Cass. civ., sez. III, sentenza 30/08/2004, n. 17375

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 30/08/2004, n. 17375
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17375
Data del deposito : 30 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Presidente -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. P I - rel. Consigliere -
Dott. P G B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C S, in persona del suo legale rappresentante Z B, elettivamente domiciliato in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, difeso dall'avvocato F B, con studio in 36100 VICENZA CONTRÀ DELLA MISERICORDIA N. 12, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
Z FIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SABOTINO

2, presso lo studio dell'avvocato V V, che lo difende unitamente all'avvocato P C, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 1038/00 della Corte d'Appello di VENEZIA,

SEZIONE

3^ sezione civile emessa il 22/5/2000, depositata il 01/06/00;
RG. 948/96;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/07/04 dal Consigliere Dott. I P;

udito l'Avvocato V V;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. E V S che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22 maggio 1996 la società Comin s. p. a., in persona del suo legale rappresentante Bruno Zoppelletto, propose appello avverso la sentenza del tribunale di Vicenza n. 779/1995, con cui era stata rigettata ogni sua pretesa risarcitoria nei confronti di F Z, esponendo: - che, nel 1987, i due fratelli erano soci al 50% nella società Comin, e che anche F Z amministrava di fatto la società;
- che la Comin aveva alienato macchinari usati per 157,5 milioni alla società Zenith e per 31 milioni alla società Eurogas;
- che la Eurogas, di lì a poco, aveva venduto il materiale appena formalmente acquistato alla Zenith per 176 milioni;

- che solo successivamente Bruno Zoppelletto aveva scoperto che il fratello aveva in realtà venduto tutto, da subito, alla Zenith, per 340 milioni, e che le modalità diverse nascondevano, in effetti, un raggiro attraverso il quale Floriano aveva personalmente intascato la differenza del valore dell'operazione;
aveva chiesto pertanto il risarcimento del danno per 182, 5 milioni (151,5 milioni frutto diretto del raggiro + 31 milioni che l'Eurogas non aveva mai pagato perché di 11 a poco dichiarata fallita), ma la domanda era stata inopinatamente rigettata dal giudice di prime cure. Si costituì l'appellato, chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza.
La corte di appello di Venezia, con sentenza depositata in data 1 giugno 2000, respinse l'appello, osservando in parte motiva: - che, volendo inquadrare l'azione proposta, come contrattuale ex art. 2392 c.c., tale azione - ai sensi dell'art. 2393 c.c. - non poteva essere
esercitata direttamente dal legale rappresentante della società, in quanto era necessaria che vi fosse una delibera assembleare, che difettava nella specie;
- che parimenti andava esclusa la configurabilità di un'azione ai sensi degli art. 2028 e segg. c.c., in quanto la negotiorum gestio atteneva soltanto ad esecuzioni materiali e non al compimento di atti giuridici;
- che l'azione non poteva nemmeno essere inquadrata nell'ambito del contratto di mandato, difettando del tutto la prova che F Z fosse obbligato a compiere uno o più atti giuridici per conto della società Comin;
- che, quanto all'azione ex art. 2043 e. e, spettava all'appellante dimostrare che il danno era stato provocato con dolo, ossia che l'autore del comportamento pregiudizievole aveva programmato l'evento lesivo, realizzandolo intenzionalmente, ma la prova sul punto era fallita;
- che le prove dedotte con l'atto di appello erano inammissibili, perché contrastanti con il principio dell'unitarietà dell'assunzione delle prove testimoniali. Per la cassazione della menzionata sentenza la società Comin ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi, cui ha resistito con controricorso F Z.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deducendo la violazione dell'art. 2697 e dell'art. 2729 c.c. dell'art. 156 c.p.c. nonché difetto di motivazione sul punto, assume che la responsabilità extracontrattuale di F Z era fondata sulla circostanza del raggiro posto in essere nei confronti della ricorrente, tacendole di aver convenuto con la Zenith la vendita di un unico compendio per lire 340 milioni, per cui la Comin si indusse a compiere due vendite frazionate dello stesso compendio, incassando complessivamente lire 157.500.000, sebbene l'acquirente avesse corrisposto quanto originariamente previsto, e cioè circa 340 milioni. La corte di merito aveva respinto la domanda per difetto di prova sul dolo, pur emergendo dall'istruttoria espletata la prova per presunzioni, gravi, precise e concordanti.
La censura non ha pregio. In primo luogo, va ribadito in questa sede il principio, più volte affermato da questo S.C., secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, non può dirsi sussistente quando, come nel caso di specie, nel ragionamento del giudice di merito, non sia rinvenibile traccia alcuna del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, mentre deve escludersi che esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. A ciò va aggiunto: a) che, nella specie, la ricorrente fa riferimento ad una serie di documenti, che sarebbero stati erroneamente o mal valutati dalla corte territoriale, senza provvedere, in violazione del principio dell'autosufficienza, alla trascrizione di tali documenti nel ricorso;
b) che la problematica relativa alla sussistenza in concreto di una prova costituita da presunzioni non risulta proposta in sede di appello dall'odierna ricorrente, mentre è noto che, comunque, la omessa utilizzazione, da parte del giudice di merito, di una presunzione semplice, è rimessa alla prudenza del giudice e non può essere denunciata in Cassazione. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando violazione dell'art. 2028 c.c. assume che erroneamente era stato escluso il titolo dedotto
poiché "...la negotiorum gestio attiene soltanto ad esecuzioni materiali, e non al compimento di atti giuridici". Peraltro, dalla stessa denominazione dell'istituto (negotiorum gestio) emergeva che le condotte materiali facevano sorgere diritti di credito, per cui specie non avrebbe senso il disposto di cui all'art. 2029 c.c. che richiede, nel gestore, la capacità di contrattare.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 2393 c.p.c.. La sentenza impugnata aveva esaminato una ulteriore
prospettazione di responsabilità a carico del resistente, in quanto amministratore di fatto, liquidando la tematica sotto il profilo della l'improponibilità dell'azione, poiché la stessa avrebbe dovuto essere preceduta da apposita delibera assembleare, a sensi dell'art. 2393 c.c.. Tale impostazione non appariva corretta, posto che nei confronti di un amministratore di fatto non si poneva il problema della revoca di diritto.
I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, devono essere disattesi, anche se al riguardo deve provvedersi alla rettifica della motivazione. In proposito, occorre considerare che, in prime cure la domanda attorea fu respinta per difetto di prova sia dell'illecito extracontrattuale, sia dell'inadempimento agli obblighi del mandato, ritenuto astrattamente configurabile nella specie. Orbene, la proposizione di domande nuove in appello, quali appunto la problematica relativa alla dedotta violazione delle menzionate norme codicistiche (delle quali non vi è menzione nella sentenza di prime cure), è inammissibile, stante la sussistenza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello. È noto, altresì, che la verifica della sussistenza del menzionato error in procedendo è ammissibile, pur in difetto di impugnazione, perché l'inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. e, correlativamente, dell'obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile, anche d'ufficio in sede di legittimità, perché costituisce una preclusione all'esercizio. della giurisdizione;
con la conseguenza che la Corte di Cassazione, rilevata
l'inammissibilità dell'appello sul quale ha pronunciato la sentenza impugnata in violazione dell'indicato divieto, deve correggere la motivazione, nel caso (come è avvenuto nella fattispecie) di rigetto nel merito della domanda stessa (cfr., ex plurimis, Cass. 15547/2003) La rilevabilità di ufficio, in ogni stato e grado, delle nullità cd. assolute della sentenza impugnata (in quanto previste a presidio di interessi di rilievo pubblicistico) trova, infatti, un limite soltanto nella formazione del giudicato interno sulla questione, giudicato che si forma o nel caso di decisione esplicita non impugnata della questione stessa, o nel caso di mancata impugnazione di una statuizione di merito che presupponga necessariamente la risoluzione della questione pregiudiziale. Nella specie, il ricorso contro la statuizione di rigetto nel merito, in ordine alle due domande di cui ai motivi in esame, adottata nel presupposto non esplicitato dell'assenza di preclusioni all'esame delle domande medesime, ha impedito la formazione del giudicato interno, per cui l'esistenza di preclusioni può essere verificata anche di ufficio nel giudizio di legittimità.
Va, infine, posto in luce che non risulta impugnata, se non in termini del tutto generici, l'esclusione, ad opera della corte di appello, della sussistenza nella specie della figura giuridica del mandato.
Con il quarto motivo, la ricorrente si duole della mancata ammissione di prove articolate in appello, per erronea applicazione del principio dell'unitarietà della prova testimoniale. Il motivo è inammissibile, per violazione del già richiamato principio di autosufficienza, in virtù del quale il ricorso per Cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Per cui la ricorrente era tenuta a riportare nel ricorso non solo il testo delle deposizioni non ammesse in sede di appello, ma anche quello delle deposizioni richieste ed ammesse in prime cure;
solo in tal modo, infatti, sarebbe stato possibile consentire alla corte la valutazione della fondatezza dello assunto della ricorrente medesima, in ordine alla dedotta novità della prova in sede di appello.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

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