Cass. civ., SS.UU., sentenza 27/11/2002, n. 16831
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Di fronte ad una sentenza del Consiglio di Stato declinatoria della giurisdizione del giudice amministrativo (nel caso: per la riconosciuta natura privatistica, anziché di concessione di pubblico servizio, del rapporto controverso), è configurabile un interesse, concreto ed attuale, a ricorrere all'organo regolatore della giurisdizione, ai sensi dell'art. 111, ultimo comma, Cost. e dell'art. 362 cod. proc. civ., anche in capo all'amministrazione che abbia resistito nel giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo (che, attraverso detto ricorso, intenda affermare l'esistenza di un rapporto concessorio tra le parti, dal quale soltanto discende la possibilità, per essa, di esercitare gli specifici poteri autoritativi riconosciuti dalla legge), tanto più che detta pronuncia del giudice amministrativo - a differenza delle sentenze rese dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione - è priva di efficacia esterna (c.d. efficacia panprocessuale) e non è pertanto vincolante per il giudice ordinario successivamente adito per la stessa controversia.
In tema di smaltimento dei rifiuti ai sensi del d.P.R. 10 settembre 1992, n. 915, soltanto lo smaltimento di quelli urbani, in quanto obbligatoriamente riservato ai comuni in privativa, è espressamente definito "servizio pubblico", mentre tale natura non può riconoscersi - stante la concezione c.d. soggettiva di servizio pubblico seguita da detto d.P.R. - all'attività di smaltimento dei rifiuti speciali nell'ipotesi in cui essi siano dai produttori conferiti ai soggetti esercenti il servizio pubblico relativo ai rifiuti urbani, sicché la convenzione al riguardo stipulata, ad onta della denominazione di concessione attribuita dalle parti, deve essere riguardata come un contratto di diritto privato, nel quale le parti stesse sono poste su un piano paritetico, con la conseguenza che le controversie da essa originanti, attenendo a diritti soggettivi, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario.
Affinché possa essere conferito ad un bene di proprietà dello Stato, delle province o dei comuni non appartenente al demanio necessario il carattere di bene patrimoniale indisponibile, è necessario che al bene stesso sia data effettiva ed attuale destinazione al pubblico servizio.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V B - Primo Presidente f.f. -
Dott. M G - Presidente di sezione -
Dott. G O - Presidente di sezione -
Dott. G P - Consigliere -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. E L - Consigliere -
Dott. G N - rel. Consigliere -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
CUNE DI F, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43, presso lo studio dell'avvocato F L, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C B, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 46, presso lo studio dell'avvocato G M G, rappresentata e difesa dagli avvocati G F, ARNALDO FOSCHI, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
nonché contro
AZIENDA MUNICIPALIZZATA IGIENE URBANA DI F;
- intimata -
avverso la decisione n. 5369/00 del Consiglio di Stato di ROMA, depositata il 09/10/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/02 dal Consigliere Dott. Giandonato NAPOLETANO;
uditi gli avvocati Paola MARZOCCHI, per delega dell'avvocato Giancarlo FANZINI, Umberto SEGARELLI, per delega dell'avvocato Fabio LORENZONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso, giurisdizione dell'A.G.O..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Mengozzi S.r.l., con sede in Forlì, convenne innanzi al T.A.R. dell'Emilia-Romagna il Comune di Forlì e l'Azienda Municipalizzata Igiene Urbana (A.M.I.U.) di Forlì per sentire annullare gli atti di diffida del 13 e 22 aprile 1993 e la delibera di decadenza del 6 maggio 1993, emessi dal Comune di Forlì con riferimento alla concessione del "servizio di smaltimento di reperti anatomici e carogne di animali" e dell'uso, a tal fine, di una area di mq. 300 contigua allo stabilimento dell'A.M.I.U., affidati alla società ricorrente con delibera del 14 aprile 1989 e conseguente contratto. Il T.A.R. adito rigettò il ricorso.
Propose appello la soccombente Mengozzi S.r.l. ed il Consiglio di Stato, con sentenza resa in data 9 ottobre 2000, in accoglimento dell'eccezione sollevata dall'A.M.I.U., ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso di primo grado proposto dalla Mengozzi S.r.l.
Ha ritenuto il Consiglio di Stato che il servizio affidato alla società privata, per il fatto di concernere rifiuti ospedalieri compresi tra i rifiuti speciali ed oggetti "carogne animali") esclusi dalla relativa disciplina di legge ai sensi dell'art. 2, co. 4^ e 7^, lett. c) d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915, non costituiva servizio pubblico.
Ad avviso del Consiglio di Stato, nella nozione di servizio pubblico può annoverarsi solo il servizio relativo ai rifiuti urbani, (art. 3, co. 1^ e 3^, d.p.r. citato), con la conseguenza che il rapporto in esame, ad onta della qualifica di concessione attribuitagli dall'autorità comunale, assume natura privatistica. Nè poteva parlarsi di concessione di bene pubblico a motivo della concessione in uso dell'area contigua allo stabilimento dell'A.M.I.U., poiché tale bene, pur di proprietà comunale, non inerendo ad attività qualificabile come pubblico servizio ne' avendo subita un'effettiva ed attuale destinazione al servizio stesso, non poteva essere definito come bene patrimoniale indisponibile ai sensi dell'art. 826 cod. civ. Ad analoghe conclusioni, secondo il Consiglio di Stato, doveva pervenirsi con riferimento specifico all'atto di decadenza, poiché il relativo procedimento, afferendo a specifici inadempimenti degli obblighi contrattuali, si svolgeva su di un piano paritetico, senza alcuna possibilità di apprezzamento discrezionale, e, quindi, coinvolgeva posizioni di diritto soggettivo.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ., il Comune di Forlì. Delle intimate, Mengozzi S.r.l. e A.M.I.U. di Forlì, mentre la prima resiste con controricorso, la seconda non ha svolto attività difensive.
V'è memoria difensiva per il ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente premette che il suo interesse ad impugnare la sentenza del Consiglio di Stato sta nell'esigenza di vedere affermata l'esistenza di un rapporto concessorio tra le parti, con la possibilità, quindi, della sua legittimazione ad esercitare gli specifici poteri autoritativi.
Nel merito, adduce che l'attività di incenerimento di "parti anatomiche e carogne di animali" affidata alla Mengozzi S.r.l. configura una fattispecie di pubblico servizio in senso oggettivo, perché consistente in prestazioni, erogate medianti comportamenti di fatto, offerte al pubblico, con organizzazione squisitamente imprenditoriale, laddove l'offerta è doverosa nei confronti degli utenti e per appositi provvedimenti tariffari stabiliti dalla P.A. Rimarca il ricorrente che l'attività in questione è ricompresa nelle attività di prevenzione. disinquinamento e risanamento e gestione delle risorse ambientali, che compongono la tradizionale nozione di servizio pubblico, e, per di più, come previsto dall'art. 1, co. 1^ e 2^, L. 12 giugno 1990, n. 146, è servizio pubblico di natura essenziale.
Ciò vale, ad avviso del ricorrente, anche per la concessione dell'area comunale, attesoché l'impianto della Mengozzi S.r.l. fu realizzato all'interno della sede A.M.I.U., su di un'area, appunto, destinata dal P.R.G. ad "infrastrutture pubbliche di interesse urbano territoriale".
Pertanto, conclude il ricorrente, sulla base della sussistenza di un rapporto di concessione amministrativa, devesi dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo.
La controricorrente eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità del gravame per difetto di interesse processuale, atteso, comunque, il rigetto della sua domanda in sede di merito e perché l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo era stata proposta dall'A.M.I.U., che, in quanto azienda municipalizzata, era portatrice di interessi coincidenti con quelli del Comune di Forlì. Nel merito, resiste al ricorso, chiedendone il rigetto siccome infondato.
L'eccezione d'inammissibilità va disattesa, non potendo negarsi l'interesse del Comune, ricorrente, ad ottenere, previa declaratoria della giurisdizione del giudice amministrativo, che qualifichi il rapporto come concessorio, in quanto attinente a pubblico servizio, una decisione di merito, che accerti l'infondatezza del ricorso della concessionaria, Mengozzi S.r.l., per avere, esso, esercitato correttamente i poteri autoritativi derivanti dalla natura di concessione amministrativa del rapporto.
Tale esigenza tanto più appare dar corpo ad un interesse concreto ed attuale a ricorrere quando sì consideri che la pronuncia del Consiglio di Stato, declinatoria della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, non può ritenersi vincolante per il giudice ordinario, il quale, pertanto, successivamente adito per la stessa controversia, potrebbe riesaminare la questione, anche negando la propria giurisdizione a favore di quella del giudice amministrativo. Nel merito, però, il ricorso è privo di fondamento, avendo correttamente, il Consiglio di Stato, declinata la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, per essere competente il giudice ordinario.
A tale conclusione si perviene in esito all'esame della disciplina dettata in materia dal d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915, applicabile al rapporto in esame, che fu costituito con convenzione del 1989. L'art. 1 di tale d.p.r. definisce l'attività di smaltimento dei rifiuti in genere, nelle sue varie fasi, come "attività di pubblico interesse" e perché tale la sottopone alla disciplina dettata dai successivi articoli, ispirata ai principi generali, espressamente enunciati nello stesso art. 1, della tutela di esigenze igienico- sanitarie della collettività e dei singoli nonché della tutela dell'ambiente nei suoi vari aspetti.
Nell'ambito, però, di tale generale definizione, riguardante l'attività di smaltimento di ogni tipologia di rifiuti, classificati in rifiuti urbani, rifiuti speciali e rifiuti tossici e nocivi, l'art. 3 diversifica la disciplina con riferimento ai soggetti abilitati all'esercizio dell'attività si smaltimento, stabilendo (co. 1^) che solo le attività inerenti allo smaltimento dei rifiuti urbani "competono obbligatoriamente ai comuni, che le esercitano con diritto di privativa..." mentre (co. 3^) allo smaltimento dei rifiuti speciali, anche tossici e nocivi, "sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi, direttamente o attraverso imprese od enti autorizzati dalla regione, ai sensi dell'art. 6, lett. D), o mediante conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico, ai sensi del primo comma, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione".
Come risulta dalla letterale espressione usata dal 3^ comma, solo il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani, evidentemente in quanto obbligatoriamente riservato ai comuni in privativa, viene espressamente definito "servizio pubblico", senza che, ovviamente, tale natura possa attribuirsi anche all'attività di smaltimento dei rifiuti speciali nell'ipotesi, verificatasi nel caso in esame, in cui tali rifiuti siano dai produttori conferiti ai soggetti esercenti il servizio pubblico relativo ai rifiuti urbani.
Il testuale dato normativo evidenzia che il legislatore ha seguito, in subiecta materia, la concezione cd. soggettiva di servizio pubblico, superata, invece, dall'art. 33 d.legs. 31 marzo 1998, n. 80, poi sostituito dall'art. 33 L. 21 luglio 2000, n. 205, che ha, invece, recepita la nozione cd. oggettiva (cfr. Cass., SS.UU., 30 marzo 2000, n. 71), qui propugnata dal ricorrente, avendo espressamente valorizzato, per definire pubblico solo il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani, il fatto che esso sia riservato in privativa ai comuni.
Nè la scelta operata dal legislatore può dirsi contraddetta dalla definizione di servizio pubblico essenziale attribuita all'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, tossici e nocivi dall'art. 1 L. 12 giugno 1990, n. 146, recante "norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente protetti", trattandosi di definizione data ad uno specifico fine - quello della regolamentazione del diritto di sciopero in funzione della tutela di diritti della persona costituzionalmente garantiti - in vista del quale non rileva la disciplina legislativa data al servizio in sè e nei rapporti eventualmente instaurati con soggetti privati, non riguardando l'attività, diretta od indiretta, delle pubbliche amministrazioni (cfr. Cass., SS.UU. n. 71/2000 citata). È, dunque, evidente come, ad onta della denominazione dalle parti data al rapporto in esame, lo stesso non possa esser definito come concessione, che è definizione tradizionalmente riservata agli atti della p.a. afferenti a beni o servizi riservati per legge alla stessa p.a. e, quindi, inaccessibili ai privati se non previa pronuncia di atti volti a rimuovere tale preclusione ed a consentirne la utilizzazione e la gestione a terzi.
La speciale disciplina legislativa, in primis, la necessità dell'autorizzazione regionale, cui è soggetta l'attività dei produttori volta allo smaltimento dei rifiuti speciali, trova sufficiente giustificazione nella natura di attività di interesse pubblico che il legislatore ha inteso conferire in genere all'attività di smaltimento di ogni tipo di rifiuti, senza che, pertanto, sia necessario ricorrere alla nozione di servizio pubblico, che la legge ha voluto riservare esclusivamente all'attività relativa ai rifiuti urbani.
La decisione impugnata risulta corretta anche se riguardata con riferimento alla concessione in uso dell'area di proprietà comunale contigua allo stabilimento dell'A.M.I.U.
Una volta esclusa la natura di servizio pubblico del servizio oggetto della convenzione stipulata dalle parti, devesi necessariamente negare alla suddetta area la qualificazione di bene patrimoniale indisponibile richiesta perché si possa parlare di concessione di bene pubblico, perché, come ritenuto da questa Corte con sent. n. 391 del 1999, resa a Sezioni Unite, per conferire ad un bene di proprietà dello Stato o delle provincie o dei comuni non appartenute al demanio necessario il carattere di bene patrimoniale indisponibile a motivo della sua destinazione a pubblico servizio è necessario che, oltre all'atto amministrativo di destinazione del bene ad un pubblico servizio, al bene sia data effettiva ed attuale destinazione al pubblico servizio.
Giova, peraltro, rimarcare la novità della deduzione del ricorrente, secondo cui l'area in questione, che la sentenza impugnata indica come contigua allo stabilimento dell'A.M.I.U., sarebbe, invece, ubicata all'interno di tale stabilimento.
Conclusivamente, con riferimento ad entrambi i profili esaminati, la convenzione stipulata dalle parti dev'essere riguardata come un contratto di diritto privato, nel quale le parti sono poste su di un piano paritetico, con la conseguenza che le relative controversie, attenendo a diritti soggettivi, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario.
Il ricorso va, pertanto, respinto, dichiarandosi la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Ricorrono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.