Poiché, di fatto, solo l'Erario era riuscito ad avvantaggiarsi della scarsa cura con cui il ricorrente teneva la contabilità, non si potrebbe ritenere sussistente l'elemento del dolo generico ai fini della sussistenza del reato contestato. Ove, infatti, il P avesse tenuto con cura la contabilità, avrebbe potuto contrastare le pretese dell'Amministrazione finanziaria, posto che, peraltro, al momento del fallimento, come illustrato nel motivo precedente, il ricorrente non era più nemmeno obbligato alla tenuta di tali scritture contabili.

6. La difesa del ricorrente ha depositato nota con la quale insiste nel rilievo con il quale aveva osservato l'insussistenza, in mancanza di attività, dell'obbligo di tenuta di scritture contabili relative a più di dieci anni prima del fallimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dunque inammissibile.

1.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, in relazione alla fattispecie di bancarotta semplice documentale, ma esprimendo un principio estensibile anche a quella fraudolenta, che l'obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute (Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, Di Mannbro, Rv. 250086-01).

1.2. Nel caso ora in esame, il ricorrente sostiene che andrebbe esclusa la sua responsabilità penale, poiché, da un lato, non avrebbe avuto alcun obbligo di conservare la documentazione per più di dieci anni;
dall'altro lato, che comunque, successivamente alla messa in liquidazione della società, quest'ultima era rimasta inattiva. Tali doglianze difensive non colgono nel segno. Infatti, il P avrebbe dovuto comunque redigere e conservare le scritture contabili per il periodo compreso tra la messa in liquidazione e la dichiarazione di fallimento, mentre non risulta che tale adempimento sia stato compiuto. Né può rilevare in senso contrario la sostanziale inattività della società, circostanza che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non esonera dall'obbligo della corretta tenuta delle scritture contabili.
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