Cass. civ., sez. III, sentenza 24/11/2021, n. 36495

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 24/11/2021, n. 36495
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36495
Data del deposito : 24 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

SENTENZA sul ricorso 5162-2019 proposto da: ITALFONDIARIO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MANLIO TORQUATO

10, presso lo studio dell'avvocato M S, rappresentato e difeso dall'avvocato D C;

- ricorrente -

17381738

contro

MANCINI DONATELLA, DRAGONETTI VINCENZO, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA PIO XI

62, presso lo studio dell'avvocato F D V, rappresentati e difesi dall'avvocato N V;

- controricorrenti -

avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di TRANI, depositata il 19/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. P P;

Considerato che

Italfondiario, s.p.a., ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, corredati da memoria, avverso l'ordinanza di rigetto adottata dal Tribunale di Trani sul reclamo avverso l'omologa dell'accordo di cui all'art. 12 della legge n. 3 del 2012, pronunciata in esito alla proposta del piano avanzata, quali consumatori sovraindebitati, da D M e V D;
Italfondiario esponeva che: era procuratrice di Intesa Sanpaolo, s.p.a., che era subentrata nei crediti vantati, nei confronti dei menzionati debitori, dal Banco di Napoli, s.p.a., incorporato per fusione;
il piano, nonostante l'opposizione della deducente, quale principale creditrice, era stato omologato in violazione dei criteri legali di meritevolezza e convenienza, secondo quanto dedotto con il richiamato reclamo;
sul rientro previsto in undici anni era infatti stata inoltre applicata, riguardo all'istituto di credito, una falcidia del 35%, neppure correttamente calcolata sul residuo del ricavato dall'espropriazione immobiliare promossa in ragione del mutuo contratto da Mancini, assieme alla sorella Arianna, per l'acquisto di un cespite strumentale all'azienda di quest'ultima, nonostante la già intervenuta contrazione di un altro mutuo fondiario per acquisto prima casa, con accollo di quello assunto con il Banco di Napoli dall'allora costruttore;
resistono con controricorso D M e V D;
il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte;
la trattazione in pubblica udienza è avvenuta ai sensi dell'art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n.137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020;
Rilevato che con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 12-bis, commi 3 e 4, della legge n. 3 del 2012, poiché il Tribunale avrebbe omesso di vagliare il motivo di reclamo, tenuto conto che:il Tomaificio Arianna, azienda dalla quale Dragonetti era stato licenziato, svolgeva attività nell'immobile acquistato da D M, moglie del primo, e Stefania Mancini, sorella di quest'ultima;
era legittimo ritenere che Dragonetti, in ragione del rapporto di parentela, fosse a conoscenza della crisi finanziaria in cui versava l'azienda, che non poteva essersi verificata improvvisamente e che aveva portato al licenziamento;
il mutuo delle sorelle Mancini era stato contratto il 31 marzo 2007, mentre l'accollo del mutuo per l'appartamento di residenza era dein gennaio 2008, sicché, in poco meno di un anno, erano stati assunti debiti per 143.500,00 euro il primo e 173.000,00 il secondo, che si aggiungevano al finanziamento chirografario contratto, per 35.000,00, con altro creditore prima dei mutui, essendo evidente che la crisi finanziaria era stata consapevolmente e colposamente determinata, con conseguente carenza del requisito di rneritevolezza previsto per l'omologa del piano di rientro a stralcio;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 12-bis, comma 3, e dell'art. 7 della legge n. 3 del 2012, poiché il Tribunale avrebbe errato mancando di considerare che: nell'attestazione ex art. 9, comma 3-bis, della legge n. 3 del 2012, era riportato che i debitori avevano affermato la totale preclusione alla vendita dell'immobile nel quadro della procedura;
l'immobile era stato indicato come di valore di poco superiore ai 150.000,00 euro, pur ritenendo eccessivo quello indicato dal consulente del giudice dell'esecuzione, pari a oltre 223.000,00 euro;
in ogni caso, la volontà di non soddisfare i creditori, e locupletare attraverso la proposta poi omologata illegittimamente, era evidente;
costituiva fatto notorio che il cespite, subendo ribassi, avrebbe suscitato l'interesse di potenziali acquirenti che, con il meccanismo della gara, avrebbero potuto determinare un realizzo maggiore, con conseguente carenza del requisito della convenienza previsto per l'omologa;
il piano aveva una durata eccessiva e irragionevole;D M era debitrice solidale con la sorella, e non al 50%, sicché la percentuale di recupero del credito non era del 65% ma inferiore al 20%;
Rilevato che deve dirsi preliminarmente ammissibile il ricorso ex art. 111, Cost., avverso il rigetto del reclamo sull'omologa del piano di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore;
l'art. 12, comma 2, della legge n. 3 del 2012 richiama, sul punto, infatti, la disciplina degli artt. 737 e seguenti, cod. proc. civ., e pertanto l'art. 739, terzo comma, cod. proc. civ.;
questa Corte ha già affermato, per omologhe ragioni, l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il rigetto del reclamo proposto nei confronti del provvedimento con cui il Tribunale abbia respinto l'istanza di omologazione del piano proposto dal consumatore nell'ambito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, in quanto provvedimento dotato del requisito della definitività - non essendo revocabile in dubbio che lo stesso sia non altrimenti impugnabile - e di quello della decisorietà (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4451, Cass., 10/04/2019, n. 10095);
nel residuo merito cassatorio vale quanto segue;
il ricorso è complessivamente inammissibile, per violazione dell'art. 366, nn. sia 3 che 6, cod. proc. civ.;
il gravame non chiarisce in quali termini e con quali specifiche ragioni sarebbe stata dedotta, nel reclamo, l'assenza di meritevolezza e di convenienza del piano, di cui discute sia riferendo la vicenda sia articolando i motivi;
né vengono sintetizzate idoneamente e compiutamente le ragioni decisorie del provvedimento gravato, eccetto che per l'assenza di ipotesi liquidatorie dei beni più fruttuose di quanto proposto con il piano (in riferimento al requisito del c.d. "cram down" stabilito dall'art. 12, comma 2, secondo periodo, dello stesso art. 12 della legge n. 3 del 2012);si tratta, logicamente, di un fatto processuale essenziale perché rende possibile valutare la novità - e quindi inammissibilità - o meno delle questioni dedotte con il ricorso per cassazione;
a quanto sopra si correla la reiterata violazione dell'art. 366, n. 6, cod. proc. civ., che connota i due connessi motivi di ricorso;
non è dato sapere quando, in quale specifico atto processuale, e dove collocato nel fascicolo all'attenzione di questa Corte, siano state dedotte le circostanze storiche esposte nella prima censura;
di queste circostanze i motivi, per come formulati, chiedono peraltro una rilettura in fatto che sarebbe stata come tale ulteriormente inammissibile, ferma rimanendo che l'impossibilità di comprendere esattamente il percorso decisorio del Tribunale secondo quanto sopra anticipato evidenziando la violazione dell'art. 366 n. 3, cod. proc. civ.;
la seconda censura, poi, reitera le medesime violazioni, adducendo fatti di cui non è dato sapere il modo e tempo della deduzione nella fase di merito, e richiamando atti processuali (l'attestazione peritale sottesa all'omologa e la consulenza tecnica officiosa in sede esecutiva) di cui si sconosce la collocazione e pure il compiuto tenore;
ne deriva l'anticipata inammissibilità;
spese secondo soccombenza;
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi