Cass. civ., sez. V trib., sentenza 08/02/2023, n. 3880
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Testo completo
A.A. ricorreva avverso nove distinti avvisi di accertamento con i quali per le annualità dal 2002 al 2005 erano rideterminati i tributi reddituali e l'iva a seguito dell'attività istruttoria svolta dall'Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti internazionali della Direzione centrale accertamento dell'Agenzia delle entrate, in forza del materiale probatorio sequestrato all'avvocato svizzero B.B. sottoposto a procedimento penale e attinto da misura cautelare personale per fatti di riciclaggio.
La CTP accoglieva i ricorsi sia ritenendo inapplicabile il cosiddetto raddoppio dei termini di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 37 , come convertito in Legge, sia ritenendo fondate le censure di insufficiente motivazione degli atti impugnati, carenza probatoria e difetto di istruttoria oltre che di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 . L'Amministrazione finanziaria proponeva appello;
nelle more del giudizio il contribuente decedeva e si costituiva nel giudizio il curatore dell'eredità giacente.
Con la pronuncia gravata di fronte a questa Corte la CT della Liguria ha accolto gli appelli riuniti proposti dall'Agenzia delle entrate e dichiarate non dovute alle sanzioni in forza del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8 .
Ricorre a questa Corte la curatela dell'eredità giacente di A.A. con ricorso affidato a tredici motivi illustrati da memoria;
l'Amministrazione finanziaria è resistente, avendo unicamente depositato atto di costituzione in vista della pubblica udienza.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 ;
la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11 ;
il difetto di sottoscrizione del ricorso in appello proposto dall'Agenzia delle entrate, per avere il giudice dell'appello erroneamente rigettato l'eccezione proposta dal contribuente quanto al vizio dell'atto di appello poichè difettoso nella sottoscrizione del funzionario, apposta da soggetto privo di legittimazione.
Il motivo è infondato.
Invero, questa Corte ha più volte chiarito come ( Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2138 del 25/01/2019 ) nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell'Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66 , sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore, senza necessità di una speciale procura, salvo che ne sia eccepita e provata la non appartenenza all'Ufficio ovvero l'usurpazione del potere, circostanze queste che in questo caso non si verificano nè sono state dedotte da parte ricorrente.
Ancora, si è ribadito ulteriormente sul punto come ( Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27570 del 30/10/2018 ) se nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell'Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione n. 4 del 2000, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66 , sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio, detti enti possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altro soggetto delegato, anche ove non sia esibita in favore di quest'ultimo una specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio, dovendosi altrimenti presumere che l'atto provenga dallo stesso e ne esprima la volontà. E nel presente caso non è stato mai eccepito quanto sopra.
Il secondo motivo censura la pronuncia impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4 , relativamente al difetto di specificità del ricorso in appello proposto dall'Agenzia delle entrate, per avere la CT mancato di dichiarare inammissibile l'appello dell'Ufficio in quanto contenente motivi privi di specificità.
Il motivo è infondato.
Va dapprima ricordato che secondo questa Corte ( Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32838 del 19/12/2018 ) nel processo tributario, stante il carattere devolutivo pieno dell'appello volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l'onere di impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 non impone all'appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell'impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto.
Quanto poi al profilo qui dedotto, va fatta applicazione della ulteriore e sempre coerente giurisprudenza, del tutto consolidata, secondo la quale (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 30525 del 23/11/2018 ) nel processo tributario, la riproposizione, a supporto dell'appello - in quel caso proposto dal contribuente - delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l'onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 , atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell'appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito.
E la prova ulteriore, in questo caso, della specificità dei motivi, si ritrova anche ella stessa sentenza impugnata, il cui contenuto motivazionale tratta e affronta le questioni da tali mezzi sollevate, la cui soluzione - per i termini puntuali e precisi in cui è resa - dimostra la specificità dei motivi di gravame proposti.
Il terzo motivo si incentra, ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , sulla violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 ;
del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 , dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011 per avere il giudice dell'appello mancato di compiere un effettivo accertamento circa la sussistenza degli elementi minimi (il c.d. "fumus") richiesti dall' art. 331 c.p.p. per l'insorgere dell'obbligo di denuncia, con ciò ritenendo erroneamente operante il cosiddetto "raddoppio" dei termini per l'accertamento.
La presente censura può esaminarsi congiuntamente con il successivo quarto motivo di ricorso, che critica la pronuncia gravata ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 per violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. , del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 ;
del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 , per avere la CT mancato di ricostruire l'iter logico-argomentativo posto alla base della decisione relativa alla sussistenza del fumus del reato idonea a produrre raddoppio dei termini di accertamento, senza quindi indicare gli elementi indiziari valorizzati a tale fine nelle condotte per tale via accertate nè tanto meno le fattispecie criminose integrate da tali condotte.
I motivi sono fondati limitatamente all'IRAP, mentre risultano infondati quanto alle pretese per tutti gli altri tributi.
Va in primo luogo, in linea generale, qui confermato quanto ancora di recente ribadito da questa Corte, nel solco di una ferma giurisprudenza secondo la quale (in termini tra molte si vedano Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27250 del 15/09/2022 ;
ma anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24576 del 09/08/2022 ) in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini, previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 , nel testo vigente ratione temporis, presuppone la sussistenza dell'obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall'esito del relativo procedimento penale e nonostante l'eventuale estinzione del reato per archiviazione della denuncia, rilevando solo l'astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime del "doppio binario" tra giudizio penale e procedimento tributario.
In ogni caso, qui la CT ha peraltro accertato la avvenuta presentazione della denuncia (pag. 11 della sentenza impugnata, primo periodo). Nondimeno, va però rilevato che tali considerazioni trovano applicazione con riguardo ai tributi per l'accertamento dei quali, nei casi previsti come più gravi, il legislatore ha ritenuto opportuno porre a presidio dell'attività di controllo anche sanzioni limitative della libertà personale.
Questa Corte sul punto ha infatti precisato come (in argomento si vedano Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 10483 del 03/05/2018;
Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 4742 del 24/02/2020 ) in tema di accertamento, il c.d. "raddoppio dei termini", previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 , non può trovare applicazione anche per l'IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali.
Conseguentemente, la CT ha commesso errore di diritto in quanto ha ritenuto, in concreto, operante il c.d. "raddoppio" in parola per tutti i tributi oggetto di accertamento, mentre in realtà esso non opera per le somme dovute a titolo di IRAP. La sentenza, quindi va cassata limitatamente al profilo qui oggetto di accoglimento, vale a dire in relazione ai recuperi per IRAP. Il quinto motivo di impugnazione, ancora ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , denuncia la violazione e/o