Cass. civ., sez. I, sentenza 19/10/2004, n. 20473

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Massime1

In tema di espropriazione, il criterio di liquidazione dettato dall'art.5 bis del D.L. 333/1992 si applica con esclusivo riferimento al danno subito dal proprietario di un immobile in conseguenza della perdita del diritto dominicale sul bene per effetto della sua occupazione acquisitiva (o espropriazione sostanziale), con acquisto del diritto di proprietà sullo stesso da parte del soggetto occupante, e non anche con riferimento alle ipotesi di occupazioni,legittime o illegittime, pur avvenute in vista di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, ma che non abbiano comportato la perdita della proprietà da parte del titolare del bene. Spetterà, pertanto, caso per caso, all'apprezzamento valutativo del giudice di merito (in base alle risultanze istruttorie acquisite) stabilire quale criterio normativo debba essere recepito per liquidare il danno in modo autonomo rispetto alla perdita definitiva del fondo ed in possibile aggiunta al mancato godimento per l'occupazione autorizzata, non potendo ritenersi legittimo (in mancanza di una norma che lo consenta, ovvero di argomenti letterali o sistematici che ne giustifichino il collegamento "con la reale destinazione produttiva" o "con l'effettiva redditività del fondo") il ricorso, "sic et simpliciter", alla regola generale dell'art.39 della legge 2359/1865 (applicabile, fino al 1992, anche alle aree edificabili), del "giusto prezzo" che il bene avrebbe avuto in una libera contrazione di compravendita (con conseguente calcolo degli interessi sul tale somma, corrispondente al valore venale del bene da determinarsi anno per anno, in base alla sua effettiva vocazione), non potendosi considerare fatti notori o conoscenze comuni del "costans homo" quelli secondo cui la perdita dei frutti di un terreno (agricolo o edificabile) debba corrispondere sempre e comunque all'importo degli interessi legali annui sul suo prezzo di mercato (e senza che, per altro verso, sia lecito attingere siffatto risultato utilizzando la valutazione equitativa ex artt.1226 e 2056 cod.civ., dovendo anche in tal caso il giudice - onde evitare che il criterio sconfini nell'arbitrio - dar conto delle presunzioni adottate, nonchè degli apprezzamenti di probabilità e delle ragioni che inducano a ritenere il danno "de quo" coincidente con i detti interessi). La compressione temporanea del diritto dominicale conseguente all'occupazione senza titolo, difatti, è ontologicamente identica a quella attuata dalla P.A. con l'occupazione d'urgenza, sicchè, se è vero che, per compensare il mancato godimento del fondo - eguale in entrambe le fattispecie - nella prima il legislatore riconosce al danneggiato una misura risarcitoria, e non soltanto il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la P.A. può garantire all'interesse privato, è pur vero che siffatto, ulteriore pregiudizio non può presumersi (onde reintegrare completamente il suo patrimonio), potendo, per converso, essergli attribuito sol se rigorosamente provato.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 19/10/2004, n. 20473
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20473
Data del deposito : 19 ottobre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI SCICLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso l'Avvocato SERGIO CORSOSIMO che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
AG RI, AG AN, AG PA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA TIBULLO 10, presso l'avvocato MARCELLO FURITANO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUIGI PICCIONE, giusta mandato a margine del controricorso;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 85/01 della Corte d'Appello di CATANIA, depositata il 08/02/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/06/2004 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;

udito per il ricorrente l'Avvocato CERSOSIMO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l'Avvocato PICCIONE che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Scicli con sentenza del 6 giugno 1997 condannava il comune di Scicli alla restituzione in favore di RE, RI e IO US di un terreno di loro proprietà occupato da detta amministrazione fin dal 9 luglio 1979, nonché al pagamento in favore dei proprietari, per l'occupazione) della complessiva somma di L. 112.555.662.
L'impugnazione dell'ente pubblico è stata respinta dalla Corte di appello di Catania che con sentenza dell'8 febbraio 2001 ha osservato: a) che gli attori fin dalla citazione introduttiva del giudizio avevano chiesto il risarcimento del danno per l'abusiva occupazione del loro immobile,essendo scaduti tutti i termini relativi alla dichiarazione di p.u. previsti dall'art. 13 della legge 2359 del 1865 ed essendo in corso di giudizio sopravvenuta la
sentenza 25 ottobre 1990 che aveva confermato quella del tar Catania di annullamento della delibera di annullamento del piano per l'edilizia economica e popolare;
sicché non si era verificato alcun mutamento di causa petendi da parte dei US;
b) che trattandosi di illecito di diritto comune il danno del tutto correttamente era stato calcolato con il criterio degli interessi legali sul valore venale del terreno ed era stato escluso il criterio riduttivo di cui all'art. 3 comma 65^ della legge 662 del 1996, applicabile soltanto nell'ipotesi della c.d. occupazione espropriativa;
c) che il terreno era stato occupato a seguito di formale decreto e mai restituito ai proprietari;
sicché mancando la prova che era stato dato in affitto a terzi, correttamente i primi giudici avevano ritenuto che l'occupazione si fosse protratta fino alla data della pronuncia giudiziale e condannato l'amministrazione alla restituzione del fondo.
Per la cassazione della sentenza il comune ha proposto ricorso per tre motivi;
cui resistono i US con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso, il canone di Sciali denunciando violazione degli art.

3.45 e 112 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per non aver considerato che i US avevano chiesto la determinazione dell'indennità di occupazione dei loro terreni,nonché la condanna di essa amministrazione alla restituzione degli immobili detenuti senza titolo;
laddove il Tribunale aveva liquidato il risarcimento del danno per tutto il periodo dell'occupazione in misura pari agli interessi legali sul valore del fondo considerato di natura edificatoria. Per cui la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere il motivo di impugnazione con cui essa amministrazione aveva dedotto che semmai detti interessi dovevano essere parametrati all'indennità (virtuale) di espropriazione:
invece respinto dalla sentenza sull'erroneo presupposto che l'occupazione doveva ritenersi senza titolo fin dall'origine anche per l'avvenuto annullamento da parte del giudice amministrativo, della delibera di approvazione del PEEP, con conseguente modificazione in appello sia dell'originario petitum, che della causa petendi.
La censura è fondata nei limiti appresso precisati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che spetta al giudice di primo grado il campito di definire il contenuto e la portata delle domande avanzate dalle parti, identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del provvedimento richiesto (cosiddetto "petitum"), nonché il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivino le pretese dedotte in giudizio (cosiddetta "causa petendi"), mentre al giudice di appello è devoluta la facoltà di procedere, a sua volta, ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, purché circoscritta entro i limiti dei fatti originariamente prospettati dalla parte.
Ciò comporta che il giudice d'appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell'ambito delle questioni riproposte col gravame. E che egli non viola il principio del "tantum "devolutum" "quantum" appellatum" ove fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero prenda in esame questioni da lui non specificamente proposte le quali appaiono, tuttavia, nell'ambito della censura formulata, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi costituendone un necessario antecedente logico e giuridico.
Il solo limite imposto a detto giudice dall'art. 112 cod. proc. civ. è dato dal divieto di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d'impugnazione;
sicché non gli è permesso a) anzitutto sostituire un'azione diversa a quella forma latente ed espressamente esercitata dalla parte;
b) porre a base della decisione fatti diversi da quelli dedotti dalle parti;
c) pronunciando oltre i limiti del petitum e delle questioni bine et hinc dedotte (e/o che non abbiano formato oggetto del giudizio) attribuire un bene non richiesto e diverso da quello domandato (Cass. 8501/2003;
10734/2002
;

10547/2002;
397/2002;
9597/1998).
Siffatti principi condizionano anche il sindacato consentito alle parti in sede di legittimità sull'interpretazione delle loro domande ed eccezioni compiuta dal giudice di appello, nonché sui poteri della corte di Cassazione al riguardo i in quanto ove si censura (in concreto ed a prescindere dalle formule usate) l'interpretazione data alla domanda stessa ritenendosi in essa comprasi o esclusi alcuni aspetti della controversia in base ad una valutazione non condivisa dalla parte, siccome l'interpretazione in questione e l'apprezzamento della sua ampiezza e del suo contenuto costituiscono un tipico accertamento di fatto, come tale devoluto dalla legge al giudice del merito, alla corte di legittimità è solo riservato il controllo della motivazione che sorregge sul punto la pronuncia impugnata. Salvo restando il potare della Corte di Cassazione di controllare se, fermo l'obiettivo contenuto della domanda così identificato, sia esatto lo schema giuridico in cui il predetto giudice ha ricondotto la relativa azione,posto che tale seconda operazione involge un'indagine squisitamente giuridica e gli eventuali errori che ne inficiano il risultato rientrano direttamente nell'ambito di applicazione dell'art. 360 n. 3 cod.proc.civ.. Per converso, detti limiti non trovano più applicazione quando la parte assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio di ultra o extrapetizione, perciò riconducibile nell'ambito dell'art. 112 cod.proc.civ.: in tal caso, infatti, per risolverlo la Corte di
Cassazione è giudice anche del fatto ed ha quindi il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali in genere, e dell'istanze e deduzioni in ispecie, anche difforme da quella del giudice di appello, nonché di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla richiesta pronuncia (Cass. 1097/2003;
10314/2002;
10337/1998
).
Proprio quest'ultima ipotesi si è versificata nel caso concreto in cui la Corte di appello ha respinto il secondo motivo di impugnazione del comune di Scicli relativo al criterio di calcolo utilizzato dal Tribunale per determinare l'indennità dovuta ai US per l'occupazione del loro terreno nel periodo 9 luglio 1979-9 luglio 1982, osservando che "gli attori avevano già affermato che l'occupazione del terreno di loro proprietà era stata effettuata sine titulo per la scadenza di tutti i

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