Cass. civ., sez. V trib., sentenza 17/07/2019, n. 19173

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 17/07/2019, n. 19173
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19173
Data del deposito : 17 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Svolgimento del processo

F.F., dipendente della Banca I. sino al 31 marzo 1997, avendo versato contributi al Fondo Pensioni per il personale del medesimo istituto di credito, a seguito di messa in liquidazione del Fondo, nell'anno 2006 otteneva, in sostituzione della pensione complementare in forma di rendita periodica, una indennità una tantum in forma capitale, alla quale venivano applicate ritenute a titolo IRPEF - a tassazione separata - con aliquota del 34,15 per cento.

In data 5 novembre 2009 il contribuente presentava all'Agenzia delle Entrate istanza di rimborso della complessiva somma di Euro 24.030,55, deducendo che il Fondo Pensione erroneamente non aveva detratto dall'imponibile lordo il quattro per cento dei contributi versati, come previsto dal t.u.i.r., art. 17, comma 2, nella formulazione all'epoca vigente, e che la prestazione pensionistica erogata era stata tassata sull'intero dell'ammontare lordo corrisposto, anzichè solo sull'87,5 per cento, come previsto dal t.u.i.r., art. 48, comma 7-bis, all'epoca vigente.

Avverso il diniego opposto dall'Ufficio, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale lo accoglieva limitatamente alla detrazione dall'imponibile del 4 per cento dei contributi versati.

In esito all'appello principale dell'Agenzia ed all'appello incidentale del contribuente, che chiedeva venisse dichiarato dovuto il rimborso originariamente richiesto, la Commissione tributaria regionale rigettava il primo e, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava dovuto il rimborso nella misura richiesta di Euro 24.030,55, oltre interessi di legge.

Premettendo di condividere la decisione dei giudici di primo grado che avevano ritenuto che la base imponibile di quanto erogato al contribuente dovesse essere ridotta in ragione dei contributi dallo stesso versati, sia pure limitatamente al 4 per cento delle retribuzioni percepite, osservava che dalla documentazione prodotta agli atti di causa emergeva che, nel periodo 1955 1994, i dipendenti dell'istituto di credito, e quindi anche il contribuente, avevano versato al Fondo una percentuale delle loro retribuzioni, subendo una trattenuta direttamente a cura del datore di lavoro, e che l'importo erogato al contribuente, diminuito dei contributi versati nel limite del 4 del cento delle retribuzioni, diventava imponibile nella misura dell'87,5 per cento;
affermava, inoltre, che l'Agenzia delle Entrate non aveva mosso specifiche censure all'applicazione dell'aliquota di ritenuta fiscale del 29,27 per cento richiesta dal contribuente.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l'Agenzia delle Entrate, con cinque motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

Motivi della decisione



1. Con il primo motivo, deducendo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell'art. 132 c.p.c., la ricorrente sostiene che il ragionamento effettuato dai giudici della Commissione regionale in merito alla deducibilità del 4 per cento dei contributi versati dallo stesso contribuente al Fondo Pensione integra motivazione apparente perchè fa riferimento in modo generico alla "documentazione in atti".



1.1. La censura è infondata.



1.2. Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la motivazione è solo "apparente" e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016).



1.3. Anche di recente, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che l'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, deve intendersi violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass. Sez. U., n. 9279 del 3 aprile 2019).



1.4. Nel caso di specie, la Commissione regionale non si è limitata a motivare per relationem, mediante un mero richiamo generico al contenuto della sentenza di primo grado ed alla documentazione acquisita agli atti del giudizio, inidoneo a soddisfare quel contenuto "minimo costituzionale" che la motivazione deve avere per non incorrere nella violazione di legge e per consentire il controllo di legittimità (Cass. Sez. U., n. 8053 del 2014), ma ha esplicitato le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado, con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. n. 4780 del 11/3/2016;
Cass. n. 16612 del 7/8/2015;
n. 15664 del 9/7/2014;
n. 22022 del 21/9/2017), ponendo in rilievo che il diniego dell'Agenzia delle Entrate si basava unicamente sulla risposta che, a fronte di specifica richiesta, il Fondo Pensioni aveva dato con la nota del 15 febbraio 2010, documentazione dalla quale non si poteva far discendere la prova dell'omesso pagamento, da parte del contribuente, dei contributi al Fondo Pensione.

Trattasi, dunque, di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, per cui i profili di genericità censurati con il mezzo in esame non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente e da escludere l'idoneità della stessa ad assolvere alla funzione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

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