Cass. civ., SS.UU., sentenza 07/10/2019, n. 25021
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Testo completo
unciato la seguente SENTENZA sul ricorso 17912-2014 proposto da: CURATELA DEL FALLIMENTO DI LA ROSA CARMELO, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare 71, presso lo studio dell'avvocato A B, rappresentata e difesa dall'avvocato D C;
- ricorrente -
contro
LA ROSA MARIA GIUSEPPA, LA ROSA FRANCESCO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 868/2013 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 23/05/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2019 dal Consigliere L G L;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L C, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso e per l'accoglimento del secondo;
Udito l'Avvocato A B, per delega dell'avvocato D C.
FATTI DI CAUSA
1. - La Curatela del fallimento di L R Carmelo convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, L R Maria e L R Francesco, onde ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria esistente tra il fallito ed i convenuti (germani del medesimo) relativamente ad un fabbricato destinato a civile abitazione (composto da quattro elevazioni fuori terra) sito in Bagheria e proveniente dalla successione legittima del comune genitore;
chiese l'assegnazione alla curatela della quota (pari a 2/9) di proprietà del cespite spettante al fallito;
in subordine, per il caso di non comoda divisibilità e di mancata richiesta di attribuzione, chiese la vendita del fabbricato e la ripartizione del ricavato;
domandò anche la condanna dei convenuti al pagamento di una indennità per l'occupazione dell'immobile. Nella contumacia dei convenuti, il Tribunale rigettò le domande attoree.2. - Sul gravame proposto dalla Curatela del fallimento, la Corte di Appello di Palermo, confermò la pronuncia di primo grado. Secondo la Corte territoriale, il chiesto scioglimento della comunione ereditaria non poteva essere disposto, perché il fabbricato di cui si chiedeva la divisione, originariamente costituto dal solo piano terra (edificato prima del 1940), era stato sopraelevato nel periodo compreso tra il 1970 e il 1976 in assenza di concessione edilizia. A dire dei giudici di appello, lo scioglimento della comunione ereditaria rientrerebbe a pieno titolo tra gli atti inter vivos e, come tale, sarebbe assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, che vietano - comminando la sanzione della nullità - la stipulazione di atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici (o a loro parti) dai quali non risultino gli estremi della concessione edilizia o della concessione in sanatoria o ai quali non sia allegata copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione (c.d. "menzioni urbanistiche"). Secondo la Corte di merito, poi, nella specie sarebbe inapplicabile l'art. 46, comma 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che esclude la nullità degli atti posti in essere nell'ambito di procedure esecutive immobiliari, dovendo tale norma intendersi riferita solo alle vendite disposte nell'ambito di procedure esecutive e non essendo estensibile alle divisioni. Infine, secondo i giudici del gravame, la domanda di condanna dei convenuti al pagamento di una indennità per il godimento dell'immobile non poteva comunque essere accolta, non essendovi prova che i predetti avessero avuto l'esclusiva disponibilità del cespite. 3. - Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la Curatela del fallimento di L R Carmelo sulla base di due motivi.L R Maria e L R Francesco, ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva. 4. - All'esito dell'udienza pubblica del 13 giugno 2018, la Seconda Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 25836 del 16 ottobre 2018, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando come il ricorso presentasse una "questione di massima di particolare importanza". L'ordinanza interlocutoria ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la nullità prevista dall'art. 17 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per i negozi aventi ad oggetto immobili privi di concessione edificatoria (compresi quelli di "scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti") deve ritenersi limitata ai soli atti "tra vivi" e non riguarda, invece, gli atti "mortis causa" e quelli non autonomi rispetto ad essi, tra ì quali deve ritenersi compresa la divisione ereditaria quale atto conclusivo della vicenda successoria (Cass., Sez. 2, n. 15133 del 28/11/2001;
Cass., Sez. 2, n. 630 del 17/01/2003;
Cass., Sez. 2, n. 2313 del 01/02/2010);
ed ha ritenuto che tale giurisprudenza meriti di essere rimeditata alla luce delle critiche avanzate dalla dottrina, sia con riferimento alla inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti mortis causa, sia con riferimento alla presupposta efficacia meramente dichiarativa dell'atto divisorio. 5. - Il Primo Presidente ha disposto, ai sensi dell'art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., che sulla questione la Corte pronunci a Sezioni Unite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (che ha sostituito, mutuandone il contenuto, l'art. 17 della legge n. 47 del 1985) e dell'art. 40, comma 2, della detta legge n. 47 del 1985, quest'ultimo relativo agli abusi edilizi realizzati (originariamente) entro il 10 ottobre 1983. Sotto un primo profilo, la ricorrente curatela lamenta che la Corte territoriale, dopo aver accertato che le opere abusive erano state realizzate tra l'anno 1970 e il 1976, non abbia poi considerato che l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 - applicabile proprio in relazione all'epoca di realizzazione delle opere abusive - non prevede espressamente gli atti di scioglimento della comunione tra quelli per i quali commina la sanzione della nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche ovvero non sia prodotta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l'inizio della costruzione in epoca anteriore al 10 settembre 1967. Sotto un secondo profilo, poi, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia qualificato gli atti di scioglimento della comunione ereditaria come atti inter vivos, come tali sottostanti alle previsioni di cui agli artt. 46, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 se relativi a fabbricati abusivi, in contrasto con i princìpi enunciati, nella materia, dalla giurisprudenza di legittimità. Il motivo, in sostanza, sottopone due questioni di diritto collegate tra di loro. Innanzitutto, per quanto rileva nella presente controversia (avuto riguardo alla data di realizzazione dell'edificio abusivo), si tratta di stabilire se, tra gli atti tra vivi per i quali l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità al ricorrere delle condizioni ivi previste, debbano ritenersi compresi o meno gli atti di scioglimento delle comunioni ("prima questione di diritto"). Ove la risposta a tale questione risulterà positiva (ove cioè debba ritenersi che lo scioglimento delle comunioni sia ricompreso tra gli atti tra vivi per i quali l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità), si tratterà di risolvere un'altra conseguente questione di diritto: se possano considerarsi atti inter vivos, come tali soggetti alla comminatoria di nullità prevista dall'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 (ma anche dall'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), solo gli atti di scioglimento della comunione "ordinaria" o anche quelli di scioglimento della comunione "ereditaria" ("seconda questione di diritto"). 2. - La soluzione della prima questione deve muovere dal confronto tra il testo della disposizione di cui all'art. 17 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (ora corrispondente all'art. 46, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che ne ha mutuato il contenuto) e quello della disposizione di cui all'art. 40, comma 2, della medesima legge n. 47 del 1985, nonché dall'analisi del significato dei relativi enunciati normativi sul piano logico-semantico. Com'è noto, la legge 28 febbraio 1985, n. 47 (denominata "Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive") ha predisposto un complesso sistema sanzionatorio degli abusi edilizi, che si muove su tre direttrici: le sanzioni penali dell'arresto e dell'ammenda nei confronti di chi ha realizzato l'edificio abusivo (art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001);
le sanzioni amministrative della demolizione dell'edificio abusivo o dell'acquisizione di esso al patrimonio del comune (art. 31 d.P.R. cit.);
le sanzioni civili della non negoziabilità con atti tra vivi dei diritti reali relativi al detto edificio (artt. 17 e 40 d.P.R. cit.). Mentre le sanzioni penali hanno carattere "personale" (art. 27 Cost.) e - come tali - non possono trasmettersi agli eredi di colui che ha commesso l'abuso edilizio, le sanzioni amministrative e quelle civili hanno, invece, carattere "ambulatorio", nel senso che afferiscono al regime giuridico del bene (sono, cioè, propter rem) e valgono anche nei confronti degli eredi dell'autore dell'abuso.Tali ultime sanzioni sono state configurate dalla legge in modo da perseguire il duplice scopo di reprimere - con riguardo al futuro - il fenomeno dell'abusivismo edilizio e di sanare - con riguardo al passato - gli abusi edilizi già consumati. Nella prima direzione temporale, l'art. 17, comma 1, della legge n. 47 del 1985 ha stabilito, quanto alle sanzioni civili, che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione
- ricorrente -
contro
LA ROSA MARIA GIUSEPPA, LA ROSA FRANCESCO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 868/2013 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 23/05/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2019 dal Consigliere L G L;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L C, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso e per l'accoglimento del secondo;
Udito l'Avvocato A B, per delega dell'avvocato D C.
FATTI DI CAUSA
1. - La Curatela del fallimento di L R Carmelo convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, L R Maria e L R Francesco, onde ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria esistente tra il fallito ed i convenuti (germani del medesimo) relativamente ad un fabbricato destinato a civile abitazione (composto da quattro elevazioni fuori terra) sito in Bagheria e proveniente dalla successione legittima del comune genitore;
chiese l'assegnazione alla curatela della quota (pari a 2/9) di proprietà del cespite spettante al fallito;
in subordine, per il caso di non comoda divisibilità e di mancata richiesta di attribuzione, chiese la vendita del fabbricato e la ripartizione del ricavato;
domandò anche la condanna dei convenuti al pagamento di una indennità per l'occupazione dell'immobile. Nella contumacia dei convenuti, il Tribunale rigettò le domande attoree.2. - Sul gravame proposto dalla Curatela del fallimento, la Corte di Appello di Palermo, confermò la pronuncia di primo grado. Secondo la Corte territoriale, il chiesto scioglimento della comunione ereditaria non poteva essere disposto, perché il fabbricato di cui si chiedeva la divisione, originariamente costituto dal solo piano terra (edificato prima del 1940), era stato sopraelevato nel periodo compreso tra il 1970 e il 1976 in assenza di concessione edilizia. A dire dei giudici di appello, lo scioglimento della comunione ereditaria rientrerebbe a pieno titolo tra gli atti inter vivos e, come tale, sarebbe assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, che vietano - comminando la sanzione della nullità - la stipulazione di atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici (o a loro parti) dai quali non risultino gli estremi della concessione edilizia o della concessione in sanatoria o ai quali non sia allegata copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione (c.d. "menzioni urbanistiche"). Secondo la Corte di merito, poi, nella specie sarebbe inapplicabile l'art. 46, comma 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che esclude la nullità degli atti posti in essere nell'ambito di procedure esecutive immobiliari, dovendo tale norma intendersi riferita solo alle vendite disposte nell'ambito di procedure esecutive e non essendo estensibile alle divisioni. Infine, secondo i giudici del gravame, la domanda di condanna dei convenuti al pagamento di una indennità per il godimento dell'immobile non poteva comunque essere accolta, non essendovi prova che i predetti avessero avuto l'esclusiva disponibilità del cespite. 3. - Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la Curatela del fallimento di L R Carmelo sulla base di due motivi.L R Maria e L R Francesco, ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva. 4. - All'esito dell'udienza pubblica del 13 giugno 2018, la Seconda Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 25836 del 16 ottobre 2018, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando come il ricorso presentasse una "questione di massima di particolare importanza". L'ordinanza interlocutoria ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la nullità prevista dall'art. 17 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per i negozi aventi ad oggetto immobili privi di concessione edificatoria (compresi quelli di "scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti") deve ritenersi limitata ai soli atti "tra vivi" e non riguarda, invece, gli atti "mortis causa" e quelli non autonomi rispetto ad essi, tra ì quali deve ritenersi compresa la divisione ereditaria quale atto conclusivo della vicenda successoria (Cass., Sez. 2, n. 15133 del 28/11/2001;
Cass., Sez. 2, n. 630 del 17/01/2003;
Cass., Sez. 2, n. 2313 del 01/02/2010);
ed ha ritenuto che tale giurisprudenza meriti di essere rimeditata alla luce delle critiche avanzate dalla dottrina, sia con riferimento alla inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti mortis causa, sia con riferimento alla presupposta efficacia meramente dichiarativa dell'atto divisorio. 5. - Il Primo Presidente ha disposto, ai sensi dell'art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., che sulla questione la Corte pronunci a Sezioni Unite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (che ha sostituito, mutuandone il contenuto, l'art. 17 della legge n. 47 del 1985) e dell'art. 40, comma 2, della detta legge n. 47 del 1985, quest'ultimo relativo agli abusi edilizi realizzati (originariamente) entro il 10 ottobre 1983. Sotto un primo profilo, la ricorrente curatela lamenta che la Corte territoriale, dopo aver accertato che le opere abusive erano state realizzate tra l'anno 1970 e il 1976, non abbia poi considerato che l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 - applicabile proprio in relazione all'epoca di realizzazione delle opere abusive - non prevede espressamente gli atti di scioglimento della comunione tra quelli per i quali commina la sanzione della nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche ovvero non sia prodotta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l'inizio della costruzione in epoca anteriore al 10 settembre 1967. Sotto un secondo profilo, poi, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia qualificato gli atti di scioglimento della comunione ereditaria come atti inter vivos, come tali sottostanti alle previsioni di cui agli artt. 46, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 se relativi a fabbricati abusivi, in contrasto con i princìpi enunciati, nella materia, dalla giurisprudenza di legittimità. Il motivo, in sostanza, sottopone due questioni di diritto collegate tra di loro. Innanzitutto, per quanto rileva nella presente controversia (avuto riguardo alla data di realizzazione dell'edificio abusivo), si tratta di stabilire se, tra gli atti tra vivi per i quali l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità al ricorrere delle condizioni ivi previste, debbano ritenersi compresi o meno gli atti di scioglimento delle comunioni ("prima questione di diritto"). Ove la risposta a tale questione risulterà positiva (ove cioè debba ritenersi che lo scioglimento delle comunioni sia ricompreso tra gli atti tra vivi per i quali l'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità), si tratterà di risolvere un'altra conseguente questione di diritto: se possano considerarsi atti inter vivos, come tali soggetti alla comminatoria di nullità prevista dall'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 (ma anche dall'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), solo gli atti di scioglimento della comunione "ordinaria" o anche quelli di scioglimento della comunione "ereditaria" ("seconda questione di diritto"). 2. - La soluzione della prima questione deve muovere dal confronto tra il testo della disposizione di cui all'art. 17 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (ora corrispondente all'art. 46, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che ne ha mutuato il contenuto) e quello della disposizione di cui all'art. 40, comma 2, della medesima legge n. 47 del 1985, nonché dall'analisi del significato dei relativi enunciati normativi sul piano logico-semantico. Com'è noto, la legge 28 febbraio 1985, n. 47 (denominata "Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive") ha predisposto un complesso sistema sanzionatorio degli abusi edilizi, che si muove su tre direttrici: le sanzioni penali dell'arresto e dell'ammenda nei confronti di chi ha realizzato l'edificio abusivo (art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001);
le sanzioni amministrative della demolizione dell'edificio abusivo o dell'acquisizione di esso al patrimonio del comune (art. 31 d.P.R. cit.);
le sanzioni civili della non negoziabilità con atti tra vivi dei diritti reali relativi al detto edificio (artt. 17 e 40 d.P.R. cit.). Mentre le sanzioni penali hanno carattere "personale" (art. 27 Cost.) e - come tali - non possono trasmettersi agli eredi di colui che ha commesso l'abuso edilizio, le sanzioni amministrative e quelle civili hanno, invece, carattere "ambulatorio", nel senso che afferiscono al regime giuridico del bene (sono, cioè, propter rem) e valgono anche nei confronti degli eredi dell'autore dell'abuso.Tali ultime sanzioni sono state configurate dalla legge in modo da perseguire il duplice scopo di reprimere - con riguardo al futuro - il fenomeno dell'abusivismo edilizio e di sanare - con riguardo al passato - gli abusi edilizi già consumati. Nella prima direzione temporale, l'art. 17, comma 1, della legge n. 47 del 1985 ha stabilito, quanto alle sanzioni civili, che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione
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