Cass. civ., SS.UU., sentenza 24/07/2009, n. 17357

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In tema di compensi professionali di avvocati, affinché il professionista, che sta prestando assistenza giudiziale, possa avere diritto ad un distinto compenso per prestazioni stragiudiziali (ai sensi dell'art. 2 della tariffa stragiudiziale), è necessario che tali prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali. Ove sussista tale connessione, gli compete solo il compenso per l'assistenza giudiziale, eventualmente maggiorato sino al quadruplo (art. 5, commi 2 e 3, della tariffa giudiziale), in relazione alle questioni giuridiche trattate ed all'importanza della causa, tenuto conto dei risultati del giudizio, anche non patrimoniali, e dell'urgenza richiesta.

In materia di decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, qualora, nella copia allegata al ricorso per cassazione, la conformità della decisione all'originale sia stata attestata recando, con la dicitura "firmato", l'indicazione a stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale formulazione non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione sull'originale dell'atto, che l'apposizione di detta dicitura lascia presumere, ma la parte può dimostrarne la mancanza prendendo visione dell'originale e facendosi rilasciare specifica attestazione, da depositarsi ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ..

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 24/07/2009, n. 17357
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17357
Data del deposito : 24 luglio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. P E - Presidente di sezione -
Dott. P R - Presidente di sezione -
Dott. F F - rel. Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B D P AA (BRNNMR48D63G478H), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell'avvocato DI M A, rappresentata e difesa dall'avvocato M C, per procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato P G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A E, per procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;

- intimati -

avverso la decisione n. 236/2008 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 30/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 07/07/2009 dal Consigliere Dott. F F;

uditi gli avvocati Caterina Malavenda, Ezio ANTONINI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decisione depositata il 5 luglio 2007 il Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Milano irrogava all'avv. B D P Annamaria la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per mesi quattro, in relazione a cinque esposti presentati contro di lei. La decisione veniva impugnata dall'avv. Annamaria B D P dinanzi al Consiglio Nazionale Forense che, con decisione depositata il 30 dicembre 2008, riduceva la sanzione alla sospensione dall'esercizio della professione per mesi tre.
Avverso tale decisione, notificatale l'11 marzo 2009, l'avv. Annamaria B D P ha proposto ricorso a questa Corte, formulando dodici motivi, con atto notificato il 6 aprile al Consiglio Nazionale Forense, al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Milano, al Procuratore Generale della Corte di Cassazione ed alla Procura della Repubblica di Milano e chiedendo la sospensione del provvedimento impugnato.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano ha depositato memoria R.D. n. 37 del 1934, ex art. 66. MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 64, e degli artt. 132 e 161 c.p.c., in relazione alla
mancata sottoscrizione della copia della decisione, notificata alla ricorrente, con la conseguente nullità della decisione stessa. Si deduce in proposito che il R.D. n. 37 del 1934, art. 64 richiede, a pena di nullità, che la decisione del CNF sia sottoscritta dal Presidente e dal Segretario. Nel caso di specie alla ricorrente è stata notificata una copia conforme, firmata in tutte le pagine, ma nella quale si legge in calce "f.to Prof. avv. P T" e "f.to Prof. avv. P G A", senza che siano riportate le firme, che pertanto dovrebbero presumersi non apposte, con la conseguente nullità della decisione. Si formula al riguardo il seguente quesito: Dica la Corte se la notifica del provvedimento in copia conforme, priva delle sottoscrizioni del Presidente e del Segretario, previste dal R.D. n. 37 del 1934, art. 64 presenti sulle altre pagine, determini la nullità del provvedimento ai sensi dell'art. 132 c.p.c. e dell'art. 161 c.p.c., comma 2, dovendosi presumere "iuris et de iure" che l'originale ne sia privo. Il motivo è infondato, dovendosi richiamare in proposito quanto già affermato da questa Corte con la sentenza 6 giugno 2003, n. 9069, secondo la quale, ove - come nella specie - nella copia della decisione del CNF allegata al ricorso per cassazione, la conformità all'originale sia stata attestata recando, con la dicitura "firmato", l'indicazione a stampa del nome e cognome del Presidente e del Segretario, tale formulazione della copia non è idonea a dimostrare la mancanza della effettiva sottoscrizione nell'originale, che la dicitura "firmato" lascia presumere. Cosicché il motivo va rigettato, non avendo la parte ricorrente, che è stata posta in condizione di prendere visione dell'originale e di farsi rilasciare, ove effettivamente mancante della sottoscrizione, specifica attestazione in proposito, depositato ai sensi dell'art. 372 c.p.c., attestazione in tal senso.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'addebito di responsabilità relativo all'esposto della sig.ra A C, la mancata correlazione fra l'incolpazione e la condanna, ai sensi dell'art. 521 c.p.p. e con riferimento ai principi generali in tema di diritto di difesa, per essere stata affermata la responsabilità per un fatto diverso da quello denunciato e da quello contestato. La sig.ra A C, secondo quanto esposto in fatto dalla ricorrente, aveva lamentato l'eccessività dell'importo richiestole a titolo di ulteriore fondo spese, senza indicazione di dettaglio, mentre alla ricorrente era stato contestato di essere venuta meno ai doveri di probità e correttezza professionale per avere ripetutamente richiesto per attività giudiziali importi cospicui, per voci non previste dalla tariffa professionale, inserendo nelle notule, relative ad attività giudiziale, la richiesta di onorari e diritti stragiudiziali. Con il motivo si chiede a questa Corte di dire: Se contestare all'incolpata "di avere ripetutamente richiesto ai propri clienti, per attività giudiziali, importi cospicui, per voci non previste dalla tariffa professionale" e condannare poi la medesima sul presupposto che "la richiesta insistente da parte di un collega al cliente, d'importi non indifferenti, una volta accertatane la non debenza, debba essere qualificata come comportamento deontologicamente non corretto", integri o meno la violazione della necessaria correlazione fra l'incolpazione contestata e il fatto ritenuto in sentenza, con conseguente nullità del relativo capo della decisione e riduzione della sanzione inflitta. Il motivo è infondato.
Secondo i principi costantemente enunciati da queste Sezioni Unite in materia di sanzioni disciplinari (Cass. Sez. Un. 22 agosto 2007, n. 17827;
20 ottobre 2006, n. 22535;
6 febbraio 2004, n. 2296;
18 ottobre 1994, n. 8482
) l'atto d'incolpazione non richiede una minuta e particolareggiata esposizione delle modalità dei fatti che integrano l'illecito e l'indagine volta ad accertare la correlazione fra indebito contestato e decisione disciplinare non va fatta in base a un confronto formale al riguardo, ma accertando se l'incolpato abbia avuto conoscenza dell'addebito contestato ed abbia avuto la possibilità di difendersi e discolparsi, essendo il principio della necessità di corrispondenza fra contestazione e addebito accertato volto a garantire il diritto di difesa, del quale il contraddittorio è aspetto essenziale. Pertanto, per aversi mutamento del fatto con riferimento al principio di correlazione tra addebito contestato e sentenza, occorre una trasformazione degli elementi essenziali del fatto contestato tale da pervenire a un'incertezza sull'oggetto dell'addebito da cui scaturisca una reale violazione del contraddittorio e dei diritti della difesa. Ne consegue che la violazione del su detto principio, vertendosi in materia di garanzie di difesa, è insussistente quando l'incolpato sia stato messo in condizione di difendersi e discolparsi nel corso dell'iter procedimentale svoltosi. (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2004, n. 5038;
23 luglio 2001, n. 10014;
26 aprile 2000, n. 289
). Nel caso di specie alla ricorrente era stato contestato di "essere venuta meno ai doveri di probità e correttezza professionale, causando disdoro alla classe forense, per avere ripetutamente richiesto ai propri clienti per attività giudiziali importi -:
cospicui, per voci non previste dalla tariffa professionale, inserendo nelle proprie notule, relative ad attività giudiziale, la richiesta di onorari e diritti stragiudiziali" e la condanna disciplinare risulta pronunciata proprio per avere indebitamente richiesto alla cliente sig.ra A C, assistita in un giudizio di separazione, cumulativamente agli onorari giudiziali anche onorari extragiudiziali. Ne deriva, alla stregua dei principi sopra richiamati, l'infondatezza del motivo, risultando il fatto contestato del tutto idoneo, rispetto a quello accertato, a garantire la difesa dell'incolpata.

3. Con il terzo motivo si denuncia, sempre in relazione all'esposto della sig.ra A C, violazione di legge per mancanza di motivazione o comunque per ad attività giudiziale, la richiesta di onorari e l'assoluta contraddittorietà della stessa, con riguardo all'individuazione della norma deontologica di riferimento ed all'affermata inesigibilità degli onorari stragiudiziali. Ciò con riferimento all'addebito di avere tenuto un comportamento non corretto, per avere indebitamente cumulato nelle notule, per attività prestata alla propria cliente, onorari giudiziali ed extragiudiziali. Si deduce in proposito il difetto di motivazione in ordine al dolo o alla colpa;
si lamenta che non siano state motivate le ragioni per le quali il CNF aveva ritenuto non cumulabili le voci e per le quali non si era ritenuto mancante l'elemento psicologico necessario per irrogare la sanzione, così come non era stata indicata la norma disciplinare violata. Si deduce ancora la carenza della motivazione in ordine alla ritenuta inapplicabilità alla fattispecie dell'art. 2 della tariffa in materia stragiudiziale, omettendosi di analizzare la natura delle attività indicate nella parcella al fine di verificare se non dovesse escludersene la connessione e complementarietà con quelle giudiziali. La motivazione, per altro verso, sarebbe contraddittoria, dando essa atto delle numerosissime telefonate con la cliente e il CTP, nonché della corrispondenza con l'avvocato della controparte ed il penalista

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