Cass. civ., sez. III, sentenza 30/10/2018, n. 27433

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 30/10/2018, n. 27433
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27433
Data del deposito : 30 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

iato la seguente SENTENZA sul ricorso 27382-2015 proposto da: LONGHINI LIDIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO CIVININ1 2, presso lo studio dell'avvocato L L, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato A G giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

DE C L, elettivamente domiciliata in PESARO, VIA

MANZONI

40, presso lo studio dell'avvocato M V, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 302/2015 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 10/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2018 dal Consigliere Dott. C G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato L L;
udito l'Avvocato M V;
27382/2015

FATTI DI CAUSA

1. Avendo L D C adito il Tribunale di Pesaro per ottenere la condanna di L L a restituirle il deposito cauzionale di C 877,98 attinente ad un contratto locatizio a uso non abitativo tra loro stipulato il 1 aprile 2002 e poi venuto meno per recesso della conduttrice D C, nonché la condanna a pagarle i relativi interessi e la rivalutazione e a rifonderle le spese di un procedimento di accertamento tecnico preventivo e di una procedura ex d.lgs. 28/2010, ed essendosi la L costituita, resistendo e attribuendo alla D C la costruzione di opere abusive, così da chiedere la sospensione del giudizio ex articolo 295 c.p.c. in attesa della conclusione del procedimento di accertamento tecnico preventivo, la dichiarazione di inammissibilità del procedimento di mediazione per mancato completamento del procedimento suddetto e la condanna di controparte a risarcirle il danno per mutamento dello stato dei luoghi, alla rimessione in pristino, alla corresponsione di un indennizzo per la utilizzazione di un locale abusivamente realizzato e al rimborso delle spese relative all'accertamento tecnico preventivo, il Tribunale, con sentenza del 7 marzo 2014, condannava la L a restituire a controparte il deposito cauzionale, oltre a interessi legali fino al saldo, e a rifonderle le spese della procedura di accertamento tecnico preventivo e della procedura conciliativa per un totale di C 3000, oltre alle spese del giudizio. Avendo la L proposto appello principale e la D C appello incidentale, la Corte d'appello d'Ancona, con sentenza del 25 febbraio-10 agosto 2015, rigettava l'appello principale e accoglieva parzialmente l'incidentale determinando quindi in C 4000 le spese dell'accertamento tecnico preventivo.

2. Ha presentato ricorso la L articolato in undici motivi, da cui si difende con controricorso la D C. Entrambe hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1.1 II primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza impugnata in relazione agli articoli 156, 157, 158, 159 c.p.c., 5 e 23 I. 98/2013, 60 I. 69/2009, 696 bis c.p.c., 3, 24, 70, 76, 77, 101, 102, 111 e 136 Cost., alla Direttiva 25 maggio 2008 n. 2008/52/Ce, alla risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 n. 2011/2026 - mi, alla risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 n. 2011/217 - mi, e all'articolo 27 I. 87/1953.Lamenta la ricorrente che nei giudizi di primo e di secondo grado il procedimento di mediazione esperito dalla D C con istanza del 7 novembre 2012 ai sensi del d.lgs.28/2010 non avrebbe avuto efficacia per essere stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 272/2012 della Corte Costituzionale. Adduce quindi che il nuovo procedimento di mediazione introdotto dalla I. 98/2013 sarebbe stato di immediata applicazione perché "norma processuale" e avrebbe potuto esperirsi dopo 30 giorni dall'entrata in vigore della legge stessa, restando comunque ferme le disposizioni prevedenti procedimenti obbligatori di mediazione. Il procedimento di mediazione sarebbe stato condizione di procedibilità della domanda, e l'improcedibilità avrebbe dovuto essere rilevata d'ufficio dal giudice alla prima udienza. Nel caso di specie, la prima udienza utilizzabile per dichiarare tale improcedibilità successiva alla I. 98/2013 sarebbe stata quella del 10 gennaio 2014, nella quale il difensore dell'attuale ricorrente avrebbe verbalizzato nel senso di chiedere di tentare la conciliazione/mediazione: ma il giudice non avrebbe rilevato la nullità nè avrebbe dato termine, come prescritto dalla I. 98/2013, per tentare la mediazione, rinviando peraltro all'udienza del 22 gennaio 2014 per la comparizione delle parti allo scopo di tentarne la conciliazione. In data 22 gennaio 2014 il difensore della L avrebbe avuto un impedimento, per cui la causa fu rinviata al 7 marzo 2014, udienza nella quale il giudice non avrebbe rilevato d'ufficio l'improcedibilità e non avrebbe assegnato termini per tentare la mediazione, al contrario facendo svolgere la discussione e poi leggendo il dispositivo della sentenza. Di qui la nullità della sentenza di primo grado. Il giudice d'appello, a sua volta, avrebbe dovuto rilevare d'ufficio la nullità, ma non avrebbe né dichiarato l'improcedibilità del giudizio, né rilevato d'ufficio la nullità, né disposto per la mediazione tramite l'assegnazione di un termine di quindici giorni per avviarla. Da tutto ciò deriverebbe che questa Suprema Corte dovrebbe dichiarare improcedibile la domanda proposta dalla D C per mancata mediazione e rimettere le parti davanti al giudice d'appello affinché fissi un'udienza e assegni alle parti un termine per presentare istanza di mediazione.

3.1.2 Il contenuto del motivo, in buona parte, corrisponde a quello del terzo motivo d'appello, aggiungendovi pure una doglianza concernente il secondo grado. Nel terzo motivo d'appello, infatti, l'attuale ricorrente, quale appellante principale, aveva denunciato omesso esperimento della mediazione stragiudiziale ai sensi dell'articolo 15, secondo comma, d.lgs. 28/2010 come novellato appunto nel 2013, fondandosi sulla richiesta avanzata dalla sua difesa davanti al giudice di prime cure all'udienza del 10 gennaio 2014. La questione è stata correttamente trattata dal giudice d'appello, il quale, dopo avere dato atto della dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 5, commi primo e secondo, d.lgs. 28/2010 avvenuta con la sentenza n. 272 del 6 dicembre 2012 emessa dalla Consulta - osservando che ciò, per l'efficacia retroattiva della decisione, priva di ogni rilievo l'eventuale inosservanza della norma incostituzionale: ma, in effetti, quel che a ben guardare persegue la ricorrente è l'applicazione dell'istituto come novellato nel 2013 -, considera anche il vigente testo normativo (motivazione, pagina 5s.). In effetti, l'articolo 5 d.lgs. 28/2010, come novellato dall'articolo 84, primo comma, d.l. 69/2013, convertito appunto con modifiche nella I. 98/2013, ai suoi commi 1 bis e 2, disciplina la mediazione, nel secondo comma in riferimento al giudizio d'appello. In particolare, il comma 1 bis, che impone una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, proprio per questo non è pertinente, dal momento che quando fu esercitata l'azione dalla D C la norma ancora non esisteva nell'ordinamento (il ricorso ex articolo 447 bis c.p.c. fu notificato dalla D C il 15 marzo 2012, come emerge dallo stesso ricorso);
e la natura processuale della norma stessa non può significare un'applicazione retroattiva come quella che propugna la ricorrente - con evidenti effetti demolitori di tutto quanto fino all'entrata in vigore della norma compiuto secondo le regole vigenti -, visto per di più il principio di conservazione, strettamente connesso a quello dell'economia processuale, che costituisce cardine ermeneutico in riferimento all'individuazione della norma entro il relativo testo letterale. Riguardo, poi, al comma 2, è del tutto agevole percepire che nello stadio d'appello non viene da esso configurata una automatica condizione di procedibilità, bensì una facoltà del giudice di creare tale condizione, alla luce di una valutazione discrezionale: fatto salvo, invero, quanto disposto nel comma 1 bis, nonché nei seguenti commi 3 e 4 (di contenuto limitativo dell'istituto della mediazione, sia - il terzo comma - in riferimento a quel che comunque rssa non inibisce di attuare nell'immediatezza, sia - il quarto - in riferimento ai settori in cui non è dovuta), viene stabilito che "il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione;
in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello";
seguono le indicazioni sull'emanazione e sull'attuazione del relativo provvedimento. Nel caso di specie, risulta pacifico che il giudice d'appello non ha ritenuto di avvalersi di tale facoltà. È evidente, in conclusione, che il giudizio di primo grado è stato instaurato senza dover superare alcuna condizione di procedibilità, che pertanto il giudice di primo grado e il giudice di secondo non hanno dovuto dichiarare alcuna improcedibilità dell'azione, e, infine, che nel secondo grado non si è normativamente introdotta una condizione di procedibilità che sia stata illegittimamente non disposta dalla corte territoriale. Tutto il motivo, quindi, è infondato.
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