Cass. pen., sez. III, sentenza 05/06/2023, n. 23959
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Testo completo
o la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da J J, nato in Benin il 02/01/1975 (CUI: 01W23C4) avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 30/06/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere A G;lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. D S, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;lette le conclusioni scritte depositate il 23 marzo 2023 dall'avv. S M del Foro di Napoli, che ha concluso riportandosi al ricorso e chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 30/06/2022 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 02/09/2021, condannava J J (indicato anche con tredici alias) alla pena di anni sette e mesi cinque di reclusione ed euro 44.000 di multa in riferimento ai delitti di cui agli articoli 81 cod. pen., 73 d.P.R. 309/1990 commessi in Castelvolturno, località Pescopagano, tra il febbraio e l'agosto 2019;si trattava in particolare di n. 17 imputazioni di cessione a diversi soggetti (che nelle conversazioni appellavano l'imputato come «il Professore») di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed eroina. 2. Avverso tale sentenza l'imputato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione;in particolare: 2.1. con il primo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza dei vizi di cui all'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 143, 178, 180 e 182 del codice di rito;afferma il ricorrente che tutti gli atti relativi al giudizio di primo grado, a partire dal decreto di giudizio immediato, sarebbero affetti da nullità in quanto non si è proceduto alla traduzione in lingua inglese, non essendo l'imputato in grado di comprendere la lingua italiana. Sottolinea come il Giudice per le indagini preliminari, in sede di interrogatorio di garanzia (20/08/2020), avesse ammesso il J alla «assistenza linguistica» di cui all'articolo 143 citato (provvedimento mai revocato), nominando un interprete di lingua inglese. Lamenta altresì di avere eccepito la mancata nomina di un interprete e l'omessa traduzione degli atti introduttivi del giudizio in lingua inglese all'udienza del 03/06/2021 e come tale eccezione sia stata illegittimamente disattesa, sia in primo grado che, in appello, come profilo di censura. Tale omissione si sarebbe tradotta in una palese violazione del diritto di difesa, in quanto la traduzione postuma nella lingua madre dell'imputato del decreto di giudizio immediato avrebbe consentito allo stesso di essere rimesso in termini per formulare richiesta di rito alternativo. Sostiene, infine, che la dedotta conoscenza, da parte dei giudici di appello, della lingua italiana da parte dell'imputato, non sia elemento idoneo a sanare il vizio dedotto, in quanto non è sufficiente una «qualsiasi conoscenza» della lingua italiana, ma è necessaria una conoscenza tale da rendere possibile di articolare una compiuta difesa;2.2. con il secondo motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento, per tutti i capi di imputazione, della fattispecie di cui al comma 5 dell'articolo 73 del d.P.R. 309/1990, in luogo del comma 1. Deporrebbero, nel senso invocato, la circostanza che le cessioni avessero ad oggetto quantitativi minimi di sostanza stupefacente, nonché il fatto che l'imputato non fosse altro che «l'ultima pedina» della catena di distribuzione dello stupefacente. Sostiene il ricorrente che quando la cessione concerne ingenti quantitativi, è la «sostanza» a fare la differenza al fine di inquadrare il fatto nel primo o nel quarto comma;laddove, al contrario, quando la quantità è esigua, ciò che rileva è la «condotta», non essendovi distinzione nel trattamento sanzionatorio tra le varie sostanze stupefacenti., Nel caso di specie tutte le cessioni avrebbero avuto ad oggetto quantitativi di stupefacente compresi tra i 0,2 e i 0,4 grammi, per un corrispettivo oscillante tra i 20 e i 40 euro, potendosi t tale attività considerare come di «piccolo spaccio», con conseguente applicazione della più favorevole disciplina di cui al comma 5 della norma incriminatrice contestata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Le censure su cui si articola il motivo impingono su diversi aspetti. Il ricorrente ritiene infatti sussistente la violazione degli articoli 143, 178, 180 e 182 cod. proc. pen. in quanto, se è vero che la traduzione dell'atto non attiene alla sua «struttura», essa è tuttavia funzionale alla articolazione della propria difesa. L'omessa traduzione, pertanto, si sarebbe tradotta in una palese violazione del diritto di difesa. Sostiene inoltre come non sia pacifica la giurisprudenza, richiamata dalla Corte territoriale, secondo cui la presenza dell'imputato al processo sanerebbe una eventuale nullità. Ritiene inoltre che, in disparte la categoria della nullità, sarebbe più opportuno ricondurre la violazione al diritto alla «restituzione in termine», quanto meno per proporre istanza di definizione del procedimento con rito alternativo. Da ultimo sottolinea come il decreto di ammissione alla assistenza giudiziaria emesso dal GIP non sarebbe mai stato revocato, ciò che renderebbe invalido ogni successivo atto di cui non è stata disposta la traduzione in lingua inglese. 1.1. Preliminarmente, va osservato come la tematica della c.d. «assistenza linguistica» di cui all'articolo 143 cod. proc. pen. è stata affrontata dalla Corte con riferimento a diversi profili. Il primo di essi è relativo a quale delle ipotesi di nullità di cui all'articolo 178 del codice di rito sia riconducibile e quale sia, se ve ne sia, il termine per sollevare la relativa eccezione. Sotto tale profilo la giurisprudenza unanime sostiene che trattasi di una nullità a regime intermedio di cui all'articolo 178, lettera c), cod. proc. pen.. Corollario di tale affermazione è che, come regola generale, il termine ultimo per dedurre la nullità coincide con la sentenza di primo grado (ex multis, Sez. 2, n. 26078 del 09/06/2016, Ka, Rv. 267157: «in tema di traduzione degli atti, anche dopo l'attuazione della direttiva 2010/64/UE ad opera del d.lgs. 4 marzo 2014 n.32, la mancata nomina di un interprete all'imputato che non conosce la lingua italiana dà luogo ad una nullità a regime intermedio, che deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell'atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata nè dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo»). Tuttavia, la Corte ha evidenziato come vi siano ipotesi in cui il concreto esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato «consumi» il potere di dedurre l'eccezione. Si è affermato, in primo luogo, che «la mancata traduzione nella lingua dell'imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 143 cod. proc. peri, come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178, lett. c e 180 cod. proc. pen.) la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte». Parimenti, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216259, ha affermato che la mancata traduzione, nella lingua dell'imputato che ignori quella italiana, del decreto di citazione a giudizio configura nullità generale di tipo intermedio (art. 178 lett. e, 180 CPP), sanabile dalla comparizione della parte (art. 184 CPP). Si è quindi affermato che «l'omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 c.p.p., anche a seguito della novella introdotta con il d.lgs. n. 32 del 2014, che, in ordine alle conseguenze della mancata traduzione degli atti processuali, non ha apportato alcuna novità» (Sez. Un., n. 39298 del 26/9/2006, Rv. 234835;Sez. 2, n. 18781 09/04/2014, Masciullo, Rv. 259523). Si è aggiunto, inoltre (Sez. 4, n. 46852 del 17/12/2021, Socio, n.m.), che «l'accesso al c.d. "patteggiamento" preclude all'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, la possibilità di eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento (Sez. 2, n. 6575 del 02/02/2016 cc. - dep. 18/02/2016, Rv. 266198 - 01)». Da ultimo si è affermato (e questo è l'aspetto che qui maggiormente rileva rileva) che «la mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato alloglotta non integra la nullità prevista dall'art. 178, comma primo, lett. c) cod. proc. pen. - sotto il profilo della lesione recata alla effettiva partecipazione al giudizio e alla completa esplicazione del diritto di difesa - qualora sia stata proposta tempestiva impugnazione da parte del difensore e non siano stati allegati elementi specifici in ordine al pregiudizio derivante dalla omessa traduzione» (Sez. 5, n. 47534 dell'11/07/2018, Sandeberg, Rv. 274136;Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016, dep. 2017, Zaroual, n.m.). Scendendo alla censura svolta dal ricorrente, avendo lo stesso risposto alla vocatio in jus, partecipato a tutto il processo, presentato appello e quindi ricorso per cassazione, ha pienamente esercitato il diritto di difesa e la doglianza appare pertanto infondata, in quanto la cosciente e attiva partecipazione a tutti i gradi del processo ha «consumato» la possibilità di proporre la relativa eccezione.
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