Cass. pen., sez. VI, sentenza 11/01/2023, n. 00657
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. I A, nato a Pompei il 21/04/1963 2. D L M, nato a Caserta il 07/12/1974 avverso la sentenza del 01/06/2021 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G R, che ha concluso chiedendo per D L la declaratoria di inammissibilità del ricorso e per I di rimettere la questione relativa al capo A) alle Sezioni Unite o comunque il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. G S e S R, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei loro rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia gli imputati Antonio I e Massimo D L rispettivamente il primo per il reato di tentato millantato credito ed entrambi per il reato di corruzione.
1.1. In particolare, ad I era stato contestato il reato di cui agli artt. 56, 346, primo e secondo comma, 61 n. 9, 110 cod. pen. (capo A), perché, quale appartenente della Guardia di Finanza, millantando ad un collega del suo Corpo di poter fornire per il figlio di questi i test con le risposte del concorso per la selezione di allievi marescialli della Guardia di Finanza e quindi di garantirne in tal modo il superamento, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a farsi promettere e consegnare dal predetto la somma di 1.500 euro come prezzo della sua mediazione presso pubblici ufficiali di detto Corpo coinvolti nel concorso e comunque con il pretesto di dover comprare il loro favore, non riuscendovi per cause indipendenti dalla sua volontà (fatto dell'Il luglio 2015).
1.2. Entrambi gli imputati erano stati tratti a giudizio, con Maria T e Lazzaro T, per il capo B), con il quale era stato contestato loro il concorso in corruzione propria aggravata in concorso. Dopo che, all'udienza del 27 maggio 2016 il Pubblico ministero aveva qualificato il fatto come millantato credito ai sensi degli artt. 346, secondo comma, 61 n. 9, 110 cod. pen., il Giudice dell'udienza preliminare con la sentenza di primo grado aveva riqualificato i fatti nell'originaria imputazione di corruzione. Secondo la contestazione del 27 maggio 2016, gli imputati, quali appartenenti alla Guardia di Finanza, in concorso con Nicola P, giudicato separatamente, violando i doveri inerenti al servizio prestato, si facevano promettere e poi consegnare da Lazzaro T, padre di una candidata aspirante alla selezione di allievi marescialli della Guardia di Finanza, la somma complessiva di 50.000 euro, come prezzo della loro mediazione presso pubblici ufficiali di detto Corpo coinvolti nel concorso e comunque con il pretesto di dover comprare il loro favore ovvero di remunerarli (fatto dal maggio 2015 fino al 27 ottobre 2015).
2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati indicati in epigrafe, denunciando, a mezzo di difensore, e con atti separati i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso I.
2.1.1. Vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod. proc. pen. per il capo A), quanto alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dei denuncianti. In modo carente e illogico è stata valutata la attendibilità del dichiarante P e della di lui moglie M. Vi erano discrasie e era illogica la ricostruzione delle sentenze di merito.
2.1.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 346 e 346-bis cod. proc. pen. per il capo A). La Corte di appello ha respinto la tesi difensiva dell'avvenuta abrogazione del secondo comma dell'art. 346 cod. pen. con la riforma del 2019, che ha introdotto la nuova fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen., che non contempla l'ipotesi della c.d. "vendita di fumo" (tanto da eliminare il termine "pretesto" che caratterizzava le vanterie del soggetto agente). La ipotesi delittuosa contemplata dal secondo comma dell'abrogato art. 346 cod. pen. era una sorta di truffa, in quanto caratterizzata da artifici e raggiri, mentre la nuova fattispecie contempla ii vanto di relazioni «asserite» che non costituisce una condotta truffaldina, ma soltanto prodromica rispetto ad un eventuale coinvolgimento del pubblico agente.
2.1.3. Vizio di motivazione in relazione alla condanna per il reato di corruzione cui al capo B). Illogica è la conclusione della Corte di appello circa il coinvolgimento nella vicenda di soggetti intranei alla procedura di selezione rispetto alla tesi difensiva che aveva prospettato che l'esistenza di tali soggetti era soltanto una vanteria millantatoria degli imputati. Non sono stati infatti registrati contatti con tali soggetti;
i presunti incontri con costoro risultavano smentiti dalle indagini della polizia giudiziaria;
sono gli stessi imputati a rivelare nelle captazioni di non riuscire ad arrivare alla commissione e che dalla stessa non trapelava nulla;
le indagini della polizia giudiziaria avevano dimostrato che vi erano stati contatti con la commissione per avere notizie già pubbliche (il che dimostrava che non avessero neppure una loro entratura nel sistema selettivo). La Corte di appello ha valorizzato il fatto che D L fosse appartenente all'ufficio competente per il reclutamento per ritenere sufficiente la sua ingerenza per raccomandare dietro compenso la candidata. Ma in nessuna captazione si fa riferimento a soggetti diversi dagli imputati coinvolti nella vicenda. Né poteva essere sufficiente la captazione che aveva registrato la reazione del P a D L alla notizia della bocciatura della candidata: il P intendeva riferirsi soltanto all'affidamento che aveva riposto sulla serietà del D L, senza far riferimento ad altri soggetti. In definitiva non è dimostrato che persona diversa dagli imputati dotata di un potere di ingerenza abbia influito o tentato di influire sulla prova selettiva a favore della candidata.
2.1.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 319, 319-bis e 346-bis cod. pen. per il capo B).La difesa aveva chiesto la riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 346-bis cod. pen., stante la mancanza di un contatto con un soggetto intraneo alla procedura di selezione. Per aggirare tale insormontabile ostacolo già il primo giudice, aveva richiamato un arresto giurisprudenziale di 20 anni prima e configurato la corruzione nell'accordo corruttivo tra gli imputati pubblici ufficiali e il privato per adoperarsi, dietro compenso, a favore della candidata così violando i doveri di ufficio. La Corte di appello non ha risolto il tema, riproponendo la tesi del fantomatico funzionario, che tuttavia non vi è prova che esistesse e che abbia concluso un accordo corruttivo.
2.1.5. Vizio di motivazione con riferimento alla non riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6 cod. pen. con riferimento alla restituzione della somma indebitamente percepita. Gli imputati hanno integralmente restituito la somma originariamente versata dalla persona offesa sub B). Inoltre, I ha provveduto al deposito in atti di due assegni per 2.000 euro per risarcire la persona offesa. La Corte di appello non ha adeguatamente valutato tale situazione.
2.1.6. Vizio di motivazione con riferimento alla non riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen. Il diniego sul punto ha parcellizzato i dati favorevoli a disposizione del giudicante, svilendone la portata (il ricorrente ha risarcito il danno, ha spiegato gli accadimenti, è incensurato).
2.2. Ricorso di D L.
2.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto nella fattispecie di corruzione. Esaminati attentamente gli elementi di prova acquisiti agi atti, emerge il loro travisamento. Non rispondono al vero (in quanto non desumibili dagli atti e quindi non provate) le seguenti circostanze riportate dalla sentenza di appello: - (pag. 5) P d'intesa con D L aveva preso contatti con T;
- (pag. 6) D L avrebbe dato assenso al pactum sceleris e che la somma pattuita divisa tra I e P doveva servire a remunerare anche D L e il suo contatto, nonché l'esistenza stessa del contatto (D L era del tutto estraneo ai lavori della commissione esaminatrice, come dimostra la sua incapacità a rispondere a semplici domande postegli da P sulla prova della candidata I avorita);
non tia compiuto condotte costituenti violazione dei doveri del suo ufficio;
gli elementi a disposizione dimostravano soltanto una richiesta di I e / 7--- / P di una somma di danaro versata dal T per remunerare terzi soggetti per influenzare la procedura concorsuale, circostanza peraltro non accaduta;
difetta la prova che D L si sarebbe dovuto occupare di individuare un membro della commissione e corromperlo);
- (pag. 7) P e D L si erano effettivamente mossi per avere l'appoggio di qualcuno vicino alla commissione (si tratta di mera deduzione del giudicante);
- (pag. 7) i tre imputati si erano adoperati concretamente per interferire sull'esito del concorso, violando doveri di imparzialità e correttezza su essi gravanti come pubblici ufficiali (non è indicato in cosa si sia materialmente concretizzata la condotta antigiuridica). Le intercettazioni offrono un quadro probatorio che non può essere ricondotto all'ipotesi corruttiva quanto piuttosto alla millanteria alla quale in ogni caso è estraneo D L. In conclusione, la sentenza impugnata è affetta da nullità per manifesta illogicità della motivazione che ha portato a ritenere configurato il reato di corruzione.
2.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 56 cod. pen., versandosi in ipotesi di tentativo. Ancor maggiori sono le perplessità nell'aver la
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G R, che ha concluso chiedendo per D L la declaratoria di inammissibilità del ricorso e per I di rimettere la questione relativa al capo A) alle Sezioni Unite o comunque il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. G S e S R, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei loro rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia gli imputati Antonio I e Massimo D L rispettivamente il primo per il reato di tentato millantato credito ed entrambi per il reato di corruzione.
1.1. In particolare, ad I era stato contestato il reato di cui agli artt. 56, 346, primo e secondo comma, 61 n. 9, 110 cod. pen. (capo A), perché, quale appartenente della Guardia di Finanza, millantando ad un collega del suo Corpo di poter fornire per il figlio di questi i test con le risposte del concorso per la selezione di allievi marescialli della Guardia di Finanza e quindi di garantirne in tal modo il superamento, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a farsi promettere e consegnare dal predetto la somma di 1.500 euro come prezzo della sua mediazione presso pubblici ufficiali di detto Corpo coinvolti nel concorso e comunque con il pretesto di dover comprare il loro favore, non riuscendovi per cause indipendenti dalla sua volontà (fatto dell'Il luglio 2015).
1.2. Entrambi gli imputati erano stati tratti a giudizio, con Maria T e Lazzaro T, per il capo B), con il quale era stato contestato loro il concorso in corruzione propria aggravata in concorso. Dopo che, all'udienza del 27 maggio 2016 il Pubblico ministero aveva qualificato il fatto come millantato credito ai sensi degli artt. 346, secondo comma, 61 n. 9, 110 cod. pen., il Giudice dell'udienza preliminare con la sentenza di primo grado aveva riqualificato i fatti nell'originaria imputazione di corruzione. Secondo la contestazione del 27 maggio 2016, gli imputati, quali appartenenti alla Guardia di Finanza, in concorso con Nicola P, giudicato separatamente, violando i doveri inerenti al servizio prestato, si facevano promettere e poi consegnare da Lazzaro T, padre di una candidata aspirante alla selezione di allievi marescialli della Guardia di Finanza, la somma complessiva di 50.000 euro, come prezzo della loro mediazione presso pubblici ufficiali di detto Corpo coinvolti nel concorso e comunque con il pretesto di dover comprare il loro favore ovvero di remunerarli (fatto dal maggio 2015 fino al 27 ottobre 2015).
2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati indicati in epigrafe, denunciando, a mezzo di difensore, e con atti separati i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso I.
2.1.1. Vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod. proc. pen. per il capo A), quanto alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dei denuncianti. In modo carente e illogico è stata valutata la attendibilità del dichiarante P e della di lui moglie M. Vi erano discrasie e era illogica la ricostruzione delle sentenze di merito.
2.1.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 346 e 346-bis cod. proc. pen. per il capo A). La Corte di appello ha respinto la tesi difensiva dell'avvenuta abrogazione del secondo comma dell'art. 346 cod. pen. con la riforma del 2019, che ha introdotto la nuova fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen., che non contempla l'ipotesi della c.d. "vendita di fumo" (tanto da eliminare il termine "pretesto" che caratterizzava le vanterie del soggetto agente). La ipotesi delittuosa contemplata dal secondo comma dell'abrogato art. 346 cod. pen. era una sorta di truffa, in quanto caratterizzata da artifici e raggiri, mentre la nuova fattispecie contempla ii vanto di relazioni «asserite» che non costituisce una condotta truffaldina, ma soltanto prodromica rispetto ad un eventuale coinvolgimento del pubblico agente.
2.1.3. Vizio di motivazione in relazione alla condanna per il reato di corruzione cui al capo B). Illogica è la conclusione della Corte di appello circa il coinvolgimento nella vicenda di soggetti intranei alla procedura di selezione rispetto alla tesi difensiva che aveva prospettato che l'esistenza di tali soggetti era soltanto una vanteria millantatoria degli imputati. Non sono stati infatti registrati contatti con tali soggetti;
i presunti incontri con costoro risultavano smentiti dalle indagini della polizia giudiziaria;
sono gli stessi imputati a rivelare nelle captazioni di non riuscire ad arrivare alla commissione e che dalla stessa non trapelava nulla;
le indagini della polizia giudiziaria avevano dimostrato che vi erano stati contatti con la commissione per avere notizie già pubbliche (il che dimostrava che non avessero neppure una loro entratura nel sistema selettivo). La Corte di appello ha valorizzato il fatto che D L fosse appartenente all'ufficio competente per il reclutamento per ritenere sufficiente la sua ingerenza per raccomandare dietro compenso la candidata. Ma in nessuna captazione si fa riferimento a soggetti diversi dagli imputati coinvolti nella vicenda. Né poteva essere sufficiente la captazione che aveva registrato la reazione del P a D L alla notizia della bocciatura della candidata: il P intendeva riferirsi soltanto all'affidamento che aveva riposto sulla serietà del D L, senza far riferimento ad altri soggetti. In definitiva non è dimostrato che persona diversa dagli imputati dotata di un potere di ingerenza abbia influito o tentato di influire sulla prova selettiva a favore della candidata.
2.1.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 319, 319-bis e 346-bis cod. pen. per il capo B).La difesa aveva chiesto la riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 346-bis cod. pen., stante la mancanza di un contatto con un soggetto intraneo alla procedura di selezione. Per aggirare tale insormontabile ostacolo già il primo giudice, aveva richiamato un arresto giurisprudenziale di 20 anni prima e configurato la corruzione nell'accordo corruttivo tra gli imputati pubblici ufficiali e il privato per adoperarsi, dietro compenso, a favore della candidata così violando i doveri di ufficio. La Corte di appello non ha risolto il tema, riproponendo la tesi del fantomatico funzionario, che tuttavia non vi è prova che esistesse e che abbia concluso un accordo corruttivo.
2.1.5. Vizio di motivazione con riferimento alla non riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6 cod. pen. con riferimento alla restituzione della somma indebitamente percepita. Gli imputati hanno integralmente restituito la somma originariamente versata dalla persona offesa sub B). Inoltre, I ha provveduto al deposito in atti di due assegni per 2.000 euro per risarcire la persona offesa. La Corte di appello non ha adeguatamente valutato tale situazione.
2.1.6. Vizio di motivazione con riferimento alla non riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen. Il diniego sul punto ha parcellizzato i dati favorevoli a disposizione del giudicante, svilendone la portata (il ricorrente ha risarcito il danno, ha spiegato gli accadimenti, è incensurato).
2.2. Ricorso di D L.
2.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto nella fattispecie di corruzione. Esaminati attentamente gli elementi di prova acquisiti agi atti, emerge il loro travisamento. Non rispondono al vero (in quanto non desumibili dagli atti e quindi non provate) le seguenti circostanze riportate dalla sentenza di appello: - (pag. 5) P d'intesa con D L aveva preso contatti con T;
- (pag. 6) D L avrebbe dato assenso al pactum sceleris e che la somma pattuita divisa tra I e P doveva servire a remunerare anche D L e il suo contatto, nonché l'esistenza stessa del contatto (D L era del tutto estraneo ai lavori della commissione esaminatrice, come dimostra la sua incapacità a rispondere a semplici domande postegli da P sulla prova della candidata I avorita);
non tia compiuto condotte costituenti violazione dei doveri del suo ufficio;
gli elementi a disposizione dimostravano soltanto una richiesta di I e / 7--- / P di una somma di danaro versata dal T per remunerare terzi soggetti per influenzare la procedura concorsuale, circostanza peraltro non accaduta;
difetta la prova che D L si sarebbe dovuto occupare di individuare un membro della commissione e corromperlo);
- (pag. 7) P e D L si erano effettivamente mossi per avere l'appoggio di qualcuno vicino alla commissione (si tratta di mera deduzione del giudicante);
- (pag. 7) i tre imputati si erano adoperati concretamente per interferire sull'esito del concorso, violando doveri di imparzialità e correttezza su essi gravanti come pubblici ufficiali (non è indicato in cosa si sia materialmente concretizzata la condotta antigiuridica). Le intercettazioni offrono un quadro probatorio che non può essere ricondotto all'ipotesi corruttiva quanto piuttosto alla millanteria alla quale in ogni caso è estraneo D L. In conclusione, la sentenza impugnata è affetta da nullità per manifesta illogicità della motivazione che ha portato a ritenere configurato il reato di corruzione.
2.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 56 cod. pen., versandosi in ipotesi di tentativo. Ancor maggiori sono le perplessità nell'aver la
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