Cass. civ., sez. II, sentenza 20/01/2022, n. 01738

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 20/01/2022, n. 01738
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 01738
Data del deposito : 20 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

iato la seguente SENTENZA sul ricorso 28220-2016 proposto da: P D, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CHIANA

48, presso lo studio dell'avvocato S A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato M C giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

L'1( P G, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MONTE ZEBIO

9, presso lo studio dell'avvocato G D A, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, giusta procura a margine del controricorso;
- ricorrente incidentale - nonchè

contro

R E, P L;

- intimati -

avverso la sentenza n. 958/2016 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/04/2016;
nonchè sul ricorso riunito 26559-2017 proposto da: P D, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CHIANA

48, presso lo studio dell'avvocato S A, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato M C giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

P G, P L;

- intimati -

avverso la sentenza n. 741/2017 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2021 dal Consigliere Dott. M C;
Lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. L D R, che ha chiesto, in relazione al ricorso promosso da P D avverso la sentenza non definitiva, la declaratoria di inammissibilità o rigetto, avanzando eguale richiesta anche in relazione ai primi sei motivi del ricorso proposto avverso la sentenza definitiva;
chiede accogliersi il settimo motivo del ricorso principale, con assorbimento dell'ottavo;
quanto al ricorso incidentale, conclude per Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021-2- l'inammissibilità ed infondatezza del primo, del terzo motivo e del quarto motivo, e per l'accoglimento del secondo motivo;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente in prossimità dell'udienza;

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

Con citazione dell'8/7/2005 P D, premettendo di essere figlia di P Tullio, deceduto in data 21/1/1982, conveniva in giudizio la madre, R E, ed i fratelli P G e Loredana, assumendo che gli eredi non avevano provveduto all'integrale scioglimento della comunione ereditaria, in quanto i beni mobili di cui alla scrittura del 3/10/1994, tra i quali erano inclusi dei fucili, alcuni gioielli ed una collezione di medaglie, sicchè, previo annullamento della denuncia di successione, era necessario procedere alla riassegnazione dei beni ancora in comunione, comprendendo sia i beni mobili che le giacenze sul conto cointestato alla madre ed al fratello. Si costituiva R E che, oltre a dedurre di avere usucapito la proprietà dei beni mobili, in via riconvenzionale deduceva di essere titolare della quota di usufrutto di un terzo sull'immobile di proprietà dell'attrice, la quale andava condannata a versarle, per l'occupazione esclusiva la quota di frutti corrispondente al diritto vantato. Si costituiva anche P G che a sua volta, chiedeva accertarsi l'usucapione dei beni mobili caduti in successione. Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. 415 del 24/2/2009, rilevando che il patrimonio era stato oggetto di due distinti atti divisionali in data 22/9/1983 e 4/11/1996, rigettava la domanda attorea, accogliendo le domande riconvenzionali di usucapione avanzate dai convenuti;
inoltre condannava Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021 -3- l'attrice al pagamento della somma corrispondente alla quota di 1/3 del valore locativo del bene sul quale la madre vantava pro quota il diritto di usufrutto. Avverso tale sentenza ha proposto appello P D e la Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza non definitiva n. 958 del 29/4/2016, in parziale accoglimento del gravame principale, rigettava le domande di usucapione. Ancora rigettava la domanda di cui all'appello incidentale tardivo quanto alla domanda di rilascio del bene, avanzata da P G, quale erede della madre, defunta nelle more del giudizio, e rimetteva la causa in istruttoria per lo scioglimento della comunione mobiliare e per la determinazione dell'indennità di occupazione. In primo luogo, disattendeva la censura dell'appellante principale secondo cui la condanna al pagamento della quota parte dei frutti del bene dalla stessa occupato fosse stata emessa in violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto il Tribunale non aveva fondato la decisione su di un titolo contrattuale, ma aveva inteso assicurare alla convenuta il ristoro per il mancato godimento del bene, per la quota di usufrutto vantata. Ancorché l'occupazione del bene non possa ritenersi un illecito dell'attrice, ciò non di meno non poteva esser negato il diritto dell'usufruttuaria a ricevere un compenso per il mancato godimento del cespite. Aggiungeva che la dichiarazione del 2003, nella quale la madre comunicava, a fini fiscali, di avere concesso il bene, per la propria quota di usufrutto, in comodato gratuito a favore della figlia, costituiva un documento tardivamente prodotto, in quanto recante data anteriore alla stessa introduzione del giudizio, palesandosi in ogni caso inconferente, posto che, in assenza della fissazione di un termine di durata per il Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021-4- comodato, il comodante può richiedere la restituzione del bene senza limiti temporali. Nella specie la comunicazione de qua non individuava alcun termine di durata e quindi la richiesta della convenuta avanzata in via riconvenzionale denotava la chiara volontà di far cessare il comodato, con il diritto quindi alla corresponsione della quota parte di frutti civili. In merito poi alla decorrenza dei frutti, che il Tribunale aveva individuato nella data del 1/12/2001, allorché la figlia aveva cessato di corrispondere la parte dei canoni di locazione in passato percepiti, la Corte d'Appello rilevava che non poteva addursi a scusante il fatto che il bene fosse stato inizialmente interessato da lavori di ristrutturazione per essere stato poi adibito ad abitazione dell'attrice in un momento successivo, e ciò in quanto i lavori erano stati commissionati dalla stessa appellante, in vista del suo trasferimento nel bene, intento che non poteva privare la madre del diritto a ricevere i frutti dovuti per l'esistenza del diritto di usufrutto. Erano poi infondate le critiche alla stima compiuta dall'ausiliario di ufficio e fatta propria dal Tribunale, palesandosi invece la necessità di aggiornare la stima sino alla data del decesso della madre, che aveva determinato anche il venir meno dell'usufrutto. La morte dell'usufruttuaria implicava poi anche il superamento della richiesta di rilascio del bene avanzata da P G, quale erede della mare. Era invece meritevole di condivisione il motivo di appello che investiva l'accoglimento delle domande riconvenzionali di usucapione. E' pur vero che dopo la morte del padre i fucili erano stati intestati al convenuto e che le medaglie e gli altri preziosi erano stati custoditi in una cassetta di sicurezza Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021-5- intestata alla madre ed al figlio, ma tale condotta, pur potenzialmente idonea a concretare un mutamento del possesso, si era accompagnata alla redazione di una scrittura, recante la sottoscrizione di entrambi i convenuti, che nel riconoscere l'appartenenza dei beni all'asse ereditario, valeva come atto interruttivo del termine per usucapire, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1165 e 2944 c.c. Nella stima dei beni mobili, per i quali occorreva poi procedere alla divisione, andava incluso anche l'orologio, mancando la prova che lo stesso fosse stato effettivamente oggetto di furto, come invece sostenuto dal convenuto. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P D affidato a sette motivi. P G ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di quattro motivi. P D ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza definitiva n. 741 del 4 aprile 2017, ha dichiarato lo scioglimento della comunione sui beni mobili, assegnando gli stessi in proprietà esclusiva a P G, con obbligo a carico di questi del versamento del conguaglio pari ad C 2.165,09 a favore di ognuna delle sorelle P ed in C 3.247,59 in favore degli eredi di R E;
condannava poi l'attrice al pagamento in favore degli eredi di R E della somma di C 21.268,71 a titolo di indennità di occupazione. La Corte d'Appello, dopo aver richiamato il contenuto della scrittura del 31/10/1995, contenente una descrizione dei beni mobili facenti parte dell'asse, riteneva di condividere la stima dell'ausiliario, essendo irrilevante che non fosse stato possibile Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021-6- visionare i gioielli, atteso il mancato rinvenimento della cassetta di sicurezza (essendo altresì irrilevante verificare chi ne avesse ritirato il contenuto, in quanto ove anche fosse stata raggiunta tale prova, non si sarebbe in ogni caso potuto verificare quali beni vi fossero inizialmente custoditi). Sulla base della stima, e ritenuta la non comoda divisibilità dei beni mobili, ha ritenuto di assegnarli per l'intero a P G, con obbligo di versare un conguaglio agli altri coeredi. Quindi ha tenuto conto dell'aggiornamento della stima dell'indennità di occupazione, al netto delle somma già corrisposte dall'attrice. Avverso la sentenza definitiva ha proposto ricorso per cassazione P D sulla base di otto motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase. La ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell'udienza.

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva il Collegio che occorre disporre la riunione dei ricorsi separatamente proposti avverso la sentenza non definitiva, inizialmente, e quella definitiva, successivamente, e ciò in applicazione del principio per cui i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente, definiscono un unico giudizio (come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva) vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello - previsto dall'articolo 335 c.p.c. - della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza (Cass. n. 9192/2017). Sempre in via preliminare deve essere dichiarata l'inammissibilità dei primi sei motivi del ricorso proposto da P D avverso la sentenza definitiva, che sono di Ric. 2016 n. 28220 sez. 52 - ud. 10-11-2021-7- tenore identico ai primi sei motivi proposti avverso la sentenza non definitiva. Infatti, essendosi la parte avvalsa della facoltà di ricorso immediato avverso la sentenza non definitiva, ed avendo in quella sede formulato le ragioni di censura avverso la prima sentenza, la reiterazione in sede di ricorso avverso la sola sentenza definitiva di critiche già sviluppate in occasione della proposizione del primo ricorso e non pertinenti rispetto allo specifico contenuto della sentenza successivamente impugnata, rende i motivi de quibus inammissibili per difetto di corrispondenza rispetto al contenuto della pronuncia specificamente gravata.
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