Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/01/2015, n. 1241
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In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, a norma dell'art. 24 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, il vizio di motivazione della condanna è denunciabile per cassazione ai sensi dell'art. 606, lett. e, cod. proc. pen., non già ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sicché non rileva la modifica a quest'ultimo apportata dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha escluso la denuncia per insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Ne consegue che la condanna disciplinare per ritardo nel deposito dei provvedimenti può essere impugnata e cassata per carenza e genericità della motivazione in ordine alle specifiche deduzioni del magistrato, dirette a giustificare il ritardo stesso e ad evidenziarne la soluzione di continuità.
Sul provvedimento
Testo completo
SENTENZA
sul ricorso 14572-2014 proposto da:
N.P.G. , elettivamente domiciliata in 2014 ROMA,
VIA ENNIO VISCONTI 99, presso lo studio dell'avvocato C A, rappresentata e difesa dall'avvocato R E, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 73/2004 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 30/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. G A;
udito l'Avvocato R E;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. A U che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La dott.ssa N.P.G. , magistrato, era incolpata
dell'illecito disciplinare di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946 n. 511, art. 18 ed al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett.
q), perché, nell'esercizio delle funzioni di giudice del Tribunale di Taranto nel periodo compreso tra il 26 maggio 2004 ed il 7 novembre 2011, aveva violato i propri doveri di diligenza e di operosità, depositando n. 211 sentenze penali monocratiche, n. 42 ordinanze riservate quale giudice dell'esecuzione e n. 46 sentenze civili oltre il termine di legge. In particolare, dagli elenchi analitici allegati agli atti, emergevano ritardi nel deposito delle sentenze penali superiori ad un anno in n. 77 casi.
L'incolpata si era giustificata allegando il carico di lavoro eccessivo, la mancanza del presidente della sezione, la contemporanea funzione di giudice del riesame, la mancata attivazione da parte del capo dell'ufficio, nonché una situazione familiare impegnativa (quattro figli in tenera età).
In una memoria difensiva l'incolpata aggiungeva che tra i ritardi commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 109 del 2006 e quelli successivi al giugno 2006 vi sarebbe stata una cesura temporale di circa due anni, perché in tale biennio vi erano stati ritardi solo per due sentenze emesse nel secondo semestre del 2006 e per dieci sentenze emesse nel 2007, ma si era trattato di ritardi sempre inferiori al triplo dei termini di legge, tranne che per una sola sentenza.
2. Con sentenza n. 73 dell'8-30 aprile 2014 la sezione disciplinare del C.S.M. ha dichiarato la dott.ssa N.P.G.
responsabile della incolpazione ascrittale e le ha inflitto la sanzione disciplinare della censura.
Ha ritenuto la sezione disciplinare sussistenti i presupposti di cui all'art. 2, comma 1, lett. q, cit.: il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni, escludendo la dedotta soluzione di continuità nel biennio 2006-2007.
3. Avverso questa pronuncia la d.ssa N. ricorre per cassazione con quattro motivi illustrati anche con successiva memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il ricorso, articolato in quattro motivi, la ricorrente contesta essenzialmente la motivazione della sentenza impugnata quanto al requisito della gravità dei ritardi in ragione della mancata valutazione delle specifiche "giustificazioni" da essa dedotte nel giudizio innanzi alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.
Lamenta altresì che la sentenza impugnata non tiene conto della discontinuità nella reiterazione dei ritardi nel biennio 2006-2007. 2. Va premesso innanzi tutto che il censurato vizio di motivazione dell'impugnata sentenza è quello di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e non già quello di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5, atteso che il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 24 prevede tuttora che il ricorso per cassazione contro le sentenze della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si propone nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale, anche se -a seguito della modifica apportata dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. o), - esso è deciso
dalla Corte di cassazione a sezioni unite civili.
Quindi l'atto introduttivo del giudizio di cassazione ed i vizi denunciabili con esso seguono il rito penale;ma il giudizio che il ricorso introduce segue il rito civile (cfr. - in riferimento ad una analoga fattispecie di una sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che aveva accertato l'illecito disciplinare del ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziali - Cass., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7310 , che ha ricondotto il denunciato vizio di motivazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Consegue in particolare che non rileva la recente modifica dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che
non considera più il vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione nel rito civile (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 ). 3. In via ulteriormente preliminare deve poi considerarsi che la nuova regolamentazione degli illeciti disciplinari (e relative sanzioni) dei magistrati, prevista dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, contempla in particolare come illecito disciplinare il
"reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni" (art. 2, comma 1, lett. q);
laddove il R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 prevedeva genericamente che il magistrato che mancava ai suoi doveri era soggetto a sanzioni disciplinari e si riteneva che il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziali consentisse l'applicazione di sanzioni disciplinari ogni qual volta fosse accertato che era stato di durata tale da superare ogni limite di ragionevolezza e giustificazione (Cass., sez. un., 11 settembre 2003, n. 13335 ). Tale ultima disposizione - unitamente ad altre - è stata espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 31 dalla data di acquisto di efficacia delle disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo, recante altresì l'ulteriore previsione - art. 32 bis aggiunto L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. q), - che per i fatti commessi anteriormente alla data suddetta continua ad applicarsi, se più favorevoli, l'art. 18 cit., oltre altre disposizioni del medesimo decreto legislativo. Nella specie la puntuale definizione della fattispecie di condotta disciplinarmente rilevante, quale recata dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q, è maggiormente rispettosa del principio di
legalità applicabile agli illeciti disciplinari dei magistrati, rispetto alla fattispecie generica del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18;ciò di per sè rende la prima "più favorevole" di quest'ultima
per il magistrato al quale sia contestato il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziali. Sicché l'intera condotta della d.ssa N. va sussunta e valutata nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q, come condotta continuata, anche in riferimento
all'iniziale periodo di tempo (2004-2006) ricadente ancora nella vigenza del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18. 4. Venendo al merito delle censure mosse dalla ricorrente all'impugnata sentenza, può essere ribadito il principio di diritto (Cass., sez. un., 23 agosto 2007, n. 17919;12 aprile 2012, n. 5761 ) secondo cui il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari, pur se reiterato, non può da solo integrare un illecito disciplinare del magistrato dal momento che occorre anche stabilire se il ritardo sia sintomo di mancanza di operosità oppure trovi giustificazione in situazioni particolari collegate alla complessiva situazione di lavoro del magistrato tenendo presente i profili qualitativi e quantitativi nonché gli aspetti inerenti la complessiva organizzazione dell'ufficio e le funzioni svolte dal magistrato.
Nel nuovo contesto normativo della riforma del 2006 il presupposto perché sia integrata questa fattispecie di illecito disciplinare è triplice;occorrono: a) la reiterazione del ritardo;b) la sua gravità (tale non è ex lege il ritardo che non ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto);c) la sua ingiustificatezza.
La necessaria concorrenza di questi tre presupposti è chiaramente enunciata dal dato testuale della disposizione sicché in particolare non può ritenersi che la reiterazione del ritardo sia alternativa alla sua gravità (cfr. Cass., s ez. un., 27 febbraio 2012, n. 2927 ). Pertanto, oltre ai presupposti della gravità e della reiterazione, che costituiscono elementi di fatto concorrenti per integrare la condotta di illecito disciplinare, occorre anche, come distinto e autonomo presupposto ulteriore, la ingiustificatezza del ritardo;la quale, proprio in ragione della valutazione degli altri due concorrenti presupposti, va contestualizzata tenendo conto di ogni circostanza utile a tal fine.
Rilevano quindi in particolare - come già questa Corte ha affermato (Cass., sez. un., 12 aprile 2012, n. 5761 ) - sia il complessivo carico di lavoro in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni, sia la laboriosità ed operosità del magistrato desumibili dall'attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
Anche la situazione familiare del magistrato non è estranea a questa valutazione complessiva pur se può assumere un rilievo soltanto concorrente (Cass., sez. un., 17 maggio 2013, n, 12108) e sempre che non sia tale, per gravità e durata, da richiedere al magistrato di assentarsi temporaneamente dal servizio con congedo straordinario. Rileva in particolare l'incidenza dell'astensione dal lavoro per maternità in riferimento alla complessiva normativa primaria e secondaria posta a tutela della lavoratrice madre (L. 10 aprile 1991, n. 195, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e circolari consiliari del 10 aprile 1996, 6 marzo 1998 e del 4 dicembre 2000), che richiede che l'organizzazione del lavoro giudiziario, attuata presso l'ufficio di appartenenza del magistrato, sia adattata per essere rispettosa di tale apparato normativo (cfr. Cass., sez. un., 11 aprile 2013, n. 20815 ).