Cass. civ., sez. I, sentenza 21/04/2004, n. 7592

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 21/04/2004, n. 7592
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7592
Data del deposito : 21 aprile 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

9 1 O T T 5 O 5 3 O V I T 77 - S 9 E ORIGINALE - E " 1 N D S 6 I I 8

REPUBBLICA ITALIANA

2 Ɑ N V T . 075 9 2 /04

MEDEL POPOLO ITALIA

1 V O U 8 L R P LA

CORTE

Oggetto offos, stats SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. V P Presidente R.G.N. 23104/03 Dott. M G LI - Rel. Consigliere Cron.14589 Dott. G V.A.

MAGNO

Consigliere Dott. R R Consigliere Rep. Ud.15/03/04 Dott. G G Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI VIRGILIO CARMELA, DI VIRGILIO GIOVANNA, DI VIRGILIO STEFANIA, DI VIRGILIO GIUSEPPE, DI VIRGILIO ANTONIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TACITO

50, presso l'avvocato A B, rappresentati e difesi dall'avvocato A G, giusta procura a margine del ricorso; ricorrenti - contro PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO; TUTORE DEL MINORE LUCA BULLARO, in persona 2004 dell'ASSESSORE AI SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI DEL .650 COMUNE DI TORINO;
CURATORE SPECIALE DEL MINORE LUCA 1 - BULLARO, IN PERSONA DELL'AVVOCATO PATRIZIA BUGNANO; - - intimati avverso la sentenza n. 877/03 della Corte d'Appello di пикочешь sex. m TORINO, depositata il 10/07/03; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2004 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI; udito per il ricorrente 1'Avvocato GALASSO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. F - 品 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 18 - 24 gennaio 2000 il Tribunale per i Minorenni di Torino, all' esito di lunghi accertamenti e di ripetuti interventi, dichiarava lo stato di adottabilità del minore Luca Bullaro, nato il 28 luglio 1996, figlio di Ignazio Bullaro e di S D Vio, ritenendo che il bambino si trovasse in una situazione di abbandono psicologico, affettivo ed educativo e ravvisando l' inidoneità dei genitori e dei parenti sentiti nel corso della procedura ad occuparsi della sua crescita. Avverso tale decreto proponevano opposizione la madre del minore, i genitori di questa G D Vio e Matilde Scarcia, i fratelli Pio ed Antonio D Vio, le zie G e C D Vio. Con sentenza dell' 8 giugno - 11 ottobre 2000 il Tribunale per i Minorenni rigettava l'opposizione. L'appello proposto dai medesimi congiunti era rigettato dalla Corte di Appello di Torino, sezione per i Minorenni, con sentenza del 13 27 marzo 2001. Osservava la Corte territoriale a sostegno della propria decisione che nella vicenda in esame vi era stata una imponente serie di interventi ed uno sforzo eccezionale dei servizi sociali per dare supporto alla madre del minore e per ottenerne il recupero;
che la valutazione della situazione del minore era stata effettuata sulla base non già di mere impressioni soggettive, come asserito dagli appellanti, ma di dati oggettivi riscontrati da operatori qualificati e da esperti;
che nel periodo decisivo per la crescita del bambino la madre aveva rifiutato aiuti e sostegno;
che le argomentate conclusioni dei consulenti di ufficio indicavano il grave rischio per il minore a causa + 1 delle carenze e della inadeguatezza materne;
che era rimasto accertato che l' instabilità psichica della donna ed il suo legame ossessivo al figlio avevano recato pregiudizio al bambino;
che gli interventi di supporto infine accettati si erano rivelati inutili;
che il progetto di permanenza presso le zie, alle precise ed analitiche condizioni poste dal Tribunale per i Minorenni a tutela del minore, era fallito per mancanza di effettiva collaborazione e perché il bambino non era stato difeso dal rapporto simbiotico con la madre;
che quest' ultima si era rivelata priva di progetti e non in grado di confrontarsi con la realtà;
che il quadro così delineato non presentava prospettive di miglioramento, ma al contrario era da ritenere suscettibile di deterioramento, tenuto conto che la permanenza del minore con la madre lo avrebbe privato degli spazi evolutivi e che anche i parenti, al di là della disponibilità verbalmente offerta, non apparivano capaci di ovviare allo stato di abbandono, anche per la loro negazione e non consapevolezza dei problemi relazionali della madre e del bambino, nonché delle difficoltà che questi avrebbe incontrato nel rientrare nella famiglia di origine dopo aver sperimentato l' affidamento eterofamiliare. Proposto ricorso per cassazione dalla madre e dagli altri congiunti, con sentenza n. 3988 del 2002 questa Suprema Corte accoglieva il ricorso e cassava la pronuncia impugnata per avere apoditticamente affermato, con una motivazione meramente apparente, che l' atteggiamento protettivo e possessivo della madre aveva prodotto danni irreversibili allo sviluppo del minore, superabili solo con il suo definitivo allontanamento dalla figura materna, per non avere d' 2 - altro canto considerato gli eventuali pregiudizi a lui derivabili da tale allontanamento, richiamando solo i pericoli connessi all' eventuale distacco dalla famiglia affidataria;
per essersi al riguardo limitata ad evidenziare meri ritardi motori e del linguaggio, possibili anche in ambienti familiari normali;
per non avere neppure spiegato le ragioni per le quali le zie non apparivano affidabili o potevano essere di pregiudizio al minore a causa di loro precedenti atteggiamenti, mai peraltro derivati da un atto di formale assunzione di responsabilità verso il minore stesso. Riassunto il giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Torino, sezione per i Minorenni, in diversa composizione, detta Corte, disposta una nuova consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 27 maggio - 10 luglio 2003 respingeva l' appello e per l' effetto confermava interamente la pronuncia impugnata. Nella motivazione il giudice del rinvio, richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale i genitori o i parenti che non siano in grado di fornire l' apporto minimo necessario in relazione alle specifiche esigenze di quel determinato minore devono essere ritenuti gravemente inadeguati, e quindi abbandonici, procedeva a riesaminare la situazione complessiva del minore ed il suo rapporto con le due famiglie di origine: in tale disamina, accertato che il bambino non poteva ricevere alcuna assistenza dal padre, affetto da grave patologia psichiatrica, e dai suoi familiari, nessuno dei quali aveva dimostrato disponibilità a prendersi cura di lui, nel focalizzare l' indagine sul rapporto con la madre, come sviluppatosi nel corso del tempo, osservava che la D Vio era apparsa sin da epoca 3 9. precedente il parto inadeguata ad assumere il ruolo materno, che le sue difficoltà esistenziali erano state accentuate dalla convivenza, nei primi mesi di vita del bambino, con un uomo affetto da disturbi psichiatrici gravissimi, che la medesima non era stata capace di percepire l'entità dei suoi problemi, tanto da rifiutare l'aiuto dei servizi sociali, che anche dopo l' allontanamento del Bullaro ed il suo ritorno presso la famiglia di origine aveva offerto al piccolo un ambiente del tutto inidoneo, attese le condizioni di sua madre, affetta da problemi psichiatrici, e l' esistenza di una situazione familiare complessiva molto confusa, ed aveva finanche rifiutato la proposta di inserimento del minore in un asilo nido, ovvero di una sua collocazione con il bambino in una comunità. Rilevava altresì che nel successivo periodo di permanenza in comunità con il bambino, disposto a seguito di un ricovero in trattamento sanitario obbligatorio per aver ella dato in escandescenze durante una funzione religiosa, non era stata capace di distinguere i propri problemi da quelli del figlio, tenendo un atteggiamento di tipo simbiotico, evitando ogni rapporto con l'esterno e non comunicando se non con persone della sua famiglia. Ed anche l'ulteriore periodo della sua permanenza con il bambino presso le zie, attuato in accoglimento di una proposta della stessa Di Virgilio, ma regolato da specifiche e pregnanti prescrizioni, si era concluso con il totale fallimento di ogni tentativo di recupero: l' inserimento del bambino all' asilo nido era miseramente fallito, la madre aveva trascorso molto tempo presso i suoi genitori, anzichè presso le zie, che infine si erano trasferite in altra città, lasciandola 4 sola e senza alcun sostegno, le prescrizioni tese a renderla autonoma erano state vanificate, le visite del padre al figlio, che avvenivano in luogo neutro, erano divenute occasioni di scontro tra i genitori ed avevano dovuto essere sospese. Rilevava ancora che ad un accertamento psicologico il minore era apparso privo di stimoli adeguati;
che tale carenza aveva influito negativamente sullo sviluppo del linguaggio e sulla mobilità e che ogni impegno degli operatori rivolto ad insegnare alla madre atti e comportamenti corretti sia con riguardo al suo rapportarsi con il figlio sia in ordine alle cure fisiche di cui il bambino necessitava era risultato senza esito;
che la portata di detto quadro complessivo di riferimento, già chiaro nelle sue connotazioni, era stata ancor più efficacemente evidenziata dalla consulenza tecnica psicologica disposta nell' ambito della procedura di adottabilità, la quale aveva messo in luce la fragilità della personalità della donna ed il rapporto simbiotico e totalizzante con il bambino. Tale contesto, rimasto invariato nel corso del giudizio di opposizione di primo grado e di appello, si era ancor più chiaramente delineato in sede di giudizio di rinvio, a seguito della nuova consulenza tecnica sul minore e sulle capacità della madre e dei parenti che si erano offerti di collaborare per la sua assistenza, affidata ad una neuropsichiatra infantile e ad uno psichiatra, le cui conclusioni rendevano evidente che il bambino aveva già subito un concreto danno dal rapporto con la madre e con l' ambiente familiare materno, consistente nella privazione di stimoli adeguati verso le tappe evolutive della sua età e verso il conseguimento della propria individualità ed autonomia;
che i 5 ritardi nel linguaggio e nel movimento recuperati con l' ingresso in comunità si sarebbero sicuramente aggravati se la relazione distorta con la madre fosse continuata;
che i comportamenti del bambino erano indicativi di un pesante rischio evolutivo, il quale richiedeva un contesto affettivo relazionale solido e rassicurante;
che l' ipotesi di un ricongiungimento del minore al suo nucleo originario doveva ritenersi del tutto improponibile, atteso l' evidente deficit materno e considerata anche la natura distorta delle relazioni intercorrenti tra i componenti di detto nucleo. -le cui argomentazioni non apparivano scalfite Gli stessi consulenti dai rilievi critici dei consulenti di parte - avevano altresì evidenziato l' impossibilità di evoluzione della condizione psichica della madre, che ritenevano affetta da una forma psicotica molto probabilmente classificabile come schizofrenia paranoide, resa più critica dalla assoluta mancanza di consapevolezza della propria malattia e dalla assenza di qualsiasi terapia. I consulenti avevano infine analiticamente esaminato le figure dei parenti materni, giungendo alla conclusione che nessuno di loro era in grado, nel contesto del complesso relazionale della famiglia, di esercitare una funzione vicariante dei genitori. Sulla base di tali convergenti valutazioni riteneva la Corte territoriale positivamente accertato che le carenze della famiglia potessero provocare danni irreversibili alla crescita equilibrata del minore: precisava al riguardo che la dichiarazione di adottabilità non si poneva quale conseguenza automatica dei problemi personali dei genitori, ma che le anomalie della personalità dei genitori stessi assumevano 6 rilievo in quanto idonee a tradursi in incapacità assoluta di allevare ed educare il bambino, il quale per i traumi già sofferti e per i cambiamenti cui era stato sottoposto aveva forte bisogno di un ambiente sereno, stabile e stimolante. Rilevava infine che non poteva essere accolta la richiesta formulata in via subordinata dagli appellanti di lasciare il minore in affidamento eterofamiliare in vista di un futuro rientro nel nucleo di origine, sia per 1' accertata incapacità di detto nucleo di accogliere nuovamente il minore, sia perché un affidamento a tempo indeterminato avrebbe comportato il consolidarsi del rapporto con la famiglia affidataria, mentre gli eventuali contatti con i parenti sarebbero stati solo fonte di confusione, di lacerazione e di disturbo. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C, G, S, G ed Antonio D Vio deducendo quattro motivi. Non vi è controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 1 della legge 4 maggio 1983 n. 184, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto dell' esigenza primaria ed imprescindibile di crescita e sviluppo del minore nella famiglia biologica, che può venir meno soltanto ove sia accertata l' assoluta inidoneità di questa ad offrire al minore stesso quel minimo di cure materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico indispensabili per una equilibrata e sana crescita psicofisica. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 8 della legge 4 maggio 1983 n. 184 nella parte in cui la 7 $ sentenza impugnata prescinde dal riesame in termini di attualità della situazione del minore, dalla prova del danno irreparabile e non transitorio conseguente alla permanenza nella famiglia di origine, dall' accertamento delle singole necessarie componenti cumulative dello stato di abbandono costituite dal difetto di assistenza sia materiale che morale, nonché dalla dimostrazione che la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore costituiva extrema et unica ratio di tutela;
si aggiunge che la Corte di Appello ha ritenuto integrati i presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, e conseguentemente ha ravvisato l' inidoneità allo svolgimento delle funzioni genitoriali dei ricorrenti, sulla base del mero profilo psicologico degli stessi, da considerare per contro irrilevante, e comunque mai degenerato in patologie psichiatriche. Con il terzo motivo si denuncia difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione e travisamento dei fatti, per non avere il giudice del rinvio focalizzato l' indagine sull' accertamento delle carenze materiali ed affettive che, unitamente all' inidoneità genitoriale all' assolvimento dei relativi compiti, costituiscono il presupposto per il concretarsi della situazione di abbandono, ed in particolare per aver esaminato in modo frazionato ed autonomo gli elementi asseritamente costitutivi dello stato di abbandono. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata confermato lo stato di adottabilità in mancanza di prova di una reale, motivata situazione di abbandono e per aver ancorato le proprie valutazioni alla mera previsione di un probabile danno. 8 I motivi così sintetizzati vanno esaminati congiuntamente, per la loro logica connessione. Essi vanno tutti disattesi. Va innanzi tutto precisato che detti motivi sono da ritenere ammissibili nei soli limiti in cui si sostanziano in censure di violazione di norme di diritto, mentre non possono essere presi in esame nelle parti, decisamente prevalenti, in cui, nonostante il formale riferimento al vizio di violazione di legge o a quello di inesistenza della motivazione, tendono a prospettare mere carenze motivazionali ovvero si risolvono, ancor più inammissibilmente, nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto poste dalla Corte di Appello a base del proprio giudizio circa lo stato di abbandono, ed in particolare circa la incapacità della madre e degli altri congiunti del minore di provvedere alla sua cura ed al suo sereno sviluppo. E' noto invero che ai sensi dell'art. 17 ultimo comma della legge n. 184 del 1983 possono essere proposte in cassazione soltanto violazioni di legge, intese con riferimento sia alla legge regolatrice del rapporto sostanziale controverso sia alla legge regolatrice del processo, e che tra dette violazioni può essere ricompresa l' inosservanza del principio che impone la motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali solo quando la motivazione manchi del tutto o sia meramente apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, ovvero si risolva in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, mentre resta escluso qualsiasi controllo sulla sufficienza e razionalità della motivazione in relazione alle risultanze probatorie ( v. in tal senso, tra le tante, Cass. 2001 n. 6475;
2001 n. 5854;
1999 n. 13419; 1999 n. 4292;
1999 n. 4139;
1998 n. 3101). E' altresì noto che l' estensione al vizio di cui all' art. 360 n. 5 c.p.c. della ricorribilità per cassazione delle sentenze di appello rese nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, introdotta dall' art. 16 della legge n. 149 del 2001, è stata differita dal decreto legge n. 150 del 2001, convertito in legge n. 240 del 2001, al 30 giugno 2002, e successivamente dal decreto legge n. 126 del 2002, convertito in legge n. 175 del 2002, al 30 giugno 2003, ed ancora dal decreto legge n. 147 del 2003, convertito in legge n. 200 del 2003, al 30 giugno 2004: per effetto di tali disposizioni ai procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità ed ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato in subiecta materia, e comunque non oltre la richiamata data del 30 giugno 2004, le disposizioni processuali già vigenti, e non quelle di cui alla legge di riforma dell' adozione (v. sul punto Cass. 2003 n. 4124;
2003 n. 3333;
2002 n. 18132;
2001 n. 7065). Così circoscritta l' ammissibilità delle doglianze ai profili concernenti la violazione dei parametri normativi di riferimento nell' accertamento dello stato di abbandono, stante l' evidente non configurabilità, nell' ✗ ampia ed articolata esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, di una motivazione inesistente, va ricordato che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte nella disciplina sull' adozione dettata dalla legge n. 184 del 1983, e da ultimo dalla 10 legge di riforma n. 149 del 2001, è accentuata l'esigenza di assicurare la crescita e l' educazione del bambino nella famiglia di origine, considerata come il suo ambiente naturale, e quindi come il luogo privilegiato a tutelare l' interesse del minore, così che lo stato di adottabilità si configura come un eccezionale sacrificio di detta esigenza primaria, consentito solo quando la vita offerta dai genitori naturali sia talmente inadeguata, per carenza non transitoria di cure materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico, da impedire o porre in pericolo il suo sano sviluppo psicofisico e la equilibrata formazione della sua personalità ( v. per tutte Cass. 2003 n. 369;
2002 n. 1674; 2001 n. 2010;
2000 n. 5580;
2000 n. 1612;
1999 n. 10908;
1999 n. 9643). In adesione a tale impostazione, che impone di ravvisare la rescissione del legame familiare come il prezzo inevitabile da pagare per evitare un danno maggiore ed irreversibile, e che coerentemente preclude qualsiasi possibilità di raffronto tra il tenore di vita consentito nell' ambito della famiglia naturale e quello che il minore potrebbe trovare in una famiglia adottiva o abbia già temporaneamente trovato presso un nucleo affidatario, si è da questa Suprema Corte precisato che anche le anomalie comportamentali o le patologie caratteriali dei genitori possono rilevare ai fini dell' accertamento dello stato di abbandono, in quanto si traducano in inettitudine ad allevare ed educare la prole: ne consegue che l'accertamento di comportamenti devianti dei genitori non dimostra e non consente per ciò solo di desumere l' inidoneità degli stessi a svolgere la loro funzione, occorrendo invece dimostrare attraverso dati di sicura rilevanza che in 11 ° ragione di tali condotte o anomalie essi non abbiano acquisito consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e non siano in grado di garantire al minore le condizioni essenziali per una crescita serena ed armonica ( v. sul punto Cass. 2001 n. 2010). Nella difficile opera di valutazione delle fattispecie concrete all' esame del giudice, l' interesse primario di quel determinato minore - che costituisce essenziale punto di riferimento nell' applicazione della normativa in esame - impone di assumere come criterio fondamentale, ai fini dell' accertamento della persistenza dello stato di abbandono, il dato fornito dalla entità del danno già derivato da detti comportamenti devianti alla personalità in evoluzione del bambino e dalla incidenza che su tale situazione la sua permanenza in famiglia possa svolgere, con particolare riferimento alla capacità dei genitori di porre rimedio agli errori commessi e di fornire al minore tutta l' assistenza e le cure necessarie per il pieno recupero del suo equilibrio psicofisico. Tali principi appaiono pienamente rispettati dalla Corte di Appello, che in adesione alle prescrizioni dettate dalla sentenza di cassazione con rinvio ha proceduto ad un approfondito riesame delle condizioni del minore nel periodo in cui era vissuto con la madre e con il nucleo familiare di questa, ha analizzato l'entità dei danni dal medesimo subiti per effetto dell' atteggiamento possessivo ed ossessivo della madre nei suoi confronti, si è data carico di accertare la idoneità degli altri congiunti a svolgere una funzione genitoriale vicariante ed ha ravvisato la loro persistente incapacità di superare i gravissimi danni psicofisici derivati dal vissuto di sofferenze del bambino, conclusivamente ritenendo che un ipotetico ritorno in famiglia . A 12 " avrebbe provocato al minore un pregiudizio irreversibile sotto l' aspetto psicoevolutivo. Le ulteriori censure sono inammissibili in quanto, sottoponendo a serrata critica tutti i passaggi motivazionali con i quali la Corte di Appello ha dato ragione del proprio convincimento, tendono ad opporre agli apprezzamenti svolti su ciascuno degli elementi esaminati diverse valutazioni, anche attraverso un non consentito riferimento diretto alle relazioni degli operatori dei servizi e dei consulenti tecnici, così sollecitando a questa Corte di legittimità non solo un controllo motivazionale che già esula, come già rilevato, dall' ambito delineato dall' art. 17 ultimo comma della legge n. 184 del 1983, ma finanche un riesame del merito. Il ricorso deve essere in conclusione rigettato. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di questo giudizio di cassazione, non avendo svolto le parti intimate attività difensiva.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi