Cass. civ., sez. V trib., sentenza 16/02/2023, n. 4902
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In materia di TARI incombe all' impresa contribuente, che produce rifiuti speciali, l'onere di fornire all'Amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per detto motivo , non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo il quale l'onere della prova dei fatti costituenti fonte dell'obbligazione tributaria spetta all'amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell'interessato un onere di informazione, al fine di ottenere l'esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale.
Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.
Sul provvedimento
Testo completo
1. La E. s.p.a. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta avverso una cartella di pagamento, emessa da Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. per conto del Comune di Marcianise, relativa a Tari per l'anno 2015, esponendo di produrre rifiuti speciali non assimilabili agli urbani e di smaltirli attraverso una società privata autorizzata, laddove per i detti rifiuti il Comune non aveva, a suo dire, mai istituito o, comunque, svolto un servizio di raccolta e gestione di cui essa potesse fruire.
2. La Commissione Tributaria Provinciale, rilevata preliminarmente la carenza di legittimazione passiva del concessionario per la riscossione, accoglieva il ricorso, evidenziando come i rifiuti speciali prodotti dalla società non fossero assimilabili a quelli urbani per qualità e quantità e che, avendo documentato la ricorrente lo smaltimento mediante società privata regolarmente autorizzata, l'assoggettamento a Tari non fosse giustificato.
3. Sull'appello del Comune di Marcianise, la Commissione Tributaria Regionale Campania rigettava il gravame, evidenziando che, in base all'art. 4 dell'allegato 2 del Regolamento per la disciplina dell'imposta unica comunale approvato con delibera C.C. n. 38 del 5.9.2014, ad essere assimilati ai rifiuti urbani erano esclusivamente gli "imballaggi primari" e gli "imballaggi secondari quali carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili purchè raccolti in forma differenziata", laddove la contribuente aveva dimostrato (attraverso i formulari ed una perizia giurata) di produrre rifiuti terziari e rifiuti secondari in materiali misti ed il Comune non aveva dedotto e dimostrato che questi ultimi fossero raccolti in forma differenziata.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Marcianise sulla base di un unico motivo. La E. s.p.a. ha resistito con controricorso. L'Agenzia delle Entrate Riscossione non ha svolto difese. Sono state depositate memorie di richiamo alle svolte conclusioni.
Considerato in diritto
1. Con l'unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, commi 642 e 649, d.lgs. n. 147/2013 e 2967 (recte, 2697) c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR riconosciuto l'esenzione dalla Tari sull'intera superficie dell'azienda senza che la contribuente avesse provato l'esatta tipologia dei rifiuti prodotti e per aver omesso di rilevare che l'esclusione dalla tassa opera solo per la parte di superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali.
1.1. Preliminarmente, destituite di fondamento si rivelano le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente nel controricorso, atteso che l'odierno ricorrente ha chiaramente individuato a pagina 5 del ricorso i capi della sentenza impugnata che sarebbero affetti dai vizi denunciati, ha nitidamente indicato questi ultimi sin dalla rubrica dell'unico motivo ed ha esposto, sia pure sinteticamente, i fatti di causa (cfr. pagg. 2-4 del ricorso), attraverso la ricostruzione dell'oggetto della controversia, delle contrapposte posizioni processuali assunte dalle parti nei due gradi di merito e degli esiti degli stessi.
2.1. Ciò debitamente premesso, il motivo è fondato per quanto di ragione.
Anche di recente questa Sezione ha ribadito che "In tema di TARSU, i rifiuti degli imballaggi terziari (nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti urbani, nell'esercizio del potere ad essi restituito dall'art. 21 del cd. decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997) e dalla successiva abrogazione dell'art. 39 della l. n. 146 del 1994, ed i regolamenti che abbiano previsto tale assimilazione devono essere conseguentemente disapplicati in parte qua dal giudice tributario." (Sez. 5, Ordinanza n. 10010 del 10/04/2019).
Con riferimento alla dedotta assimilazione degli imballaggi terziari, vale osservare che il Titolo 2" (specificamente dedicato alla "gestione degli imballaggi") del decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata "sia per prevenirne e ridurne l'impatto sull'ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza", ai sensi della citata direttiva 94/62/CE (art. 34, comma 1), ha disposto che: a) gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da "un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore"), secondari o multipli (quelli costituiti dal "raggruppamento di un certo numero di unità di vendita") e terziari (quelli concepiti "in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli") (art. 35, comma 1);b) "i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti";oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per - fra l'altro - la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38);c) "dal 1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all'utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata"(art. 43, comma 2). Infine, l'art. 49, compreso nel Titolo 3", ha istituito la "tariffa per la gestione dei rifiuti urbani" (usualmente denominata TIA, "tariffa di igiene ambientale"), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, "ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori" (comma 10), e disponendo altresì che "sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua" detta attività (comma 14).
Va poi ricordato che i termini del regime transitorio per la soppressione della TARSU e l'operatività della TIA - regime introdotto dal D.P.R. n. 158 del 1999, modificato dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, salva la possibilità per i comuni di introdurre in via sperimentale la TIA - hanno subito varie proroghe e che, infine, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (recante "Norme in materia ambientale") ha soppresso tale tariffa, sostituendola con una nuova - "tariffa integrata ambientale", come definita dal D.L. n. 208 del 2008, convertito nella L. n. 13 del 2009, cd. TIA 2 -, e l'art. 264 ha abrogato l'intero D.Lgs. n. 22 del 1997 (sia pur prevedendo anche in questo caso una disciplina transitoria: v. Cass. 17488, 17487, 22981, 22890, 226637, 22545 del 2017;Cass. 10812 del 2016 e n. 41291 del 2016).
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (Codice dell'Ambiente), che ha istituito la nuova "tariffa" sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, ha previsto, al comma 1, che "La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 è soppressa a decorrere dall'entrata in vigore del presente art., salvo quanto previsto dal comma 11", il quale recita che "Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti". Tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), per cui sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori, per quanto qui d'interesse, sia la TARSU che la TIA 1, quella appunto prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, alla quale, per effetto della L. n. 296 del 2006, commi 183 e 184 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU. Dunque è stata prevista per gli Enti locali, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, la facoltà di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011. Quindi, fino alla scadenza del termine per l'emanazione del regolamento di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6 (il 30 giugno 2010), i Comuni dovevano continuare ad applicare le discipline regolamentari vigenti in materia di TIA, ritenuta essere una mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conservava la qualifica di tributo (Cass. nn. 14903 del 2010;25929 del 2011;9600 del 2012;2320, 3293 e 5831 del 2012;11157 del 2013, 4723 del 2015;23114 del 2015;n. 17271 del 2017).
Ciò premesso, sul piano normativo, l'art. 1, comma 649, l. n. 147/13 ha, infine, stabilito che "nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa dove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente".
Questa Corte ha già statuito che, per effetto dell'art. 17, comma terzo, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che ha abrogato l'art. 39 della legge 26 febbraio 1994, n. 146, è venuta meno l'assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l'art. 21, comma 2, lettera g), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche.
Con l'entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e quindi a partire da tale annualità d'imposta, era stato restituito ai comuni (Cass. nn. 18303/2004, 18382/2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, anche "per qualità e quantità" (art. 21, comma 2, lett. g). Il citato art. 21 consentiva l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati dallo Stato con Delib. CC. 27 luglio 1984 (punto 1.1.1. lett. a), laddove erano indicati tra i rifiuti assimilabili agli urbani gli imballaggi in genere. Ma dall'esame del Titolo 2^ del decreto Ronchi si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro "gestione" (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (art. 38 cit.);ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, mentre per gli imballaggi secondari è ammessa solo la raccolta differenziata da parte dei commercianti al dettaglio che non li abbiano restituiti agli utilizzatori (art. 43).