Cass. pen., sez. I, sentenza 18/10/2019, n. 42899

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 18/10/2019, n. 42899
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 42899
Data del deposito : 18 ottobre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da UT IL, nato a [...] il [...], avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Trieste in data 25/9/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. IL UT è stato condannato, con sentenza della Corte di appello di Palermo in data 11/12/1999, in quanto riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. ed è stato, altresì, sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno. Successivamente egli ha riportato, con sentenza della stessa Corte palermitana del 5/12/2008 e sempre per reato associativo, una nuova condanna, in relazione alla quale gli è stata applicata la misura di sicurezza della assegnazione a una casa di lavoro per la durata di due anni. La prima misura, inoltre, è stata aggravata con ordinanza in data 25/1/2010 del Magistrato di sorveglianza di Palermo, che ha disposto la sostituzione della libertà vigilata con l'assegnazione a una casa lavoro per la durata di un anno. Indi, il Magistrato di sorveglianza di Udine, con ordinanza del 10/12/2015, provvedendo alla unificazione della due misure della casa di lavoro ai sensi dell'art. 209 cod. pen., ha determinato la durata della misura unificata in tre anni;
provvedimento diventato definitivo dopo il pronunciamento del Tribunale di sorveglianza di Trieste in sede di appello e della stessa Corte di cassazione.

2. Successivamente, UT ha proposto incidente di esecuzione alla Corte di appello di Palermo, lamentando, tra l'altro, la durata della misura di sicurezza detentiva, a suo dire illegale. La Corte palermitana ha, quindi, trasmesso per competenza al Magistrato di sorveglianza di Udine, il quale, con ordinanza del 21/3/2018, ha sottolinea come, sul punto, si sia ormai formato il giudicato;
e tale assunto è stato confermato dal Tribunale di sorveglianza di Trieste. Nel rigettare, con ordinanza del 25/9/2018, il relativo appello, il Collegio ha, altresì, affermato che UT non avrebbe, comunque, interesse a dolersi della durata della casa di lavoro, dato che la legge stabilisce la durata minima delle misure di sicurezza, mentre quella massima è determinata in base alla regola generale posta dall'art. 1 comma, 1 -quater D.L. 52/2014 convertito in legge n. 81/2014. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso UT per mezzo del difensore di fiducia, avv. Michele Capano, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 209 cod. pen., 1, comma 1 -quater, legge n. 81/2014, con riferimento agli artt. 25, comma terzo, e 117 Cost. in rapporto all'art. 7 Cedu. In particolare, la difesa deduce che l'unificazione dell'esecuzione delle misure di sicurezza non possa risolversi in una somma aritmetica delle stesse, secondo il principio del cumulo materiale, nella specie non applicabile perché

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