Cass. pen., sez. VII, ordinanza 19/10/2018, n. 47631

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VII, ordinanza 19/10/2018, n. 47631
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 47631
Data del deposito : 19 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: PIZZUTO FILIPPO nato a SANT'AGATA DI MILITELLO il 11/10/1978 avverso la sentenza del 06/10/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZEdato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere SERGIO DI P;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di FIRENZE, con sentenza in data 06/10/2016, 'parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di PISTOIA, in data 13/12/2011, nei confronti di PIZZUTO FILIPPO (assolvedo l'imputato dall'imputazione di cui all'art. 485 cod. pen., per non esser il fatto previsto dalla legge come reato) confermava la condanna in relazione ai reati di cui agli artt. 81, comma 2, 61, n. 11 e 640 cod. pen. ;
167, comma 1 e 2 d. Igs. 167/2003 Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo con i seguenti motivi: con il primo motivo di ricorso, vizio di motivazione, per travisamento della prova, con riferimento alla ritenuta responsabilità dell'imputato;
la sentenza non avrebbe tenuto conto dell'esistenza di dati di prova (l'espressa indicazione del nominativo dell'imputato sui falsi contratti, come destinatario dei telefoni cellulari fraudolentemente ricevuti;
il mancato riconoscimento dell'imputato da parte delle persone offese, l'indicazione di differenti soggetti che potevano aver carpito i dati delle vittime, attraverso la stipulazione di altri contratti di fornitura) che escludevano l'attribubilità delle condotte di reato all'imputato;
con il secondo motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione con riferimento al mancato esame delle censure formulate con l'atto di appello, per le medesimo ragioni esposte con il primo motivo di ricorso. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una 'rilettura' degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944;
Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. Del resto, la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. E' stato ulteriormente precisato che la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile 'ictu oculi', dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099). Il ricorrente, al contrario, assume che la sentenza abbia d'un lato travisato non le prove, ma i fatti da esse desunti e abbia omesso conseguentemente di considerare le censure formulate;
al contrario, la Corte ha- condiviso il giudizio della sentenza di primo grado, sottolinenando i dati rilevanti (l'esser l'imputato procacciatore per società che erano concessionarie della compagnia telefonica con cui risultarono stipulati i falsi contratti;
l'esser al tempo stesso procacciatore di contratti per un'azienda di fornitura di energia elettrica;
l'esser coincisa la conclusione dei contratti con il gestore telefonico con la visita, presso più persone offese, di incaricati del gestore di energia elettrica per cui operava l'imputato;
l'espressa indicazione sui contratti del gestore telefoncio del nome dell'imputato, quale destinatario della ricezione degli apparecchi telefonici provento delle condotte truffaldine) che avevano consentito di ritenere raggiunta la prova della responsabilità , restando confinata sul piano puramente teorico (e non quindi su quello del ragionevole dubbio) che altri soggetti potessero aver realizzato le condotte, perlatro utilizzando inspiegabilmente le generalità dell'imputato per ricevere la merce. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
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