Cass. pen., sez. VI, sentenza 03/11/2021, n. 39530
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: T P, nato a Napoli il 23/04/1968;avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 19/11/2019;udita la relazione svolta dal Consigliere, P S;udito il Sostituto Procuratore generale, dott. L O che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al capo a) per essersi il reato estinto per prescrizione ed il rigetto del ricorso per il redsto;uditi gli avv. A F e S M, nell'interesse dell'imputato, che hanno concluso insistendo nell'accoglimento del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di T P per essersi il reato di abuso d'ufficio contestato al capo b) estinto per prescrizione ed ha confermato il giudizio di responsabilità nei riguardi dello stesso per il reato di cui all'art. 319 - quater cod. pen. (capo a).Quanto al capo a), a T è contestato, nella qualità di pubblico ufficiale - dirigente del Commissariato Vasto - Arenaccia - ufficio competente ad effettuare i controlli sulle attività degli Istituti di vigilanza tra i quali quello denominato "La Vigilante s.r.I " - di avere, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, indotto D'Ennidio Salvatore- legale rappresentante dell'istituto di vigilanza in questione - a corrispondergli capi di abbigliamento e, in permuta, un orologio. Quanto al delitto di abuso d'ufficio, T, nella funzioni di vice questore aggiunto, avrebbe omesso di astenersi in presenza di un interesse proprio - in considerazione della esistenza di un rapporto consolidato di amicizia con il D'Emidio successivamente compromesso- e redatto una nota informativa negativa in ordine alla istanza, avanzata dallo stesso D'Emidio per l'estensione della licenza della società da lui amministrata;ciò avrebbe fatto al fine di arrecare al D'Emidio un danno ingiusto consistito nell'indurre la Prefettura a rigettare l'istanza ed ad emettere una informativa antimafia poi richiamata da una decreto dirigenziale di risoluzione di alcuni contratti di appalto aggiudicati a D'Emilio a seguito di procedure di gara indette dalla Regione Campania. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell'imputato articolando sei motivi. 2.1. Con il primo, relativo al reato di cui al capo a), si lamenta violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità e vizio di motivazione. La Corte, nel valutare le dichiarazioni accusatorie rese da Salvatore D'Emidio, avrebbe errato nel non applicare la regola di giudizio di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. sul presupposto che, in ragione della normativa vigente prima della entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190, il c.d. concusso per induzione, ora indotto ex art. 319 quater cod. pen., non potesse considerarsi un concorrente necessario nel reato, e che, dunque, la sua posizione di dichiarante non potesse essere sottoposta al canone valutativo previsto per i soggetti di cui all'art. 210 cod. proc. pen. Secondo il ricorrente invece, dal punto di vista processuale, l'astratta rilevanza della condotta penale del privato, sentito nel caso di specie in sede di interrogatorio come persona indagata di reato connesso o collegato probatoriamente a quello per cui si procede, imporrebbe comunque di valutare le dichiarazioni da lui rese ai sensi dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., con la conseguente necessaria presenza di riscontri confermativi, nella specie non sussistenti. D'Emidio avrebbe reso quelle dichiarazioni in sede di interrogatorio, alla presenza del difensore, in qualità di persona indagata in procedimento connesso, dopo aver ricevuto gli avvisi di cui all'art. 64 cod. proc. pen. e, dunque, le dichiarazioni in esame non sarebbero state rese da una persona informata sui fatti. 2.2.Con il secondo motivo, relativo al capo a), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità;del reato contestato mancherebbe il requisito dell'ingiusto vantaggio per l'indotto, che, secondo i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza "Maldera", costituirebbe un elemento tipico essenziale della fattispecie. Si sostiene che, rispetto alle condotte commesse prima della entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, il pubblico ufficiale, in precedenza punibile per concussione per induzione ai sensi dell'art. 317 cod. pen. anche nei casi in cui il concusso non avesse conseguito un ingiusto vantaggio, non dovrebbe più rispondere in detti casi, ai sensi dell'art. 2 cod. pen., per il reato di cui all'art. 319 - quater cod. pen, essendo detto reato a concorso necessario;ciò sarebbe indirettamente confermato proprio dalla giurisprudenza di questa Sezione che solo per la fattispecie tentata ritiene configurabile il c.d. tentativo unilaterale. Sul tema relativo alla sussistenza dell'ingiusto vantaggio del soggetto indotto, la Corte avrebbe ritenuto di non motivare per non essere stata la questione devoluta, laddove invece la questione sarebbe stata dedotta (pag. 27- 29 atto di appello, di cui si riporta uno stralcio).
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