Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/12/2005, n. 28505

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Nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ. - disposizione applicabile anche al ricorso per cassazione avverso le pronunzie in materia disciplinare del consiglio nazionale forense - non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l'ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata.

In caso di procedimento penale a carico di avvocato, l'art. 43, terzo comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 conferisce al consiglio dell'ordine il potere di disporre, in via cautelare, la sospensione dall'attività professionale, sulla base di una valutazione d'incompatibilità dell'addebito con l'esercizio della professione, indipendentemente da ogni indagine sulla consistenza dell'incolpazione, riservata al giudice penale.

In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, i vizi derivanti dalla violazione di norme del procedimento svoltosi dinanzi al Consiglio dell'ordine devono essere fatti valere con l'impugnazione della relativa decisione davanti al Consiglio nazionale forense, mentre non possono essere denunciati per la priva volta con il ricorso alle Sezioni Unite, che ha ad oggetto la pronuncia di quest'ultimo organo e, a pena d'inammissibilità, ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ., deve contenere i motivi per i quali se ne chiede la cassazione, i quali devono concernere detta pronuncia, non essendo ammissibili censure rivolte esclusivamente nei confronti della decisione resa dal Consiglio dell'Ordine.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/12/2005, n. 28505
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 28505
Data del deposito : 23 dicembre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - Primo Presidente f.f. -
Dott. V A - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. C M - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B B, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO

28, presso lo studio dell'avvocato Z R, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato B V, giusta procura speciale del Notaio Dott. S D G di Palermo, rep. n. 45533 del 20/06/2005, in atti;



- ricorrente -


contro
CONSIGLIO ORDINE AVVOCATI PALERMO, PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE;



- intimati -


avverso la decisione n. 70/2005 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 03/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2005 dal Consigliere Dott. M F;

udito l'Avvocato R Z;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PALMIERI

Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A norma del R.D.L. 37 novembre 1933, n. 1578, art. 43, comma 3, (conv. con mod. nella legge 22 gennaio 1934, n. 36), secondo cui "il Consiglio può pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell'avvocato .. sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale o contro il quale sia stato emesso mandato od ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio delle più gravi sanzioni", il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Palermo ha disposto, il 4 agosto 2004, la sospensione dalla attività professionale dell'avvocato Biagio Barbiera.
Avverso tale provvedimento il BARBIERA ha proposto ricorso, il 25 agosto 2004, innanzi al Consiglio Nazionale Forense, affidato a 4 motivi.
Con gli stessi il BARBIERA ha, nell'ordine, lamentato:
- incompetenza e violazione di legge in ordine alla deliberazione di inammissibilità della istanza di ricusazione nei confronti di tutti i componenti il collegio giudicante (primo motivo);

- violazione L. n. 241 del 1999, art. 10, e eccesso di potere per mancanza di motivazione quanto al rigetto della istanza di ricusazione nei confronti dell'avv. Sanseverino (secondo motivo);

- mancanza di atto formale di delega in favore dell'avv. Sanseverino quale responsabile del procedimento, mancata sottoscrizione, da parte del presidente dell'ordine, della comunicazione di apertura del procedimento disciplinare e della convocazione dell'iscritto in relazione alla procedura della L. Prof. ex art. 43, omessa indicazione dei consiglieri intervenuti alla seduta del 27 luglio 2004 al fine della verifica del quorum, mancato deposito della richiesta di apertura del procedimento disciplinare, mancata contestuale decisione del procedimento nella seduta del 3 agosto 2004 (terzo motivo);

- infondatezza della ipotesi accusatoria e, comunque, mancanza degli elementi richiesti dalla L. Prof. art. 43, la sospensione cautelare (quarto motivo).
Con decisione 18 dicembre 2004 - 3 maggio 2005. Il Consiglio nazionale forense ha rigettato il ricorso, attesa la inammissibilità di alcune delle censure e la infondatezza di altre.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 25 maggio 2005, ha proposto ricorso

BARBIERA

Biagio, con atto 23 giugno 2005 e date successive, affidato a 4 motivi e illustrato da memoria, ed ha chiesto, altresì, la sospensione della impugnata decisione. Non ha svolto attività difensiva in questa sede il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Palermo.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Al procedimento n. 16224/2005 R.G. (avente ad oggetto la impugnativa della decisione del 18 dicembre 2004 - 3 maggio 2005 del Consiglio Nazionale Forense) deve essere riunito quello n. 16224/2005 bis R.G. (diretto a ottenere la sospensione in via cautelare della esecuzione della stessa decisione).


2. Motivi di ordine logico impongono di esaminare, con precedenza, rispetto ai restanti, il terzo e il quarto motivo di ricorso con i quali si censura la pronunzia gravata per avere escluso la nullità del procedimento svoltosi innanzi al Consiglio dell'ordine di Palermo, prospettata sotto diversi, concorrenti, profili.

3. Si precisa nella pronunzia ora oggetto di ricorso "l'ultima censura in rito è relativa alla mancata assegnazione all'incolpato di un termine per adeguatamente predisporre la difesa". "La doglianza - ha osservato il Consiglio nazionale forense - non ha fondamento. Il ricorrente, invero ha ricevuto la notizia del capo di incolpazione e l'invito a comparire il giorno 9 luglio per l'udienza del 27 successivo e, quindi, diciassette giorni prima;
inoltre su richiesta del suo difensore, l'udienza è stata ulteriormente aggiornata al 3 agosto, per cui è stato posto in condizioni di articolare adeguatamente la propria difesa".


4. Con il terzo motivo, il ricorrente - che nelle premesse del presente ricorso da atto di avere depositato in data 2 agosto 2004 motivata e documentata istanza di ricusazione dei membri del collegio, dimostrando, quindi, di essere stato posto in grado di approntare, adeguatamente le proprie difese, per la udienza del 3 agosto - censura nella parte de qua la sentenza impugnata, lamentando "violazione dell'art. 111 Cost. e comunque dei principi del giusto procedimento ex L. n. 241 del 1990 nonché omessa motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, e L. Prof. art. 56, comma 3, (R.D.L. n. 1578 del 1933), in punto diritto di difesa". Si denunzia infatti:
- che era stato convocato un difensore, l'avv. Monaco che non aveva ricevuto il mandato disciplinare;

- che il termine assegnato all'avv. Inzerillo per predisporre la difesa era "miserrimo" e correttamente detto difensore ha rinunziato al mandato;

- la lettera con cui il G.I.P. ha trasmesso copia dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p., è assolutamente irrituale e non è stata
protocollata;

- le copie penali di ben 160 pagine sono arrivate al CDO soltanto a ridosso dell'adunanza del 27 luglio 2004. Ora se si pone mente alla necessità di copiarle e distribuirle e dare tempo al consiglieri di studiarle non se ne può che dedurre che sia al momento della apertura del procedimento che all'apertura della adunanza pochi consiglieri avessero conoscenza compiuta del fascicolo.

5. La riassunta censura non può trovare accoglimento. In particolare:
in conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi, il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata;

- il riferito principio comporta - in particolare - tra l'altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312);

- in altri termini, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 28 ottobre 2002, n. 15177;
Cass. 16 luglio 2002, n. 10276). Applicando i riferiti principi al caso di specie si osserva che nella specie:
a) pur denunziandosi la violazione nonché la falsa applicazione, da parte del giudice a quo, di molteplici disposizioni di legge (art. 111 Cost.;
L. n. 241 del 1990;
R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3,) il motivo in esame si astiene sia dall'indicare quale sia
la interpretazione data, da quel giudice, alle richiamate disposizioni, sia quale debba essere corretta lettura di quelle stesse norme alla luce della giurisprudenza di questa Corte regolatrice o della dottrina più autorevole. È evidente, pertanto, già sotto tale profilo, la manifesta inammissibilità della censura, non formulata del rispetto del modello previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 360 e 366 c.p.c.;

b) anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che non solo non esiste alcuna relazione tra la "intestazione del motivo" come sopra trascritto e la parte "motiva" dello stesso (nel quale si svolgono considerazioni essenzialmente di merito), ma le considerazioni ivi svolte non sono in alcun rapporto, rispetto al dictum censurato e alle considerazioni svolte al riguardo dal Consiglio nazionale forense, al fine di dimostrare il rigetto del ricorso al suo esame.
La evidenziata inammissibilità, sotto i profili sopra indicati, del motivo in esame preclude ogni altra indagine sulle censure ivi spiegate (in alcun modo correlate, con le argomentazioni svolte dal Consiglio Nazionale a fondamento delle statuizioni censurate).

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