Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/09/2022, n. 26395

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/09/2022, n. 26395
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26395
Data del deposito : 7 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso 25144-2019 proposto da: CSP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G.

FARAVELLI

22, presso lo studio dell'avvocato A M, che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

D L A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO

172, presso lo studio dell'avvocato P L P, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2876/2019 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2019 R.G.N. 3885/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2022 dal Consigliere Dott. F A;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R S visto l'art. 23, comma 8 bis del Oggetto LICENZIAMENTO RITORSIVO R.G.N. 25144/2019 Cron. Rep. Ud. 11/07/2022 PU D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex legen. 92 del 2012, ha riformato la pronuncia di primo grado ed ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad A D L, in data 27 febbraio 2017, dalla CSP S.p.A., condannando quest’ultima alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a tutte le retribuzioni globali di fatto dal recesso all’effettiva reintegra, oltre accessori e spese;

2. La Co rte, per quanto qui rileva, ha preliminarmente rilevato che la società, nel riproporre l’eccezione di inammissibilità delle “domande di parte ricorrente di impugnativa del trasferimento e del licenziamento proposte in unico ricorso, con rito ex art. 1, comma 48, della l. n. 92 del 2012”, “non deduce e non evidenzia che dall’adozione del rito Fornero anche per la domanda relativa al trasferimento, sia derivata una lesione al proprio diritto di difesa”.

3.La Corte d’appello ha poi ritenuto sussistenti indici presuntivi che facessero ritenere il trasferimento del Di Leo operato dalla società nullo perché ritorsivo, con la conseguenza che “la contestata assenza ingiustificata, che ha costituito il fondamento dell’intimato licenziamento, tale non può essere qualificata essendo dovuta ad un legittimo esercizio del potere di autotutela contrattuale, esercitato dal prestatore di lavoro ex art. 1460 c.c.”;
la Corte ne ha tratto l’ulteriore conseguenza che “l’impugnato licenziamento deve ritenersi affetto dal medesimo intento ritorsivo”.

4. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la CSP S.p.A., affidando l'impugnazione a due motivi, cui ha resistito l’intimato con controricorso.

5. In prossimità della pubblica udienza il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. La difesa della ricorrente ha comunicato memoria con cui ha dichiarato che la società è stata dichiarata fallita.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre rilevare che, nell'ambito del giudizio di cassazione, dominato dall'impulso d'ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (v. tra le tante: Cass. n. 27143 del 2017;
Cass.n. 7477 del 2017;
Cass. n. 21153 del 2010;
Cass. n. 3630 del 2021;
Cass. n. 15928 del 2021), tra le quali il fallimento della parte.

2. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 47 e 48, l. n. 92 del 2012, sostenendo che la Corte di Appello “avrebbe dovuto dichiarare sin da subito inammissibile la domanda tesa ad accertare la nullità/inefficacia o illegittimità del trasferimento”, in quanto introdotta in un procedimento riservato esclusivamente ad accertare la legittimità o meno di licenziamenti in regime di stabilità reale;
secondo parte ricorrente vi sarebbe stata “una compressione del diritto di difesa della società, trattandosi il procedimento cd. ‘Fornero’ di un giudizio sommario che, per sua stessa natura, non è a cognizione piena”. La censura non merita accoglimento. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, “l'inesattezza del rito non determina di per sé la nullità della sentenza” (tra molte, proprio avuto riguardo alla disciplina della l. n. 92 del 2012: Cass.n. 12094 del 2016;
conf. Cass. n. 15084 del 2018) La violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell'ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942 del 2008;
Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009;
Cass. n. 22325 del 2014;
Cass. n. 1448 del 2015). Perché la violazione assuma rilevanza invalidante occorre, infatti, che la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso. Ciò perché l'individuazione del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma soltanto nella sua idoneità ad incidere apprezzabilmente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali della parte. La società, invece, non solo non specifica i contenuti dell’atto di costituzione in appello in cui avrebbe illustrato le lesioni inferte al suo diritto di difesa, ma ancora in ricorso prospetta, quale pregiudizio derivante dall’errore sul rito, la mera circostanza della “sommarietà” del giudizio. All’evidenza si tratta di un aspetto che non denuncia una concreta e specifica lesione del diritto di difesa, per cui nella sostanza la società si limita ad invocare una mera violazione della legge processuale, con una concezione del processo volta a ricollegare il danno processuale alla mera irregolarità, concezione avulsa dai parametri, oggi recepiti anche in ambito costituzionale e sovranazionale, di effettività, funzionalità e celerità dei modelli procedurali (v. Cass. n. 4506 del 2016).
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