Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 12/07/2018, n. 18415

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 12/07/2018, n. 18415
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18415
Data del deposito : 12 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente ORDINANZA sul ricorso 16102-2011 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

MONTEFUSCOLI ENRICA, elettivamente domiciliata in

ROMA VIALE CAMMILLO SBATINI

150, presso lo studio dell'avvocato A C, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA AMATUCCI, FRANCESCO PAOLO BONITO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 249/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SLERNO, depositata il 09/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. O D M R che la controversia ha ad oggetto l'impugnazione della contribuente E M, esercente l'attività di parrucchiera, avverso l'avviso di accertamento, per l'anno d'imposta 2003, con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva rideterminato, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 600 del 1973, ricavi non dichiarati per Euro 56.843,00, accolta parzialmente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, la quale quantificava il reddito d'impresa in Euro 29.148,00 sulla scorta dei consumi energetici, decisione successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che dichiarava inammissibile l'appello principale dell'Ufficio, per mancanza di preventiva autorizzazione ex art. 52, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo ratione temporis applicabile, nonché infondati i motivi di gravame, ed in accoglimento dell'appello incidentale della contribuente annullava l'atto impositivo;
che l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione con un motivo, cui resiste la contribuente con controricorso;

CONSIDERATO che

la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma primo, n. 4, la violazione degli artt. 334 c.p.c., comma 2, 112 c.p.c., giacché il giudice di appello non ha considerato che alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione principale, capo della sentenza rispetto al quale l'Agenzia delle Entrate dichiara di prestare acquiescenza, avrebbe dovuto seguire la declaratoria di inefficacia della impugnazione incidentale tardiva della contribuente, ai sensi degli artt. 49, 54, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, e 334 c.p.c., e non già una pronuncia - nel merito - sulla legittimità della pretesa impositiva, in relazione alle metodologie di controllo e di accertamento impiegate dall'Ufficio;
che a seguito del reiterato intervento delle sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 4640/1989 n. 652/1998), è principio ormai consolidato quello per i cui l'art. 334 c.p.c., che consente alla parte contro cui è stata proposta impugnazione, ed a quella chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c.p.c., di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare dei termine ordinario o della propria acquiescenza, integra una disposizione rivolta a rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale (in senso conforme, tra le tante, Cass., n. 20040/2015, n. 6470/2012, n. 2126/2006, e n. 6311/1988, la quale ha superato il precedente orientamento che riteneva possibile l'impugnazione incidentale tardiva solo in quanto rimanesse nell'ambito del capo investito dall'impugnazione principale o riguardasse un capo connesso con quest'ultimo o da esso dipendente);
che questa Corte ha altresì precisato che, "in base al combinato disposto degli art. 334, 343 e 371 c.p.c., è ammessa l'impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l'atto di costituzione dell'appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l'impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l'interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni;
l'unica conseguenza sfavorevole dell'impugnazione cosiddetta tardiva è che essa perde efficacia se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile" (Cass.n. 15483/2008 e, più di recente, Cass. n. 14609/2014);
che, dunque, mentre i termini di costituzione di cui agli artt. 343 e 371 c.p.c., all'interno, rispettivamente, del processo di appello e di quello per cassazione, non possono mai essere superati (pena l'inammissibilità dell'impugnazione incidentale), i termini per impugnare possono essere superati, secondo quanto prevede l'art. 334 c.p.c., comma 1, nell'ipotesi della soccombenza parziale reciproca, ed in quella del litisconsorzio di cui all'art. 331 c.p.c., laddove la prima eccezione è giustificata da ragioni di equità, a garanzia della parità delle parti e della effettività dell'esercizio del diritto di difesa, mentre la seconda è dovuta alla indissolubilità del rapporto plurilaterale dedotto in giudizio, per cui la impugnazione proposta nei termini nei confronti di uno dei litisconsorti, salva il termine nei confronti di tutti, e quindi consente sempre la impugnazione, anche fuori termine, degli altri;
che l'appello incidentale tardivo è senza dubbio proponibile anche nel processo tributario, sia perché l'art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, richiama per le impugnazioni le norme processuali civili con la sola esclusione dell'art. 337 c. p.c., sia perché l'art. 54 del citato d.lgs., norma che disciplina espressamente l'appello incidentale tributario, non contiene alcuna limitazione di sorta in ordine ai contenuti di questo strumento di difesa (Cass. n. 11080/2008, n. 11349/2001);
che, come già detto, mentre l'appello incidentale proposto tempestivamente gode di autonomia rispetto all'appello principale, non essendo condizionato dall'ammissibilità di quest'ultimo (Cass. n. 8154/2003 nell'ambito del processo civile), l'appello incidentale tardivo, al contrario, è strettamente dipendente dall'appello principale, ripercuotendosi la inammissibilità di quest'ultimo sulla ammissibilità del primo (Cass. n. 14609/2014, n. 15483/2008), atteso che, ai sensi dell'art. 334 c.p.c., comma 2, "se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia";
che, pertanto, la parte ove intenda ottenere, incondizionatamente, una decisione sulla propria impugnazione, deve proporre impugnazione tempestiva, e se non ha esercitato tale potere, implicitamente, ha inteso accettare il rischio del passaggio in giudicato della sentenza già emessa, ed allora vale il principio del favor iudicati, e non può dolersi della mancata decisione della impugnazione tardivamente proposta;
che, dunque, la ratio che si ricava dal sistema delle impugnazioni è quella di consentire alla parte che avrebbe di per sé accettato la sentenza di primo grado, di contrastare, con l'impugnazione tardiva, l'iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione il rapporto controverso e, quindi, l'assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata (Cass. n. 1879/2018), senza subire pregiudizio nell'apprestamento delle proprie difese dall'iniziativa di controparte, la quale abbia - magari - impugnato la sentenza nell'ultimo giorno di scadenza del termine all'uopo consentito;
che, diversamente opinando, ciascuna parte sarebbe costretta ad effettuare una impugnazione "cautelativa", sul capo autonomo rispetto al quale è rimasta soccombente, cosa che darebbe adito ad una proliferazione di processi di impugnazione, viceversa evitabile se ciascuna parte sa di poter impugnare anche se ha fatto acquiescenza, o siano decorsi i termini, qualora sia l'altra ad impugnare, rimettendo in discussione l'equilibrio della intera sentenza;
che, pertanto, ferme le esigenze legate alla stabilità del giudicato ed alla formazione di esso all'interno del processo, è bene ribadire che l'istituto della impugnazione incidentale tardiva garantisce, in attesa della decisione da cui dipende la definitiva regolamentazione degli interessi dedotti dalle parti in causa, un ragionevole bilanciamento delle facoltà processuali delle parti, nella ottica della cosiddetta parità delle armi, ed evita l'inutile moltiplicazione dei giudizi, che produrrebbe un effetto inflattivo confliggente con l'obiettivo - costituzionalizzato - della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.);
che, nella fattispecie in esame, l'impugnazione si è svolta tra due sole parti, in situazione di reciproca soccombenza, sicché era senz'altro consentito alla contribuente, contro la quale era stata proposta impugnazione erariale, di proporre l'impugnazione incidentale - c.d. controimpugnazione - senza limiti oggettivi, potendo essa investire qualsiasi capo della sentenza, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale (Cass. n. 6470/2012, n. 1120/2014);
che l'impugnazione incidentale tardiva soggiace, invece, a limiti soggettivi, per cui è preclusa alle parti non necessarie, a cui l'impugnazione sia stata notificata nelle cause scindibili a norma dell'art. 332 c.p.c., nonché verso le stesse parti, atteso che nessun ostacolo giuridico o logico impedisce il passaggio in giudicato della sentenza rispetto ad una (o alcune) delle parti, nonostante l'impugnazione ad opera di un'altra (o di più altre) delle parti stesse, per cui ciascuna parte di ogni singolo rapporto controverso è tenuta ad impugnarla per evitare la formazione del giudicato in relazione al rapporto che la concerne;che è proprio in tale ambito che si registrano, nella molteplicità e diversità delle situazioni esaminate, precedenti giurisprudenziali non sempre univoci (Cass. n. 23396/2015, contra Cass. n. 1120/2014), ma si tratta di questione all'evidenza estranea al thema decidendum, per cui non è necessario intrattenersi oltre sull'argomento;
che, nella fattispecie in esame, per effetto della sentenza n. 305/8/07 della CTP di Avellino, pronunciata il 26/9/2007 e depositata V1/1/10/2007, stante la soccombenza 7( reciproca dell'Ufficio e della Montefuscoli, entrambe le parti erano portatrici di un interesse ad appellare, ma il termine lungo (artt. 38, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992 e 327 c.p.c.) per proporre l'impugnazione principale, considerata anche la sospensione feriale, era già decorso allorché la contribuente, con l'atto contenente "Controdeduzioni e Appello incidentale", notificato (26-28/1/2009) a mezzo del servizio postale, all'appellante Ufficio, ha proposto l'impugnazione incidentale che, dunque, è senz'altro tardiva;
che, come già detto, la ricorrente Agenzia delle Entrate non ha inteso porre in discussione il capo della sentenza di secondo grado che ha deciso la questione, dal giudice di appello ritenuta "assorbente" (il che esclude, per quanto possa occorrere, l'ipotesi della coesistenza di più rationes decidendí), che concerne il difetto di autorizzazione alla proposizione dell'appello ex art. 52, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 (nel testo ratione temporis applicabile), e rispetto all'esame di tale questione neppure può ravvisarsi un interesse dell'appellante incidentale (tardivo), in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un eventuale ricorso per cassazione contro la declaratoria di inammissibilità dell'appello principale sarebbe, in ogni caso, inammissibile (Cass. n. 14558/2012);
che neppure ha pregio il riferimento, contenuto nel controricorso, alla diversità delle categorie dell'inammissibilità e dell'improcedibilità, atteso che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9741/2008, dando seguito all'orientamento giurisprudenziale secondo cui la regola enunciata nell'art. 334 c.p.c., comma 2, a norma del quale l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia in caso di inammissibilità dell'impugnazione principale, si applica anche nel caso in cui il ricorso sia dichiarato improcedibile, hanno confermato la conclusione che si regge però non sull'applicazione analogica della disposizione sopra richiamata, bensì su una "interpretazione logico-sistematica dell'ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un'impugnazione (tra l'altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità";
che, pertanto, alla declaratoria di inammissibilità dell'appello principale, proposto dall'Ufficio, è conseguito il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, per cui il giudice di appello non avrebbe potuto esaminare nel merito la controversia oggetto di gravame principale ed incidentale, proprio in forza della sopra ricordata regola fissata dall'art. 334 c.p.c., comma 2, e neppure avrebbe potuto accogliere l'appello incidentale tardivo della contribuente, in ragione del giudicato;
che, in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata, e la causa decisa nel senso che deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'appello principale dell'Ufficio, e di quello incidentale tardivo della contribuente, per cui restano ferme le statuizioni della decisione di primo grado, che ha parzialmente accolto il ricorso originario della contribuente;
che, tenuto conto delle particolarità della fattispecie e deprogressiva evoluzione della richiamata giurisprudenza, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del grado di merito e del giudizio di legittimità;
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