Cass. civ., sez. II, sentenza 08/09/2005, n. 17866
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La declaratoria di sopravvenuta inefficacia ex art. 669 "novies" cod. proc. civ. va adottata, all'esito di un giudizio di cognizione svoltosi nelle ordinarie forme contenziose, dall'ufficio di appartenenza del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, nell'ordinaria composizione monocratica, non essendo al riguardo necessaria la designazione di un magistrato diverso da quello che ha emesso il provvedimento cautelare, non trattandosi di reclamo o di impugnazione, bensì di giudizio volto ad accertare la persistente attualità ed efficacia del provvedimento adottato, ai fini dell'eventuale pronunzia di ulteriori provvedimenti necessari al ripristino della situazione "quo ante", all'esito di valutazione di mere vicende processuali sopravvenute e non già di una "revisio prioris instantiae".
Il giudice dell'opposizione all'esecuzione è, ai sensi dell'art. 615 cod. proc. civ., tenuto non solo al controllo dell'esistenza e della validità del titolo esecutivo azionato, ma anche alla verifica della sussistenza di eventuali cause che, successivamente alla formazione, ne abbiano determinato l'inefficacia, come nel caso di mancata osservanza degli obblighi nascenti dal titolo, per effetto della quale l'azione esecutiva non ha più ragione di essere intrapresa.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V A - Presidente -
Dott. D J R - Consigliere -
Dott. T R M - Consigliere -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M EO, MELONI MARIA GRAZIA, elettivamente domiciliati in ROMA P.ZZA CAVOOR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difesi dall'avvocato S F, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
M P, MELONI A, elettivamente domiciliati in ROMA P.ZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difesi dall'avvocato V F, giusta delega in atti;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 396/01 della Corte d'Appello di CAGLIARI, SEZ. DIST. DI SASSARI depositata il 20/12/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/05 dal Consigliere Dott. L P;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R G che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. del 16.9.98 P M ed A M, proprietari in Sanluri di un immobile confinante con quello appartenente a Erminio Meloni e Maria Grazia Meloni, adirono il locale Pretore (una sede distaccata della Pretura Circondariale di Cagliari), al fine di ottenere un provvedimento di urgenzar carico dei suddetti, di rimozione di un congegno ostruente il libero deflusso, attraverso una condotta fognaria, delle acque meteoriche provenienti da quella dei ricorrenti, con recapito finale nella fogna pubblica.
Alla richiesta resistevano gli intimati, negando di aver ostruito e sostenendo di aver solo regolato mediante una paratoia mobile, il deflusso delle acque provenienti dal confinante fondo. Con ordinanza del 6.3.99, confermata in sede di reclamo dal Tribunale di Cagliari, il Pretore accolse, sulla scorta delle sommarie informazioni assunteci ricorso, facendo carico ai resistenti di rimuovere ogni ostacolo atto ad impedire o limitare il normale deflusso delle acque provenienti dal fondo Monzo-Meloni.
In forza di tale provvedimento questi ultimi intimarono precetto notificato il 17.9.99, avverso il quale Erminio e Maria Grazia Meloni proposero opposizione con atto notificato il 25.9.99, convenendo gli intimanti al giudizio del Tribunale di Cagliari (sez. distaccata di Sanluri), al fine di sentir dichiarare l'insussistenza del diritto all'esecuzione forzata, per intervenuta caducazione del titolo esecutivo, in quanto la domanda, proposta con atto di citazione del 7.4.99, causa con la quale le controparti avevano inteso instaurare il giudizio di merito ex art. 669 octies c.p.c., aveva ad oggetto un preteso diritto di servitù, quello di scarico delle "acque luride provenienti dal lavaggio del loro cortile, dall'attività domestica ed in genere da ogni esigenza della loro casa", che si assumeva acquisito per usucapione, diverso da quello, attinente alle sole acque piovane provenienti dal cortile, tutelato in sede cautelare. Con separato ricorso in data 12.11.99 i Meloni proposero, davanti al medesimo ufficio giudiziario, richiesta ex art. 669 novies c.p.c. di dichiarazione d'inefficacia dell'ordinanza cautelare e di emissione dei conseguenti provvedimenti di ripristino, sulla base delle stesse ragioni addotte con l'opposizione a precetto.
Ad entrambe le domande resistettero i Monzo-Meloni e i due giudizi, non riuniti, all'esito di istruttorie documentali, furono decisi con distinte sentenze del 26.1.2000, entrambe di rigetto, con condanna degli opponenti e ricorrenti alle spese.
Appellate le due sentenze dai soccombenti, resistiti i gravami dalle contropartita Corte d'Appello di Cagliari, riuniti i giudizi, con sentenza del 20.12.2001 respinse gli appelli, condannando gli appellanti alle relative spese.
La Corte territoriale riteneva, anzitutto infondate le censure attinenti alla ritenuta "incompetenza", nell'uno e nell'altro procedimento, del primo giudice, osservando che nessuna preclusione sussisteva, tanto più che la sede distaccata di Sanluri (prima di Pretura, poi di Tribunale) era dotata di un unico magistrato addetto al settore civile, alla trattazione quale giudice monocratico, senza necessità di designazione ex novo, dell'opposizione a precetto e del ricorso ex art. 689 novies c.p.c., da parte del medesimo magistrato che aveva emesso il provvedimento cautelare.
I giudici di appello ritenevano, poi, inconferente la doglianza relativa alla "extrapetizione", in cui il giudice di primo grado sarebbe incorso, ad avviso degli appellanti, ritenendo che la domanda di merito diretta alla dichiarazione della più ampia servitù vantata dai Monzo - Meloni fosse comprensiva di quella, relativa alla sola servitù di scolo delle acque meteoriche, tutelata in sede cautelare, con conseguente rigetto delle richieste correlate alla pretesa caducazione del provvedimento;osservavano al riguardo che, essendosi i suddetti appellati limitati a chiedere il rigetto, nell'una e nell'altra sede, delle avverse domande ed avendo il Tribunale in tal senso deciso, nessuna eccedenza poteva configurarsi rispetto alle richieste dei convenuti.
Avverso tale sentenza Erminio e Maria Grazia Meloni hanno proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico articolato motivo, cui resistono con controricorso i Monzo-Meloni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti deducono "violazione o falsa applicazione dell'art. 609 novies commi 1 e 2 c.p.c e/o degli artt. artt. 112, 116 c.p.c. e degli artt. 908-913 c.c.;e/o per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a più punti decisivi della controversia...." Dall'esposizione, alquanto confusa ed in parte ripetitiva, delle ragioni dell'impugnazione, possono enuclearsi tre profili di censura.
Con un primo si ribadiscono, quanto alla conferma della sentenza di rigetto della domanda ex art. 609 novies c.p.c., le doglianze attinenti alla trattazione della controversia da parte del medesimo magistrato che aveva pronunziato il provvedimento cautelare, lamentandosi l'irrilevanza o apparenza della motivazione, nella parte deducente l'esistenza di un unico magistrato addetto alla sezione staccata di Tribunale, sostenendosi che il citato articolo prevedendo "che a decidere sia l'Ufficio cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare" implicitamente escluderebbe la possibilità di un giudizio reso dalla medesima persona;al riguardo vengono citate giurisprudenza e dottrina in ordine alla necessità di differenziazione personale dei giudici investiti nei due successivi gradi di giudizio, osservandosi che non sarebbe "concepibile che il controllore sia lo stesso controllato";la stessa circostanza che del riesame si fosse occupato il medesimo giudice del cautelare, senza designazione da parte del capo dell'Ufficio, avrebbe comportato la nullità della decisione. La censura non è meritevole di accoglimento.
Il procedimento, disciplinato dal secondo comma dell'art. 669 novies c.p.c., relativo alla dichiarazione d'inefficacia del provvedimento
cautelare, nei casi in cui il giudizio di merito non sia stato tempestivamente instaurato o si sia estinto, e l'adozione dei conseguenti provvedimenti ripristinatori, è caratterizzato da due fasi, la prima delle quali necessaria, prevedente un giudizio sommario che, nell'ipotesi di mancanza di contestazioni tra le partasi conclude con ordinanza dichiarativa della perdita d'efficacia del provvedimento, mentre la seconda, eventuale, nei casi in cui sorgano contestazioni in ordine alla sussistenza delle menzionate condizioni di cui al primo comma, si svolge nelle forme di un ordinario giudizio contenzioso, concludendosi con una sentenza. I dubbi interpretativi cui ha dato luogo, nella giurisprudenza di merito e nella dottrina, la norma, derivano dall'avere il legislatore, nella prima parte relativa alla fase sommaria, espressamente previsto che il procedimento si svolge davanti al "giudice che ha emesso il provvedimento" cautelare, mentre nella seconda ha stabilito che "in caso di contestazione l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza", sicché sono state proposte, per quanto attiene all'eventuale seconda fase relativa alla controversa efficacia di provvedimenti cautelari emessi da giudice monocratico, tre diverse ipotesi di lettura della disposizione, ravvisanti, la primo, la competenza collegiale, la seconda quella di un giudice, da designarsi in persona diversa da quella del magistrato che ha emesso il provvedimento cautelatala terza e prevalente, secondo la quale il giudizio ben può svolgersi davanti quest'ultimo. Ritiene questa Corte che l'ultima delle suesposte opzioni ermeneutiche, alla quale si è conformata la sentenza impugnatala quella preferibile.
Nel vigente sistema processuale)caratterizzato dall'istituzione del "giudice unico", ai sensi del D.Lgs. 19.2.1998 n. 51 (in vigore dal 2.2.99 e, dunque, anteriormente al procedimento in questione, instaurato con ricorso del 12.11.99) il Tribunale è un organo giudiziario a composizione ordinariamente monocratica e, solo eccezionalmente, collegiale.
La regola, dettata in via generale dall'art. 48 dell'Ordinamento Giudiziario, R.D. 30.1.1941 n. 12, così come sostituito dall'art. 14 del citato D.Lgs 51/98, è ribadita dagli artt. 50 bis e 50 ter
c.p.c., introdotti dall'art. 56 del medesimo decreto legislativo, il primo dei quali elenca i casi in cui il Tribunale giudica in composizione collegiale, a nessuno dei quali è riconducibile il procedimento di cui all'art. 669 novies c.p.c.. Quest'ultimo non rientra, in particolare, nella previsione di cui al secondo comma dell'art. 50 bis citato, relativa ai "procedimenti in Camera di consiglio disciplinati dall'art. 737 e seguenti..." considerato che il rito camerale è previsto solo per i procedimenti di reclamo contro i provvedimenti cautelari, disciplinato dall'art. 669 terdecies c.p.c., mentre per quelli ad oggetto della
dichiarazione di sopravvenuta inefficacia ex art. 669 novies, la decisione delle contestazioni è prevista con sentenza, e quindi all'esito di un giudizio di cognizione, svolgentesi nelle ordinarie forme contenziose: il raffronto tra le due disposizioni, facenti parte della medesima sezione, delle quali solo quella relativa al procedimento di reclamo prevede la decisione del "collegio" sulle impugnative dei "provvedimenti del giudice singolo del tribunale "costituisce ulteriore conferma della correttezza della soluzione accolta, alla stregua della nota regola ermeneutica legale ubi voluit dixit, ubi noluti non dixit.
Stabilito, dunque, che la decisione della controversia ex art. 669 novies cit. va adottata dall'ufficio di appartenenza del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, nell'ordinaria composizione monocratica, deve altresì escludersi che la disposizione imponga la necessaria attribuzione del giudizio a persona diversa dal suddetto magistrato, non essendosi in cospetto di un procedimento di reclamo, o impugnativa di sorta, avverso il provvedimento cautelare, implicante il riesame delle ragioni in base alle quali il primo giudice abbia ritenuto di adottarlo, bensì di un giudizio diretto all'accertamento della, persistente o meno, efficacia dello stesso e, per il caso di accertata inefficacia, all'adozione di provvedimenti diretti al ripristino dello status quo ante. Tali statuizioni, richiedendo solo la valutatone di vicende processuali e/o di fatto sopravvenute e non anche una revisio prioris instantiae, ben possono essere adottate dal medesimo magistrato che abbia pronunciato l'originario provvedimento, nei confronti del quale non è ravvisabile alcuna ragione di prevenzione, tenuto conto della diversa natura delle questioni ad oggetto dei rispettivi provvedimenti, le une attinenti alla sussistenza degli estremi per l'adozione della misura cautelare, le altre alla verifica della sua persistente efficacia ed attualità.
2) Sotto un secondo profilo si rinnovatici ricorso, la censura di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ribadendosi la diversità oggettiva, per causae petendi e perita, delle domande proposte dalla controparte nella sede cautelare ed in quella di merito, attinenti la prima alla servitù di scolo delle acque piovane e la seconda a quella di convogliamento delle acque luride nella fogna pubblica, evidenziandosi anche che la domanda di merito, tenuto conto del rinvio da parte dell'art. 908 c.c. ai regolamenti locali, non avrebbe potuto essere proposta prima
del conseguimento dell'autorizzazione della competente autorità comunale allo scarico delle acque nella fogna pubblica. Neppure tali censure sono meritevoli di accoglimento, considerato che Tunica sede appropriata e competente alla valutazione delle stesse era quella del giudizio di merito e di convalida della misura cautelare, procedimento che, tuttavia, ha avuto uno svolgimento distinto da quelli, ex art. 615 co. 1 e 669 novies c.p.c costituenti oggetto della decisione in questa sede impugnataci cui esito avrebbe, tutt'al più, potuto essere da quello pregiudicato, ove sulle questioni come sopra proposte fosse intervenuta una decisione definitiva;ma, al riguardo, nulla viene dedottole risulta se le parti abbiano chiesto, in primo o secondo grado, la riunione ai presenti anche di quel giudizio o un' eventuale sospensione di quelli dipendenti, in attesa della definizione del pregiudiziale. In siffatto contesto, il controllo, sia quale giudice dell'opposizione al precetto ex art. 615 co. 1 c.p.c., sia quale giudice ex art. 669 novies, era limitato alla verifica estrinseca della validità ed efficacia del titolo esecutivo cautelarle non anche esteso alla valutazione delle questioni attinenti alla ritualità e fondatezza delle questioni proposte nel giudizio di merito e convalidarne comunque risultava essere stato proposto nei termini di legge ed ancora pendente, sicché corretta deve ritenersi la decisione della corte territoriale, che ha ritenuto inconferente la doglianza di "extrapetizione", atteso che solo il giudice adito ex art. 669 octies (e non quello dell'opposizione a precetto o della verifica incidentale ex art. 669 novies) avrebbe potuto occuparsene, in sede di convalida e di merito. Sotto quest'ultimo profilo anche la questione della proponibilità ex art. 908 c.c., che peraltro non risulta proposta nei precedenti gradi, rientrava nell'ambito del giudizio di merito suddetto.
3) Sotto un terzo profilo si lamenta, infine, che la corte territoriale abbia eluso il riesame del motivo di opposizione a precetto, in ordine al quale vi era stata omissione di pronunzia da parte del primo giudice, relativa all'avvenuto ripristino, come attestato dalla competente A.S.L., del libero deflusso delle acque, circostanza che si era chiesto di provare anche con consulenza tecnica.
La censura è fondata.
Dal riscontro degli atti, di citazione ex art. 615 c.p.c. (pag. 2, punto 3) e di appello (pag. 3, punto 2, pag. 8, punto 5, e pag. 9 prima parte), si rileva che effettivamente, tra i motivi di opposizione al precetto gli odierni ricorrenti ebbero a dedurre l'avvenuto ripristino, come da richiamata e prodotta certificazione dell'A.S.L. del 26.4.1999, del libero deflusso delle acque attraverso la condotta di cui è causa.
Tale circostanza, evidenziante un assunto fatto sopravvenuto alla emissione del provvedimento cautelare e costituente sostanziale adempimento dell'obbligo dallo stesso imposto, ove rispondente a realtà, avrebbe integrato una ragione di infondatezza dell'azione esecutiva che con il precetto si era minacciata, essendo stato già osservato il provvedimento integrante il relativo titolo;ma al riguardo nessun cenno se ne rinviene nelle sentenze di primo e di secondo grado e la relativa mancanza di pronunzia, ad oggetto di uno specifico motivo di gravame, da parte dell'adita Corte d'Appello, dà luogo al vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., per omessa motivazione e decisione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte appellante. Il giudice dell'opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., è tenuto non solo alla controllo dell'esistenza e validità del titolo esecutivo azionatola anche alla verifica della sussistenza di eventuali cause che ne abbiano, successivamente alla sua formazione, determinato" l'inefficacia, tra le quali va senz'altro annoverata l'avvenuta osservanza degli obblighi nascenti dal titolo, per effetto della quale l'azione esecutiva non ha più ragione di essere intrapresa. Pertanto, accolto il ricorso in relazione a tale censura, la sentenza va parzialmente cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte territoriale, che provvedere anche, nell'ambito del finale regolamento, sulle spese del presente giudizio.