Cass. pen., sez. III, sentenza 13/02/2023, n. 05899
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Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DEL FABRO FIO nato a UDINE il 18/07/1958 avverso la sentenza del 07/09/2021 della CORTE APPELLO di TRIESTEvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere A A;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale T E che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'esclusione della continuazione e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;
letta la memoria difensiva trasmessa dall'AVV. FRANCESCO MARCOLINI che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Ricorso trattato ai sensi ex art. 23, co. 8 del D.L. n. 137/2020.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. F D F ricorre per l'annullamento della sentenza del 07/09/2021 della Corte di appello di Trieste che, decidendo la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di un anno e due mesi di reclusione (oltre pene accessorie) irrogata dal Tribunale di Udine per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 5, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale esercente l'attività di promotore e mediatore finanziario, al fine di evadere le imposte sui redditi, non aveva presentato le dichiarazioni relative a dette imposte per gli anni 2012 e 2013. 1.1.Con il primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 238-bis, cod. proc. pen., e la mancanza di motivazione in ordine alla prospettata incongruenza della determinazione dei proventi illeciti imputabili a reddito negli esercizi fiscali 2012/2013, calcolati, lamenta, in base alla semplice differenza aritmetica tra la somma dei valori conferiti da tutti i clienti nell'anno solare e quanto loro restituito nel medesimo periodo, con quanto ne consegue in ordine alla prova dell'effettivo superamento della soglia di punibilità. Sostiene, in estrema sintesi, che l'imponibile calcolato dai Giudici di merito è errato per eccesso essendo stato utilizzato un criterio semplicistico (proventi affidati dai clienti nell'anno di imposta, al netto delle somme disinvestite e restituite nel medesimo anno), laddove per "provento" deve intendersi il risultato delle indebite appropriazioni conseguenti alla destinazione data alle rimesse dei singoli clienti a loro insaputa come calcolate da una precedente sentenza di condanna per appropriazione indebita della medesima Corte di appello, passata in giudicato, della quale la sentenza impugnata non ha fatto buon governo, omettendo in tal modo di spiegare le ragioni del rigetto dell'appello avverso la sentenza di primo grado.
1.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, e il vizio di motivazione mancante/illogica in ordine alla sussistenza del dolo che, afferma, presuppone la piena consapevolezza dell'esistenza di un imponibile non dichiarato superiore alla soglia di punibilità.
1.3.Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 649, cod. proc. pen., e dell'art. 4, Prot. n. 7, Conv. EDU, sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine alla proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate.
1.4.Con il quarto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 81, cpv., cod. pen., e il vizio di motivazione mancante e manifestamente illogica in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto di odierno giudizio e quelli oggetto di precedente condanna irrevocabile per appropriazione indebita.
2.11 Procuratore Generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'esclusione della continuazione e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.
3.Con memoria trasmessa telematicamente, il ricorrente ha insistito per la fondatezza del primo motivo. CONSIDERATO IN DIRITTO LI1 ricorso è fondato per quanto di ragione.
2.11 primo motivo è infondato.
2.1.In fatto non è contestato che il ricorrente (è lui stesso ad affermarlo ponendo tale deduzione a fondamento delle proprie doglianze): a) dal mese di aprile dell'anno 2002 al mese di febbraio dell'anno 2015 aveva esercitato l'attività di promotore e mediatore finanziario;
b) dal 29/06/2008 aveva esercitato abusivamente tale attività perché non più collegato, come agente, ad alcuna impresa di investimento, banca o intermediario finanziario abilitato al collocamento di strumenti finanziari;
c) aveva occultato tale condizione ai suoi clienti dai quali aveva continuato a percepire ingenti somme parte delle quali restituite a seguito di richieste di disinvestimento;
d) per tali fatti era stato separatamente (e precedentemente) condannato per il delitto di appropriazione indebita;
e) dal 2002 al 2015 non aveva mai presentato la dichiarazione dei redditi.
2.2.11 ricorrente deduce la violazione dell'art. 238-bis cod. proc. pen. (nei termini indicati in premessa) e tuttavia, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha allegato al ricorso la sentenza di condanna del separato processo impedendo a questa Corte di apprezzarne il contenuto e la rilevanza della questione dedotta e di comprendere, altresì, in che modo sia stato calcolato il profitto confiscabile.
2.3.Sotto altro profilo, egli confonde il profitto del reato di appropriazione indebita con i proventi imponibili derivanti da reato soggetti alla particolare disciplina stabilita per essi dagli artt. 14, commi 4 e 4-bis, legge n. 537 del 1993, e 36, comma 34-bis, d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006. 2.4.Secondo quanto stabilisce l'art. 14, commi 4 e 4-bis, legge n. 537, cit., nella versione all'epoca vigente, «[n]elle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricom presi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria.
4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
2.5.L'art. 36, comma 34-bis, d.l. n. 223 del 2006, ha interpretato le disposizioni dell'art. 4, comma 14, legge n. 537, nel senso che i «proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sono comunque considerati come redditi diversi.
2.6.Nel caso di specie, comunque si vogliano qualificare le somme percepite dal ricorrente dopo che non era più titolato a svolgere l'attività di promotore finanziario ("redditi di lavoro autonomo" o "redditi diversi"), resta il fatto che ciò che avrebbe potuto dedurre erano, semmai, solo i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio resi ai clienti, purché non direttamente utilizzati per il compimento delle appropriazioni indebite.
2.7.La successiva restituzione a questi ultimi delle somme "disinvestite" non esclude che tali proventi avessero medio tempore accresciuto il patrimonio personale del ricorrente, non rilevando in alcun modo le restituzioni "postume", né costituendo tali "restituzioni" spese deducibili sostenute ai fini dell'attività illecitamente svolta. E' lo stesso ricorrente, del resto, ad ammettere (e comunque a non contestare) che le somme di denaro ricevute venivano in parte accreditate su un conto acceso a nome della moglie (ed utilizzate per le spese personali e familiari quotidiane oppure spostate da un conto corrente all'altro al fine di ripianare ammanchi o di evitare che i conti finissero in rosso), in parte investite in fondi di investimento ad alto rischio all'insaputa dei clienti.
3.11 secondo motivo è manifestamente infondato e si risolve nella deduzione di un inammissibile errore di diritto allorquando predica l'ignoranza della natura reddituale (e dunque imponibile) delle somme a lui consegnate dai clienti e del conseguente superamento della soglia di punibilità di cui all'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000. 4.E' fondato il terzo motivo.
4.1.Va in primo luogo verificata l'applicabilità al caso concreto del principio di specialità di cui all'art. 19, d.lgs. n. 74 del 2000, alla luce dell'unico criterio utilizzabile del rapporto strutturale tra fattispecie (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01;
Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864 - 01).
4.2.L'omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette è sanzionata in via amministrativa dall'art. 1, comma 1,
udita la relazione svolta dal Consigliere A A;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale T E che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'esclusione della continuazione e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;
letta la memoria difensiva trasmessa dall'AVV. FRANCESCO MARCOLINI che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Ricorso trattato ai sensi ex art. 23, co. 8 del D.L. n. 137/2020.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. F D F ricorre per l'annullamento della sentenza del 07/09/2021 della Corte di appello di Trieste che, decidendo la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di un anno e due mesi di reclusione (oltre pene accessorie) irrogata dal Tribunale di Udine per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 5, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale esercente l'attività di promotore e mediatore finanziario, al fine di evadere le imposte sui redditi, non aveva presentato le dichiarazioni relative a dette imposte per gli anni 2012 e 2013. 1.1.Con il primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 238-bis, cod. proc. pen., e la mancanza di motivazione in ordine alla prospettata incongruenza della determinazione dei proventi illeciti imputabili a reddito negli esercizi fiscali 2012/2013, calcolati, lamenta, in base alla semplice differenza aritmetica tra la somma dei valori conferiti da tutti i clienti nell'anno solare e quanto loro restituito nel medesimo periodo, con quanto ne consegue in ordine alla prova dell'effettivo superamento della soglia di punibilità. Sostiene, in estrema sintesi, che l'imponibile calcolato dai Giudici di merito è errato per eccesso essendo stato utilizzato un criterio semplicistico (proventi affidati dai clienti nell'anno di imposta, al netto delle somme disinvestite e restituite nel medesimo anno), laddove per "provento" deve intendersi il risultato delle indebite appropriazioni conseguenti alla destinazione data alle rimesse dei singoli clienti a loro insaputa come calcolate da una precedente sentenza di condanna per appropriazione indebita della medesima Corte di appello, passata in giudicato, della quale la sentenza impugnata non ha fatto buon governo, omettendo in tal modo di spiegare le ragioni del rigetto dell'appello avverso la sentenza di primo grado.
1.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, e il vizio di motivazione mancante/illogica in ordine alla sussistenza del dolo che, afferma, presuppone la piena consapevolezza dell'esistenza di un imponibile non dichiarato superiore alla soglia di punibilità.
1.3.Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 649, cod. proc. pen., e dell'art. 4, Prot. n. 7, Conv. EDU, sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine alla proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate.
1.4.Con il quarto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 81, cpv., cod. pen., e il vizio di motivazione mancante e manifestamente illogica in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto di odierno giudizio e quelli oggetto di precedente condanna irrevocabile per appropriazione indebita.
2.11 Procuratore Generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'esclusione della continuazione e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.
3.Con memoria trasmessa telematicamente, il ricorrente ha insistito per la fondatezza del primo motivo. CONSIDERATO IN DIRITTO LI1 ricorso è fondato per quanto di ragione.
2.11 primo motivo è infondato.
2.1.In fatto non è contestato che il ricorrente (è lui stesso ad affermarlo ponendo tale deduzione a fondamento delle proprie doglianze): a) dal mese di aprile dell'anno 2002 al mese di febbraio dell'anno 2015 aveva esercitato l'attività di promotore e mediatore finanziario;
b) dal 29/06/2008 aveva esercitato abusivamente tale attività perché non più collegato, come agente, ad alcuna impresa di investimento, banca o intermediario finanziario abilitato al collocamento di strumenti finanziari;
c) aveva occultato tale condizione ai suoi clienti dai quali aveva continuato a percepire ingenti somme parte delle quali restituite a seguito di richieste di disinvestimento;
d) per tali fatti era stato separatamente (e precedentemente) condannato per il delitto di appropriazione indebita;
e) dal 2002 al 2015 non aveva mai presentato la dichiarazione dei redditi.
2.2.11 ricorrente deduce la violazione dell'art. 238-bis cod. proc. pen. (nei termini indicati in premessa) e tuttavia, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha allegato al ricorso la sentenza di condanna del separato processo impedendo a questa Corte di apprezzarne il contenuto e la rilevanza della questione dedotta e di comprendere, altresì, in che modo sia stato calcolato il profitto confiscabile.
2.3.Sotto altro profilo, egli confonde il profitto del reato di appropriazione indebita con i proventi imponibili derivanti da reato soggetti alla particolare disciplina stabilita per essi dagli artt. 14, commi 4 e 4-bis, legge n. 537 del 1993, e 36, comma 34-bis, d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006. 2.4.Secondo quanto stabilisce l'art. 14, commi 4 e 4-bis, legge n. 537, cit., nella versione all'epoca vigente, «[n]elle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricom presi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria.
4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
2.5.L'art. 36, comma 34-bis, d.l. n. 223 del 2006, ha interpretato le disposizioni dell'art. 4, comma 14, legge n. 537, nel senso che i «proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sono comunque considerati come redditi diversi.
2.6.Nel caso di specie, comunque si vogliano qualificare le somme percepite dal ricorrente dopo che non era più titolato a svolgere l'attività di promotore finanziario ("redditi di lavoro autonomo" o "redditi diversi"), resta il fatto che ciò che avrebbe potuto dedurre erano, semmai, solo i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio resi ai clienti, purché non direttamente utilizzati per il compimento delle appropriazioni indebite.
2.7.La successiva restituzione a questi ultimi delle somme "disinvestite" non esclude che tali proventi avessero medio tempore accresciuto il patrimonio personale del ricorrente, non rilevando in alcun modo le restituzioni "postume", né costituendo tali "restituzioni" spese deducibili sostenute ai fini dell'attività illecitamente svolta. E' lo stesso ricorrente, del resto, ad ammettere (e comunque a non contestare) che le somme di denaro ricevute venivano in parte accreditate su un conto acceso a nome della moglie (ed utilizzate per le spese personali e familiari quotidiane oppure spostate da un conto corrente all'altro al fine di ripianare ammanchi o di evitare che i conti finissero in rosso), in parte investite in fondi di investimento ad alto rischio all'insaputa dei clienti.
3.11 secondo motivo è manifestamente infondato e si risolve nella deduzione di un inammissibile errore di diritto allorquando predica l'ignoranza della natura reddituale (e dunque imponibile) delle somme a lui consegnate dai clienti e del conseguente superamento della soglia di punibilità di cui all'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000. 4.E' fondato il terzo motivo.
4.1.Va in primo luogo verificata l'applicabilità al caso concreto del principio di specialità di cui all'art. 19, d.lgs. n. 74 del 2000, alla luce dell'unico criterio utilizzabile del rapporto strutturale tra fattispecie (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01;
Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864 - 01).
4.2.L'omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette è sanzionata in via amministrativa dall'art. 1, comma 1,
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