Cass. civ., sez. V trib., sentenza 26/10/2012, n. 18447
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L'applicazione della causa di estinzione del processo tributario, introdotta dall'art. 3, comma secondo bis, lett. b), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, mediante pagamento del cinque per cento dell'importo della controversia, si produce, per espresso disposto di legge, soltanto a seguito di attestazione degli Uffici dell'Amministrazione finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza ed il pagamento integrale di quanto dovuto. Il rifiuto di tale attestazione o l'attestazione negativa possono essere oggetto di sindacato da parte della Corte di cassazione perché la legge, da un lato, prevede che l'istanza di estinzione del giudizio è presentata dal contribuente alla Cancelleria della Corte, la quale è quindi direttamente investita delle questioni attinenti alla sussistenza delle condizioni necessarie per la produzione di tale effetto, e, dall'altro, mira ad impedire l'ulteriore violazione del principio di ragionevole durata del processo, che, però, si verificherebbe se il rifiuto di attestazione o l'attestazione negativa dovessero essere autonomamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale.
L'applicazione della causa di estinzione del processo tributario, introdotta dall'art. 3, comma secondo bis, lett. b), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, mediante pagamento del cinque per cento dell'importo della controversia, presuppone, per l'espresso dettato normativo, non solo la pendenza della lite da oltre dieci anni, ma anche la soccombenza totale dell'Amministrazione in entrambi i precedenti gradi di giudizio. Ne consegue che la suddetta causa di estinzione non opera quando il giudizio di appello si sia concluso con pronuncia di parziale riforma della decisione di primo grado per vizio di extrapetizione, in quanto questo, pur non essendo riferibile all'iniziativa del contribuente, determina comunque l'interesse ad impugnare da parte dell'Amministrazione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario - Presidente -
Dott. GRECO Antonio - Consigliere -
Dott. OLIVIERI Stefano - rel. Consigliere -
Dott. CIGNA Mario - Consigliere -
Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11414/2006 proposto da:
MINISTERO DELL'ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del. Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- ricorrenti -
contro
RAS SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 9-11, presso lo studio dell'avvocato SALVINI LIVIA, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 23/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 17/02/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/09/2012 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l'Avvocato GENTILI, che ha chiesto l'accoglimento;
udito per il controricorrente l'Avvocato SALVINI, che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con avviso di accertamento ai fini IRPEG ed ILOR notificato alla società Lavoro e Sicurtà di Assi e Riass.ni s.p.a. (incorporata nel corso del giudizio in RAS s.p.a., successivamente denominata Riunione Adriatica di Sicurtà Holding s.p.a. ed incorporata per fusione nella società Alleanza SE come da atto 3.10.2006) venivano recuperati ad imponibile, per l'anno 1992, costi ritenuti indeducibili in quanto non documentati (Euro 5.164.67) e spese generali (accantonamenti a riserva matematica per Euro 113.394.25) in quanto portate in deduzione integralmente (con riferimento tanto alle somme derivanti da incasso dei premi assicurativi - che concorrevano alla formazione del reddito -, quanto alle somme derivanti dai proventi dell'impiego finanziario dei premi - interessi non concorrenti alla formazione del reddito-) anziché nei limiti della proporzione tra ricavi imponibili ed esenti come previsto dall'art. 75, comma 5, T.U.I.R., nel testo vigente "ratione temporis".
La decisione della CTP di Milano n. 250 del 2001, che aveva disposto l'annullamento dell'avviso, è stata parzialmente riformata dalla CTR lombarda con sentenza 17.2.2005 n. 23. I Giudici territoriali:
1- hanno accolto il motivo di gravame dell'Ufficio concernente il vizio di extrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui si era pronunciata, in assenza di domanda del contribuente, sulla illegittimità della ripresa concernente i costi non ammessi in deduzione per mancanza di documentazione;
2 - hanno invece rigettato il secondo motivo di gravame dell'Ufficio, richiamandosi al precedente di questa Corte 23.10.2003 n. 15935 ed alle successive pronunce conformi, che avevano evidenziato la natura peculiare di "ricavi sospesi" delle somme accantonate ex lege, non riconducibili pertanto alla disciplina normativa generale della deducibilità delle spese e degli oneri connesse alla realizzazione di ricavi, e dunque integralmente deducibili - indipendentemente dalla fonte di produzione - in quanto da considerare componenti passivi di reddito. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate ed il Ministero della Economia e delle Finanze, con atto notificato il 4.4.2006, deducendo con un unico motivo la violazione di norme di diritto.
Ha resistito con controricorso la società chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza del motivo.
In pendenza del presente giudizio la società contribuente ha presentato istanza di definizione della lite ai sensi del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 bis, lett. b), conv. in L. 22 marzo 2010, n. 73, che e stata ritenuta "irregolare" dalla Agenzia
delle Entrate in quanto proposta in carenza del presupposto della soccombenza della Amministrazione finanziaria in entrambi i gradi del giudizio di merito.
La società ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., con la quale ha eccepito, in via preliminare, la estinzione del giudizio ex L. n. 73 del 2010, rilevando che l'errore di definizione del "thema decidendum" in cui era incorso il primo giudice non poteva risolversi in pregiudizio del contribuente precludendogli l'accesso alla forma di definizione agevolata della lite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni pregiudiziali.
1.1. Deve essere preliminarmente dichiarata ex officio l'inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l'Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione Lombardia ed introdotto con ricorso proposto dall'Ufficio di Milano della Agenzia delle Entrate in data successiva all'1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l'Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3, (cfr. Corte Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
Non avendo il ricorso proposto dal Ministero comportato aggravio di attività difensiva si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
1.2 La società resistente ha eccepito la estinzione del giudizio ai sensi del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3 comma 2 bis, lett. b), conv. in L. 22 marzo 2010, n. 73, contestando l'assunto della Agenzia delle Entrate della assenza del presupposto della soccombenza nei primi due gradi di giudizio, in quanto l'accoglimento da parte della CTR lombarda del motivo di gravame dell'Ufficio concernente il vizio di extrapetizione non implicava soccombenza della società contribuente, non avendo questa contribuito in alcun modo a determinare l'errore commesso dai Giudici di prime cure. La eccezione è infondata.
Con il D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3 comma 2 bis, conv. in L. 22 maggio 2010, n. 73, il Legislatore ha inteso incidere, in materia di
tributi erariali, sulle situazioni processuali eccessivamente protrattesi nel tempo ("controversie tributarie pendenti ... da oltre dieci anni") in quanto suscettive di violare il "principio di ragionevole durata del processo" di cui all'art. 6 paragr. 1 CEDU (Concezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), principio che ha trovato anche fondamento costituzionale nell'art. 111 Cost., comma 2. La norma in esame distingue le controversie (escluse quelle aventi a oggetto istanze di rimborso) pendenti avanti la Commissione tributaria centrale - comma 2 bis, lett. a) - per le quali è prevista la "definizione automatica" (non rilevano ai fini de presente giudizio le successive modifiche introdotte dal D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, art. 29, comma 16 decies, conv. in L. 24 febbraio 2012, n. 14), e le controversie pendenti avanti la Corte di
cassazione in ordine alle quali viene introdotta una forma agevolata di definizione delle lite, strutturata secondo uno schema analogo a quello del negozio transattivo, in quanto fondata sul presupposto della incertezza dell'esito della lite pendente ("res dubia") e caratterizzata da concessioni reciproche ("aliquid datum, aliquid retentum"): ed infatti l'Erario rinuncia a far valere l'originaria pretesa, desistendo dalla prosecuzione del giudizio, rimanendo soddisfatto con "il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia" e con la rinuncia da parte del contribuente a far valere eventuali pretese indennitarie ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89;
il contribuente estingue il rapporto tributario versando
una minore imposta rispetto a quella vantata dall'Erario e rinunciando ad azionare eventuali pretese per il pregiudizio sofferto dalla eccessiva durata del giudizio.
Peculiare elemento dello schema procedimentale transattivo è costituito dalla predeterminazione normativa della "res dubia" secondo un criterio oggettivo - volto a sottrarre, alle parti del rapporto tributario, qualsiasi ambito discrezionale di esercizio del potere dispositivo, e volto altresì a prevenire possibili dubbi interpretativi del Giudice in ordine alla individuazione delle liti definibili - ancorato alla duplice soccombenza della Amministrazione finanziaria dello Stato "nei primi due gradi di giudizio". Tenuto conto che la estinzione del giudizio non si produce automaticamente per effetto del pagamento della somma e della manifestazione di rinuncia del contribuente ad eventuali pretese di equa riparazione ("a tal fine il contribuente può presentare apposita istanza alla competente segreteria o cancelleria entro novanta giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione ilei presente decreto con attestazione del relativo pagamento": D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 2 bis, lett. b), ma soltanto "a seguito
di attestazione degli uffici della amministrazione finanziaria comprovanti la regolarità della istanza ed il pagamento integrale di quanto dovuto" (cfr. ultimo periodo dell'art. 3, comma 2 bis, aggiunto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 48 ter, conv. in L. n. 122 del 2010), secondo uno schema procedimentale mutuato dalla disciplina del
condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 8, si potrebbe profilare il dubbio della diretta sindacabilità da parte della Corte - ex officio o su richiesta di parte - della "attestazione negativa" od anche del silenzio serbato dagli uffici della Amministrazione finanziaria in ordine alla istanza presentata dal contribuente, avuto riguardo: a) alla natura dell'atto di attestazione negativa o della condotta significativa (silenzio - rifiuto) che ne imporrebbe, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.19, comma 1, lett. h), la autonoma