Cass. civ., sez. VI, ordinanza 14/07/2020, n. 14958
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Testo completo
o la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 29761 R.G. anno 2018 proposto da: ct,J Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via del Corso 4, presso l'avvocato M M, rappresentata e difesa dall'avvocato M M;- ricorrente -contro LA.SE.A. s.r.1., elettivamente domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato N M;- con troricorren te- 1 ( avverso la sentenza n. 1411/2018 della Corte di appello di Catania depositata il 18/6/2018;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6/3/2020 dal Consigliere Relatore Dott. M F E. FATTI DI CAUSA 1. — Con atto di citazione notificato il 29 giugno 2006 LA.SE.A. s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catania Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., oggi Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., domandando la ripetizione di somme asseritamente corrisposte in eccedenza, rispetto al dovuto, per interessi ultralegali, usurari e anatocistici con riferimento a un contratto di conto corrente. La banca convenuta, costituendosi in giudizio, eccepiva preliminarmente la nullità dell'atto di citazione e la prescrizione del diritto fatto valere;svolgeva, poi, le proprie deduzioni nel merito. Il Tribunale di Catania, in esito al giudizio di primo grado, condannava Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento della somma di euro 480.318,18, oltre interessi. 2. — Tale pronuncia era confermata in sede di gravame dalla Corte di appello di Catania. Per quanto qui rileva, questa riteneva che la domanda attrice fosse «ben individuata sia sotto il profilo del petitum che della causa petendi [...] essendo stato peraltro precisato l'importo richiesto in ripetizione ed essendo stata allegata anche una consulenza tecnica contabile di parte». Il giudice del gravame osservava, poi, che la chiusura del conto aveva avuto luogo il 30 marzo 1996, giacché la società aveva manifestato la volontà di recedere dal rapporto in data 14 marzo 1996 e il recesso aveva prodotto i propri effetti trascorso il termine di 15 giorni previsto dall'art. 1855 c.c.: rilevava che, in conseguenza, il decorso della prescrizione decennale, operante con riferimento all'azione di ripetizione delle somme corrisposte in eccesso dal correntista, era stata validamente interrotta con l'atto di messa in mora pervenuto alla banca il 24 marzo 2006. Precisava, in argomento, non poter rilevare la data dell'ultima registrazione annotata in conto: difatti, secondo il giudice distrettuale, non assumeva rilevanza la distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie, di cui alla sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 delle Sezioni Unite di questa Corte, dal momento che nella fattispecie si trattava di «individuare la data di inizio per il decorso del termine di prescrizione dell'azione di ripetizione non essendo mai entrata nel processo una distinzione delle rimesse sotto il profilo della diversa decorrenza del termine di prescrizione, domanda inammissibile in appello poiché nuova». 3. — La sentenza della Corte etnea, pubblicata il 18 giugno 2018, è impugnata per cassazione da Banca Monte dei Paschi di Siena, la quale svolge due motivi di censura. Resiste con controricorso LA.SE.A., che ha depositato memoria. Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. — Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Viene lamentato che la Corte di appello abbia respinto l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio, proposta dalla banca;si osserva che il predetto atto introduttivo costituirebbe «neutra rappresentazione comparativa degli argomenti delle pronunce giurisprudenziali che hanno interessato l'argomento per cui è causa negli ultimi decenni» e che sarebbe mancato «alcun riferimento al thema decidendum, se non per brevi rinvii all'elaborato di parte prodotto in uno alla citazione».Il motivo è inammissibile. La Corte di merito ha spiegato, nei termini che si sono sopra riassunti, le ragioni per le quali la citazione introduttiva del giudizio non poteva ritenersi nulla. Competeva alla ricorrente sconfessare quanto esposto nella pronuncia impugnata attraverso rilievi specifici e circostanziati, basati sul preciso tenore degli atti di causa. Infatti, La deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l'ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880;Cass. 8 giugno 2016, n. 11738;Cass. 30 settembre 2015, n. 19410). 2. — Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1855 c.c. e 120 bis t.u.b., 2934, 2935 e 2946 c.c., nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La censura investe la decisione assunta dalla Corte di appello sull'eccezione di prescrizione. Viene rilevato che il rapporto di conto corrente risultava chiuso alla data del 14 marzo 1996, con la contabilizzazione del versamento attraverso cui la società correntista aveva estinto il proprio debito con la banca. Osserva l'istante che, anche a voler ritenere che il rapporto di conto corrente fosse pendente alla data del 31 marzo 1996, la Corte di merito avrebbe dovuto applicare il principio enunciato da Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, verificando quanto fosse in concreto ripetibile: e ciò avendo riguardo proprio al momento in cui era stata posta in atto la rimessa di cui si è detto. Il motivo è anzitutto ammissibile. La ricorrente, sul tema della eccepita prescrizione del diritto alla ripetizione, ha nella sostanza lamentato sia il mancato apprezzamento della circostanza per cui la Corte di Catania avrebbe mancato di considerare che l'ultima operazione contabile posta in atto dalla correntista datava 14 marzo 1996, sia la violazione della disciplina della prescrizione delle rimesse in conto corrente, avendo riguardo ala richiamata pronuncia n. 24418 del 2010. Una siffatta articolazione del motivo deve ritenersi conforme al diritto: il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100;cfr. pure: Cass. 17 marzo 2017, n. 7009;Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790). Sempre in punto di ammissibilità è del resto non conferente quanto dedotto con riferimento all'assemblaggio del ricorso per cassazione (pagg. 5 s. del controricorso), giacché l'atto di impugnazione della banca non è stato confezionato con tale modalità compilativa. Avendo particolarmente riguardo alla fattispecie di cui all'art. 360, 5 n. 3 c.p.c. il motivo è, poi, fondato. Dalla sentenza impugnata emerge che l'ultima operazione posta in essere, con riferimento al conto corrente, risale al 14 marzo 1996. La Corte di merito, come si è visto, ha ritenuto irrilevante che quel giorno abbia avuto luogo «la estinzione del conto» e ha osservato, in proposito, come non potesse invocarsi quanto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite del 2010 con riferimento alla prescrizione delle rimesse bancarie, giacché il tema sviluppato in detta pronuncia, circa la differenziazione di tali rimesse, come solutorie e ripristinatorie, presentava carattere di novità (e non era dunque suscettibile di essere fatto valere in appello). Ora, secondo Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento: non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. In base ai principi richiamati, é necessario dunque distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista: giacché solo i primi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all'art. 2033 c.c.;con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece — come precisato dalle Sezioni Unite — non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d'indebitamento del correntista: sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti: per essi, quindi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Il che è quanto dire che ai fini della prescrizione assumerà rilievo anche la rimessa (solutoria) con cui il correntista ripiana l'esposizione debitoria maturata in ragione del rapporto di affidamento oramai« cessato. Erra, del resto, la Corte di merito, allorquando reputa che non potesse avere ingresso nel giudizio un accertamento della decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie: e ciò in quanto era la stessa proposizione dell'eccezione di prescrizione ek imporre di prendere in esame tale profilo. Sul punto non poteva farsi questione di una novità della questione (nella sentenza si parla, impropriamente, di novità della domanda): infatti, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare (Cass. Sez. U. 13 giugno 2019, n. 15895). Da quanto sopra discende che la Corte di merito avrebbe dovuto verificare il prodursi o meno della prescrizione avendo riguardo alla data in cui hanno avuto luogo le singole rimesse solutorie, escludendo che la prescrizione si fosse prodotta con riferimento 211e rimesse ripristinatorie, e considerando, nondimeno, i versamenti posti in atto, a seguito della cessazione dell'affidamento, per l'estinzione del saldo di chiusura del conto. 3. — In accoglimento del secondo motivo la sentenza è cassata. La causa è rinviata alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
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