Cass. pen., sez. I, sentenza 03/03/2023, n. 09149

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 03/03/2023, n. 09149
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09149
Data del deposito : 3 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: S R nato a SAN GIORGIO A CREMANO il 22/01/1992 N G nato a NAPOLI il 11/03/1994 avverso la sentenza del 24/11/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei i ricorsi. L'avv. F R conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento;
l'avv. A V conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con sentenza del 24 novembre 2021 la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa in data 26 febbraio 2020, ha rideterminato la pena inflitta a N G e S R, confermando la condanna per i reati contestati. Con la sentenza emessa in data 26 febbraio 2020, in esito a giudizio ordinario, il Tribunale di Napoli aveva dichiarato N G colpevole dei reati: - di cui agli artt. 110 c.p., 56 c.p., 575 c.p., aggravati dall'art. 7 L. 203/1991, oggi art. 416 bis co. 1 c.p. (Capo 5) per il tentato omicidio di C A;
- di cui agli artt. 110 c.p., 10, 12, 14 L. 497/74 per la detenzione dell'arma arma da sparo, delitti aggravati dal nesso teleologico e ai sensi dell'art. 7 L. 203/1991 (Capo 6);
- di cui agli artt. 635, co. 2, c.p., 61 n. 1 c.p., 7 L. 203/1991 per avere commesso il reato di danneggiamento aggravato (Capo 3);
- di cui agli artt. 110 c.p., 61 n. 2 cod. pen., 10, 12 e 14 L. 497/74, 7 L. 203/1991 (Capo 4);
- di cui agli artt. 81 c.p., 385 c.p., 61 n. 2 c.p., 7 L. 203/91(Capo 9). Il Tribunale aveva considerato i reati unificati dal vincolo della continuazione e, applicata la recidiva contestata, lo aveva condannato alla pena di anni undici di reclusione. Aveva, inoltre, dichiarato S R colpevole dei soli reati di cui ai capi 5), 6), unificati dal vincolo della continuazione, applicata la recidiva infraquinquennale, lo aveva condannato alla pena di anni dieci di reclusione. La Corte territoriale ha rideterminato la pena in anni nove e mesi dieci di reclusione per N e in anni nove e mesi sei di reclusione per S.

1.2. La vicenda per la quale sono state emesse dette sentenze si è sviluppata nell'ambito delle vicende associative afferenti un'articolazione dell'associazione camorrista denominata Clan Mazzarella. Il nucleo centrale dei fatti ruota intorno agli atti intimidatori perpetrati dagli imputati presso l'esercizio commerciale "Tristar" gestito dalla famiglia C, sfociati nell'esplosione di numerosi colpi di arma da fuoco all'interno del predetto negozio di telefonia al cui interno si trovava il C A. La sera del 3 febbraio 2015 veniva danneggiata la saracinesca del negozio di telefonia Tristar, ubicato al corso San Giovanni, attinta da numerosi colpi di arma da fuoco esplosi da due armi di calibro diverso. Per tali fatti è stato condannato il solo N, responsabile anche del delitto di evasione, essendosi allontanato dalla propria abitazione dove si trovava ristretto agli arresti domiciliari.Nel tardo pomeriggio del 4 febbraio 2015 venivano esplosi numerosi colpi di arma da fuoco all'interno del predetto negozio di telefonia, che era aperto, ove si trovavano C A, all'interno del negozio, e sul marciapiede contiguo il figlio C P nonché la figlia C Mariarca che aveva con sé il figlio Cestari Antonio di due anni: per tale episodio S e N sono stati condannati come esecutori materiali del tentato omicidio aggravato ai sensi dell'art. 416 bis.l. c.p. L'aggravante è stata contestata in quanto gli imputati avevano agito avvalendosi dei collegamenti propri e di B R, mandante dell'azione (ma assolta in primo grado), con il Clan Mazzarella, nonché al fine di agevolare l'associazione di appartenenza e di dimostrare che un'offesa ad un affiliato non resta impunita.

1.3. Nel corso del procedimento di appello entrambi gli imputati, dopo avere rinunciato ai motivi di appello con cui si deduceva la inutilizzabilità delle intercettazioni e delle prove testimoniali e si negava la responsabilità per i fatti contestati, ammettevano la partecipazione per le condotte del 3 e del 4 febbraio 2015 ma negavano l'animus necandi rispetto all'imputazione di tentato omicidio. N riferiva di essere stato indotto ad agire da B R, che gli aveva riferito di essere stata aggredita dalla madre di C P, e di essersi recato presso l'esercizio commerciale al solo fine intimidatorio. L'imputato sosteneva che i colpi di pistola da lui sparati erano stati indirizzati in direzione opposta rispetto al punto in cui si trovava C A, unico soggetto presente all'interno del negozio, che aveva la saracinesca per metà abbassata. S, dal canto suo, si limitava ad affermare di avere accompagnato N al negozio con il fine di incutere timore ai C. La difesa degli imputati, pertanto, insisteva esclusivamente sui motivi relativi alla qualificazione giuridica della condotta contestata come tentato omicidio, nonché su quelli concernenti la dosimetria della pena e l'aggravante di cui all'art. 7 legge 203 del 1991. 1.4. La Corte d'Appello ha rigettato la richiesta di riqualificazione della condotta contestata come tentato omicidio nel reato di tentate lesioni e danneggiamento aggravato, ritenendo sussistente l'animus necandi: in effetti, l'imputato non si era limitato a sparare contro la saracinesca dell'esercizio commerciale, ma aveva proseguito l'azione criminosa all'interno del locale, sparando colpi ad altezza d'uomo con una direzione dal basso verso l'alto. La sentenza sottolinea la differenza tra l'azione del 3 febbraio, nel corso della quale gli autori si erano limitati ad esplodere colpi di arma da fuoco all'indirizzo dell'esercizio commerciale ed esternamente ad esso, e quella del 4 febbraio, quando all'interno dell'esercizio, che aveva la saracinesca chiusa per metà, si trovava Angelo C: in quell'occasione erano stati esplosi nove colpi di arma da fuoco, di cui almeno sei all'interno del locale e ad altezza d'uomo. La dinamica era stata ricostruita sulla base dei filmati delle telecamere di sorveglianza e delle testimonianze dei presenti. Giunti S e N a bordo di un ciclomotòre, il secondo si era avvicinato al negozio, si era chinato in ragione della saracinesca parzialmente abbassata, si era accertato della presenza di Angelo C e aveva esploso diversi colpi di arma da fuoco all'interno del locale ad altezza d'uomo;
del resto, lo stesso imputato aveva ammesso di avere esploso tre colpi all'interno del locale dopo essersi accertato della presenza di Angelo C. I colpi erano stati indirizzati verso la persona di questi, come dallo stesso riferito;
ad altezza d'uomo, come dimostrava l'ogiva conficcata nel muro perimetrale interno del negozio. Non si trattava di un'azione dimostrativa, ma funzionale a colpire i soggetti presenti all'interno. La sentenza concentra la sua attenzione sull'ogiva conficcata nel muro a due metri da terra: la traiettoria era dal basso verso l'alto, in conseguenza dell'abbassamento dello sparatore per superare la saracinesca, e quindi era idonea ad uccidere le persone all'interno. Le affermazioni di N di avere indirizzato i colpi in direzione opposta a quella in cui via via si spostava la vittima era inconferente e dettata da scopi meramente difensivi. In effetti, per non uccidere sarebbe stato sufficiente esplodere i colpi all'esterno e non ripetuti colpi all'interno ad altezza d'uomo. Anche il movente sorreggeva la convinzione che la volontà dello sparatore fosse di uccidere: dall'originario motivo di carattere sentimentale, vi era stata un'escalation con l'aggressione subita dalla B e l'intervento di D, finalizzato a ripristinare l'egemonia del suo gruppo a fronte dell'aperta opposizione dei C. Paolo C, dopo l'intimidazione del 3 febbraio, aveva pubblicato sui social una risposta con cui dimostrava di non essere intimidito, invitando gli autori a non prendersela con il negozio, ma con lui. Sussisteva, quindi, il dolo diretto di omicidio, sotto forma di dolo alternativo. Pertanto, il tentato omicidio non poteva essere diversamente qualificato. La Corte d'Appello ha respinto, inoltre, la richiesta di esclusione dell'aggravante di cui all'art 416 bis.1 c.p. alla luce delle modalità esecutive dell'azione e della sua sproporzione, cruenza e arroganza. Infine ha rigettato la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche alla luce dell'oggettiva gravità dei fatti, di elevato allarme sociale e di spiccata pericolosità sociale.
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