Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/09/2017, n. 22253

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L’art. 58 del Codice deontologico forense (nel testo, applicabile “ratione temporis”, approvato dal CNF nella seduta del 17 aprile 1997) pone un dovere di astensione del difensore dal deporre come testimone su circostanze di fatto apprese nell'esercizio dell'attività professionale ed inerenti al mandato ricevuto, sicché lo stesso non opera rispetto ad opinioni ed apprezzamenti in ordine alla personalità dell’imputato, per nulla collegati al rapporto di mandato difensivo. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sanzione disciplinare irrogata ad un avvocato che aveva deposto come testimone in un processo penale, per minacce ed ingiurie, a carico di una persona che aveva in precedenza difeso da un’imputazione per possesso di stupefacenti, riferendo circostanze apprese dopo la cessazione del mandato, in ragione del rapporto di frequentazione amicale iniziato con la stessa).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/09/2017, n. 22253
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 22253
Data del deposito : 25 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

22253\ 17 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Oggetto Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: DISCIPLINARE - Primo Presidente f.f. - AVVOCATI RENATO RORDORF VINCENZO MAZZACANE - Presidente Sezione - Ud. 12/09/2017 - GIOVANNI AMOROSO -Presidente Sezione - PU Consigliere - R.G.N. 9137/2017 GIUSEPPE BRONZINI h0322253 Rep. ROSA MARIA DI VIRGILIO - Consigliere - C .I. ULIANA ARMANO - Consigliere - ANTONIO GRECO - Consigliere - FELICE MANNA - Consigliere - LUIGI G L - Consigliere Rel. - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 9137-2017 proposto da: DE G M, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato A S;

- ricorrente -

578 17

contro

CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO;

- intimati -

avverso la sentenza n. 395/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 31/12/2016. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2017 dal Consigliere LUIGI G L;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale C S, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, l'accoglimento, per quanto di ragione, dei motivi secondo e quinto, assorbito il terzo ed il quarto;
Udito l'Avvocato A S;

FATTI DI CAUSA

1. - D G Marco, avvocato esercente in Milano, fu sottoposto a procedimento disciplinare dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di quella città, che, con deliberazione dell'1 luglio 2013, gli inflisse la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per la durata di mesi due, ritenendolo responsabile del seguente addebito: «Essere venuto meno ai doveri di lealtà per avere reso testimonianza, su fatti appresi nell'esecuzione del mandato, contro la ex cliente sig.ra B C, in un procedimento penale. In Milano il 22/04/2010». Venne, in particolare, contestato al D G di aver dichiarato, quale testimone sentito nel procedimento penale promosso nei confronti della Bonomo a seguito di querela proposta dall'avvocato A S (collaboratrice di studio dello stesso 2 D G), che la medesima Bonomo era affetta da "una sorta di compulsività maniacale" e da "mania di persecuzione", che aveva in passato oltraggiato un agente di custodia e che, infine, aveva gravemente e reiteratamente insultato il predetto avvocato A S. 2.- Sul gravame proposto dal D G, il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza del 31 dicembre 2016, confermò la decisione di primo grado. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre D G Marco sulla base di cinque motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità dell'udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 1.- 6 e 58 del Codice deontologico forense vigente all'epoca dei fatti. Si deduce che all'incolpato sarebbe stata contestata solo la violazione del dovere di lealtà (art. 6), mentre la motivazione della sentenza impugnata avrebbe evidenziato la diversa violazione del divieto di testimonianza (art. 58), con conseguente condanna per violazione diversa da quella contestata. Il motivo non è fondato. Invero, il D G è stato espressamente incolpato di aver reso testimonianza in un procedimento penale su fatti appresi nell'esecuzione di un mandato difensivo;
cosicché non risulta

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